Timbuktu, la recensione

Arriva in sala uno dei candidati a Miglior Film Straniero. È Timbuktu, pellicola corale sull'invasione jihadista del Mali, in Africa. Bello e straziante

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Se era già bello prima... ora Timbuktu sembra proprio il film del presente storico che stiamo vivendo. È ovvio che il pensiero andrà al califfato di Abu Bakr al-Baghdadi quando uscirete da questa storia bellissima sulla tolleranza religiosa di un Islam pacifico in contrasto con il fanatismo di fondamentalisti che nel film del regista proveniente dalla Mauritania Abderrahmane Sissako occupano fin dalla prima immagine la città di Timbuktu nel nord del Mali, in piena Africa Occidentale poco a sud dell'Algeria. Nella realtà Timbuktu è stata liberata dai fondamentalisti nel 2013 grazie all'intervento del governo francese. Il film racconta di un tempo sospeso in cui questo gruppo di occupanti anche piuttosto maldestri e divisi tra loro (divertente la figura di quello incapace di rispettare i dogmi ed interessato molto di più al sesso di quello che vorrebbe far credere), sono pronti a prendere il controllo di una comunità pacifica divisa tra la totale indifferenza nei loro confronti e una sempre più evidente esasperazione per via di regole sempre più assurde da seguire (una donna protesterà per l'obbligo di mettersi dei guanti che a suo dire le impedirebbero di fare bene il suo lavoro).

Non lontani dalla città vivono il pastore Kidane con sua moglie Satima e la figlia Toya. Riusciranno a rimanere separati da quel fanatismo religioso sempre più invadente oppure anche loro avranno a che fare con quel gruppo di jihadisti a metà strada tra l'armata Brancaleone e la più spietata cellula jihadista (sono pronti a discutere per ore con l'Iman del luogo convinti che il Corano sia dalla loro parte).

Nel frattempo... Kidane, Satima e Toya vivono sempre più nascosti nella loro oasi fuori dal tempo, tra chiacchiere, bevute, giochi e atti di generosità. Kidane stima il piccolo guardiano di buoi Issan al punto da volergli donare parte del suo bestiame.

Il film di Sissako è semplicemente ipnotico. Siamo così alieni a quei linguaggi, paesaggi e usanze da rimanere letteralmente incantati di fronte alla bravura degli attori, alla potenza dei personaggi e alla bellezza dei paesaggi.

C'è un'angoscia che cresce costante. Un senso della tragedia imminente. Eppure, il regista è bravissimo a inquadrare le crepe di umanità e buon senso anche tra i jihadisti apparentemente più duri e puri.

In edizione italiana il film sarà doppiato per tutte le parti in lingua bambara e berbero (il linguaggio degli autoctoni del Mali) mentre la parlata degli jihadisti (ovviamente l'arabo) manterrà l'originale con i sottotitoli in italiano.

Il film di Sissako è stato presentato con successo in Concorso all'ultimo Festival di Cannes 2014 ed ha avuto l'onore di entrare nella cinquina per Miglior Film Straniero alla 87esima edizione degli Oscar in arrivo il prossimo 22 febbraio.

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