Presentazione in grande stile per l’episodio finale di The Dropout, serie tv targata Hulu (disponibile in Italia dal 20 aprile 2022 in streaming su Disney+) che racconta la storia di Elizabeth Holmes (interpretata da Amanda Seyfried), ex imprenditrice biotecnologica statunitense condannata per frode criminale. Noi di Badtaste.it siamo stati invitati all’evento che si è svolto presso gli iconici studi della Paramount Pictures a Los Angeles.

Dopo la visione dell’ottavo e ultimo episodio all’interno del Paramount Theater abbiamo avuto l’opportunità di scambiare quattro chiacchere con Amanda Seyfried e Naveen Andrews, la creatrice della mini-serie Liz Meriwether (New Girl), il regista e produttore Michael Showalter, la produttrice Rebecca Jarvis (creatrice inoltre dell’omonimo podcast al quale la serie si ispira).

Elizabeth Holmes a 19 anni decide di abbandonare l’università e fondare Theranos, azienda che promette una tecnologia miracolosa per effettuare esami del sangue in tempi rapidi e con una sola goccia di sangue. Con la sua idea apparentemente rivoluzionaria, la Holmes riesce a raccogliere centinaia di milioni di dollari diventando una delle imprenditrici americane più ammirate tra il 2003 e il 2015. La tecnologia su cui si basa Theranos però si rivela un flop e nel 2022 la Holmes viene condannata per aver truffato gli investitori e ora rischia una condanna a 20 anni in una prigione federale e milioni di dollari di risarcimenti. La sentenza arriverà il 26 settembre 2022.

Liz, considerando che la storia di Elizabeth Holmes non si è ancora conclusa che tipo di scelte hai dovuto fare in merito al finale?
LIZ MERIWETHER: Ho aspettato moltissimo prima di decidere come chiudere la serie. A un certo punto Hulu mi ha chiamato e mi ha detto: “È ora che decidi cosa fare!”. Ma è stato davvero difficile per me visto che la storia di Elizabeth Holmes non è ancora conclusa. Abbiamo finito di scrivere la sceneggiatura nel 2019 e il finale prevedeva il viaggio di Elizabeth Holmes al Burning Man. Poi per via del Covid non è stato possibile quindi… l’abbiamo cambiato con lei che prende un Uber (ride)!

Cosa ti ha colpito di una donna come lei?
LIZ MERIWETHER: Mi ha colpito molto come la sua identità cambiasse continuamente, come se per lei fosse davvero semplice cambiare personalità. Osservavo le sue foto, anche quelle insieme all’attuale marito Billy, dopo che la sua azienda era fallita, e lei sembrava così felice; questa cosa mi confondeva, mi chiedevo “Ma cosa pensa? Ma come può essere serena?”.

Amanda, quale è stata la scena più impegnativa per te?
AMANDA SEYFRIED: La scena del confronto finale con Sunny. La sera prima ero terrorizzata e ho chiamato Liz, perché sapevo che sarebbe stata difficile, molto fisica. La preparazione per quella scena però è diventata quasi un esercizio per me perché da lì ho perfezionato la tecnica e la fisicità di Elizabeth; l’abbiamo provata moltissime volte anche perché a rendere le cose ancora più difficili era il fatto che fosse tutto un piano sequenza. La scena comportava che fossi arrabbiata e molto emotiva e che poi mi sedessi in auto dove in un certo senso tutte le emozioni mi travolgevano. Era così presa che sono andata in retro per sbaglio!

LIZ MERIWETHER: Ero molto nervosa quando ho dovuto scrivere quella scena. Avendo lavorato dieci anni scrivendo commedie mi sono sempre sentita come esonerata dal dover scrivere scene drammatiche e emotivamente pesanti. Quindi la cosa mi spaventava e mi spaventava anche girare la scena sul set, era decisamente fuori la mia zona di comfort.

Amanda, Naveen, pensate che la relazione tra Sunny e Elizabeth fosse tossica?
AMANDA SEYFRIED: Sto ancora cercando di capire la natura della loro relazione, mi sono anche chiesta perché si fossero messi insieme, sono cosi opposti ma allo stesso tempo hanno un loro senso.

