Humans 1x01 "Episode 1": la recensione

Da una co-produzione Channel 4 e AMC arriva Humans, il remake in lingua inglese della serie di fantascienza svedese Akta Manniskor

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Senza un adeguato termine di paragone non era qualcosa che saltava all'occhio facilmente, ma ora, potendo fare il confronto con il remake in lingua inglese di Akta Manniskor – Real Humans (qui la recensione), ci rendiamo conto dell'importanza che avevano i volti in quella serie. Erano freddi, pallidi, distanti, sembrava quasi di poter toccare con mano i tessuti sintetici di cui erano composti. E la serie puntava molto su questo contrasto tra apparenza esterna e motivazioni interne nel momento in cui partiva il processo di umanizzazione dei robot. Humans, il rifacimento realizzato in co-produzione tra Channel 4 e AMC, pur rimanendo legato a doppio filo con le storie originali della serie svedese, se non altro propone uno sviluppo e un approccio alternativo: più cupo, come toni e fotografia, ma inevitabilmente meno affascinante. In ogni caso, considerati i remake improbabili arrivati negli ultimi mesi, Humans fa la sua buona figura e passa la prova del pilot.

In una dimensione parallela futuristica la tecnologia ha permesso la creazione di robot sempre più avanzati che, come nell'Uomo bicentenario di Asimov (autore che viene espressamente citato ad un certo punto), possono essere acquistati in comode rate dalle famiglie. Seguiamo quindi il synth – nella serie originale si chiamavano hubotAnita, che viene comprato dalla famiglia Hawkins. Il robot svolge con maniacale precisione tutti i compiti che le vengono richiesti, e si attiene alle direttive dei suoi possessori e a quelle per cui è stata programmata: non c'è nulla in lei che dovrebbe destare particolari preoccupazioni, eppure Laura Hawkins non riesce a fidarsi del tutto. C'è poi l'anziano George Millican, che dopo la morte della moglie si è affezionato sempre di più all'ormai obsoleto robot Odi, quasi come se fosse un custode di passati ricordi felici. Particolarmente importante è poi la figura di Leo, un umano fuggitivo che ha molto a cuore la salvaguardia di un gruppo di robot dalla mente libera.

C'è un elemento cospirativo-thriller che aspetta solo di sbocciare, e c'è un approccio più caustico alla storia, che si manifesta soprattutto nei dialoghi e nelle situazioni in casa Hawkins, che avvicina questo prodotto più alla sua anima british che a quella americana. Bastano pochi minuti per renderci conto che non siamo in presenza di un nuovo Gracepoint o di un The Returned: se non altro per un approccio diverso. La serie originale aveva uno stile, anche visivo, consapevolmente più controllato e artificioso, nei volti, negli ambienti, nelle luci. Qui invece quella pulizia e quell'ordine sono sporcati, oscurati, e non c'è traccia di quella ironia che permeava alcuni momenti (tutta la storyline del robot Odi).

I robot sono un ponte ideale da sempre per andare a toccare le più disparate tematiche. Se tutto andrà come crediamo, anche qui potremmo trovarci di fronte ad interessanti riflessioni sull'individualità e il senso di identità, elementi che per un motivo o per un altro già appaiono centrali in ognuna delle storyline presentate. Per non parlare dell'idea stessa, dalle molteplici letture, di delegare le mansioni più umili e "fisiche" necessarie al funzionamento della società ad un gruppo alternativo rispetto a quello dei cittadini. Da quello che abbiamo visto, quella di Gemma Chan pare essere un'ottima scelta di casting nel ruolo di Anita, lasciano un po' perplessi i volti della famiglia Hawkins, mentre William Hurt da parte sua rappresenta sicuramente un valore aggiunto alla serie.

Un buon pilot, che non riesce ad offrire molto di più a chi abbia già visto il prodotto originale e quindi a giustificare una "doppia visione", ma che se non altro offre una buona alternativa a chi si affacci per la prima volta al mondo dei synth.

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