Venezia 74 - The Third Murder, la recensione
Lontano dai suoi lidi convenzionali (fino ad un certo punto), con The Third Murder Hirokazu Kore-eda non trova la precisione degli altri film
Su questo spunto geniale e sfruttando come sempre lo scorrere del tempo e il passare delle stagioni, Kore-eda costruisce una storia impossibile davanti agli occhi degli spettatori in cui ogni fonte d'informazione è inaffidabile. Inaffidabile l'imputato, che nasconde sempre un dettaglio e non teme di ritrattare anche le parti fondamentali delle sue dichiarazioni, inaffidabili i parenti della vittima, alcuni per interesse altri perché in un ambiguo rapporto con essa, altri ancora perché abilissimi a mentire e fingere i sentimenti. Poteva quindi anche chiamarsi “Avventure di un avvocato in un mondo di bugiardi”, questa storia di affetti marci e famiglie, una volta tanto nel mondo di Kore-eda, infami.
Tuttavia sembra che lo stesso regista sia molto a disagio in questa struttura da thriller ironico, così esasperata da far volutamente sorridere tanto sono paradossali i colpi di scena e i capovolgimenti di fronte. Sembra che non riesca mai a trovare i propri punti di forza, cioè quella potenza calma e quella capacità di creare un ambiente tramite i dialoghi e gli sguardi dei personaggi verso gli altri.In un mondo in cui nessuno dice quel che pensa e il solo protagonista è intento a risolvere un dilemma morale, questo non è però quello che pensiamo di poter prevedere. Con una certa coerenza con la cultura della vergogna nipponica, il punto non è scoprire davvero la verità ma, come viene rinfacciato al protagonista, “Lei è il tipo di avvocato che impedisce ai criminali di affrontare le proprie colpe”. Non è quindi il giudizio finale, ma come il criminale si relazioni alle proprie azioni e come chi gli è intorno favorisce o impedisce questo processo catartico.
Kore-eda in questo processo perde però i superpoteri e diventa di colpo un regista e uno sceneggiatore normale. Uno privo della sua capacità di alludere alle parti più semplici della vita e farne un catino di sensazioni evocate prima di tutto nel personaggio e solo di rimando, tramite le sue espressioni e quello che sappiamo di lui, nello spettatore.