Venezia 69: Leones, la recensione
Leones di Jazmin Lopez è una poesia, un dipinto sulla sabbia e sul mare: più che sperimentale è coraggioso come l'animale da cui prende il titolo...
Che cosa succede quando moriamo?
Cinque ragazzi vagano per una foresta. Camminano quasi senza sosta, discutono, scherzano, si baciano, si lanciano provocazioni e giochi di parole. Momenti surreali fuori dal tempo, sui margini di una storia il cui destino è già scritto.Leones di Jazmin Lopez è un saggio sulla morte: i suoi personaggi, più che di materia composti da pura percezione, sono spiriti di cristallo che percorrono inconsapevoli il cammino verso le viscere della Terra.
Non esiste temporalità nella romantica cattedrale che è la foresta in cui questi cinque ragazzi divagano erranti; non esiste memoria in questo spazio fantastico, questo "deserto senza sabbia".Nessuno – nemmeno noi – farebbe caso al paralizzato meccanismo del tempo se non ci fosse Isabel, l'unica dei cinque che si lamenta per la fame, il sonno, il freddo: è lei sola a rendersi conto che, forse, in questa camminata nell'inesauribile tramonto, c'è qualcosa che non va. Gli altri, che si spostano in branco come leoni, non si pongono domande, si inseguono guidati dall'istinto.
L'indagine di Isabel è lo stesso cammino dello spettatore verso la verità, la tragica rivelazione del finale. In un racconto popolato da spiriti, la domanda a cui cerchiamo risposta non potrebbe essere più umana: che cosa rimane di noi dopo il nostro passaggio?
Leones di Jazmin Lopez è così, una poesia, un dipinto sulla sabbia e sul mare: più che sperimentale è coraggioso come l'animale da cui prende il titolo e più che audace è delicato come i boschi di albicocchi che attraversa. E' un'avventura verso i cancelli fantastici ai confini della vita che non si perde nella retorica. Parla dell'accettazione della morte: degli altri e della propria. Una giovane prova del valore del cinema argentino.