NAVEEN ANDREWS: Credo che sia imperativo non esprimere giudizi su chi si interpreta. I sentimenti o giudizi personali ​​che potresti esprimere non hanno nulla a che fare con ciò che stai cercando di creare, quindi ho deciso di puntare su ciò che lo motivava emotivamente in contrasto con quello che poteva sembrare di lui; ho puntato molto sul fatto che fosse innamorato di Elizabeth. Era disperatamente innamorato di lei e disposto a tutto per amore, che è quasi romantico, in un certo senso. Ho letto che è nato come indù in quello che ora è il Pakistan, un qualcosa che sicuramente ha avuto un impatto sulla sua identità, avendo avuto una sorta di sradicamento culturale penso che abbia trovato in Elizabeth quello che a lui mancava, ma che lo ha reso certamente molto vulnerabile.

the dropout amanda seyfried

LOS ANGELES, CA – APRIL 11: Amanda Seyfried attends the FYC event for Hulu’s “The Dropout” at the Paramount Theater on April 11, 2022 in Los Angeles, California. (Photo by Frank Micelotta/PictureGroup for 20th Television)

Michael, come avete discusso le decisioni riguardo al tono che la serie avrebbe dovuto avere?
MICHAEL SHOWALTER: Prima di girare una serie abbiamo i cosiddetti “tone meetings” nei quali si parla appositamente del tono che deve avere la serie. Ne abbiamo fatti diversi e abbiamo parlato di ogni singolo dettaglio, ogni singola scena. Per me quella era la cosa chiave, perché la storia mi piaceva e volevo che lasciasse un segno. Abbiamo letto riga per riga e ci siamo chiesti, qui cosa vogliamo comunicare?

Rebecca, dopo aver dedicato così tanto tempo al podcast, cosa ti ha colpito di più della serie al quale il tuo podcast è ispirata?
REBECCA JARVIS: Una delle cose che mi ha colpito di più delle prime conversazioni con Liz Meriwether è quanto l’essenza delle serie fosse simile alla realtà. Quando sono stata per la prima volta sul set ho avuto i brividi perché mi ha ricordato gli uffici di Theranos, uffici da quali sono stata buttata fuori dalla sicurezza moltissime volte! Quando sono arrivata, sia Amanda che Liz erano di schiena, eppure Amanda mi ha ricordato Elizabeth e gli anni che ho passato a fare ricerche e a intervistare le persone che gravitavano intorno all’azienda. La scena in cui si vede che gli impiegati di Theranos provano affetto per Elizabeth rispecchia la realtà.

Uno dei problemi della tv e delle mini serie è che spesso si “allunga il brodo” per aggiungere qualche episodio in più; qui è successo quasi l’opposto, avete racchiuso una storia di 10 anni in otto episodi. Come avete gestito il materiale per riuscire a sintetizzarlo?
REBECCA JARVIS: È una storia davvero lunga ma la cosa che conta è che sia ricca in termini di persone coinvolte. Elizabeth è il punto centrale della vicenda, ma nella sua orbita ci sono tantissime persone la cui vita è stata letteralmente segnata da questa ragazza che lascia l’università a 19 anni e finisce per diventare una donna con quattro capi di accusa di frode criminale. Quello che attira il pubblico è lei, ma anche il fatto che siamo portati a chiederci: Ma come succedono cose di questo tipo? Sappiamo che le frodi sono ovunque ma come facciamo a distinguerle? A un certo punto si sapeva che la tecnologia di Theranos non funzionava, ma come si dice in America “Fake till you make it” (Fingi finché puoi). Inoltre non dobbiamo dimenticarci che all’epoca c’era molto fermento nella Silicon Valley, Mark Zuckerberg aveva appena fondato Facebook e gli investitori cercavano un’altra idea che potesse fare successo. Mettere qualche milione di dollari per questi investitori è nulla, anzi se pensano che possa comportare investire nella prossima Apple o in Uber, sono più che felici di farlo.

