Venezia 72 - Interruption, la recensione
Insopportabilmente pretenzioso e autoreferenziale l'esordio al lungometraggio di Yorgos Zois con Interruption
Per inscenare il suo arrogante teatr(in)o, Zois scomoda nientemeno che l'Orestea, già portata sullo schermo con ben altri e alti risultati da Anghelopulos - maestro del giovane professorino Yorgos - in O thiassos. A colpi di luoghi comuni e di squallidi quanto ridicoli tentativi di modernizzazione senza capo né coda, un regista chiaro alter ego del buon Zois distrugge i capolavori di Eschilo, Sofocle e Euripide senza l'ombra di un rimorso, delitto aggravato dalla diretta discendenza - si perdoni la sintesi campanilistica - del cineasta da quegli stessi maestri presi a pretesto.
Le reali intenzioni di Zois restano ignote, non essendo il suo esperimento cine-teatrale né originale nella forma né tantomeno nella sostanza, specialmente se si ripensa a illustri tentativi quali, per esempio, Il bambino di Mâcon del grande Peter Greenaway, che con macabra efficacia era riuscito a raccontare la grottesca scomparsa della linea di demarcazione tra messinscena e violenza reale.In conclusione: un fallimento completo, aggravato da una spocchia pseudo-autoriale che condanna senza possibilità di appello questo esordio non solo poco memorabile, ma addirittura da dimenticare.