C’è una nota positiva in questa storia drammatica?
REBECCA JARVIS: Sicuramente le persone che hanno smascherato Elizabeth Holmes come Erika Cheung e Tyler Schulz. Quando pensi alle persone che nell’arco di 12 anni sono passate per la compagnia e rifletti sul fatto che i più giovani, quelli che potrebbero avere di più da perdere, sono quelli che alla fine hanno avuto il coraggio di andare contro di lei, penso sia una parte cruciale della storia.

Amanda, si è parlato moltissimo di come tu abbia modificato la voce, esattamente come faceva Elizabeth Holmes. Come hai gestito la cosa senza che finisse per sembrare quasi una parodia della Holmes?
AMANDA SEYFRIED: Prima di tutto è stato difficile superare le mie insicurezze. Ho dovuto andare oltre me stessa, innanzitutto per rendere giustizia a questa serie, agli scrittori e anche al fatto che è una di quelle occasioni che capitano una volta nella vita. Quello a cui puntavo era azzeccare la rappresentazione del lato umano di Elizabeth, in modo che il pubblico capisse che anche lei, come tutti noi del resto, è un essere umano complicato, non solo il villain. Quindi ho dovuto cercare di capire e fare mia la sua essenza come persona, senza perdere però di vista il fatto che questa donna ha fatto delle cose terribili. Non volevo che ci si allontanasse da questa verità e non era un equilibrio facile da raggiungere. Volevo che le persone avessero una connessione emotiva con il personaggio di Elizabeth. È il mio dovere da attrice umanizzare i personaggi che interpreto, sia che siano degli angeli o… degli stronzi!

Ti sei affidata a qualche metodo particolare per calarti nel ruolo?
AMANDA SEYFRIED: Il modo in cui i pantaloni mi sfioravano le scarpe è stato catartico. So che può sembrare assurdo ma è stata un’illuminazione e ho capito cosa intendesse Daniel Day Lewis (ride). Ognuno ha i suoi metodi di recitazione e i suoi trucchi e ho sempre capito cosa intendessero gli attori con più esperienza quando sottolineavano che la fisicità fosse cruciale, ma è solo con questo ruolo che l’ho capito davvero.

Con The Dropout ma anche con We Crashed, serie sull’ascesa e il fallimento di WeWork, pare che ci sia al momento una sorta di interesse verso i “corporate fiascos”. Perché piacciono così tanto?
MICHAEL SHOWALTER: Credo che sia un caso e che anzi se possiamo parlare di tendenza c’è quella che riguarda i podcast, ormai diventati una sorta di nuovo mezzo di comunicazione. Certamente storie come quella di Theranos sono affascianti ma quello che io trovo davvero interessante non sono solo i personaggi come Elizabteh e Adam Neumann, il fondatore di WeWork, ma la propensione della gente ad affidarsi e a credere a persone come loro. Il nostro desiderio di credere che qualcosa di unico esista, è forse un aspetto che fa parte della cultura americana. Se pensi anche al fatto che Eizabeth abbia convinto addirittura persone come Henry Kissinger, James Mattis e George Schultz.

Cosa rende The Dropout diversa da altre serie su truffe e truffatori?
REBECCA JARVIS: Questa storia è diversa dalle altre per il fatto che in un modo o nell’altro un prodotto come quello di Theranos raggiunge tutti, perché del resto tutti abbiamo bisogno di un esame del sangue a un certo punto della nostra vita, giusto? Quindi oltre a Elizabeth che è un enigma e che come personaggio è interessantissimo, siamo attirati anche dall’idea che non possiamo fidarci delle persone di cui dovremmo fidarci.

Quale messaggio positivo vuoi che arrivi al pubblico nonostante una storia come questa possa essere scoraggiante e portare le persone a non avere più fiducia nella scienza?
LIZ MERIWETHER: In questo senso credo sia importante sottolineare che negli ultimi anni ci sono stati molti attacchi alla verità oggettiva e non entro nei particolari. Ma credo vada detto che nonostante spesso si finisca per essere sempre estremamente scettici, magari perché siamo a conoscenza di storie come questa nelle quali delle persone sono state truffate, è importante sempre ricordare che una verità oggettiva esiste.

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