Ms. Marvel, She Hulk e Moon Knight sono tre personaggi Marvel molto poco cinematografici. La prima per via dei suoi super poteri, così graficamente appaganti nei fumetti, poco credibili invece in live action. Kamala Khan altera la sua forma e la sua massa, allunga le braccia (alla Mr. Fantastic), crea pugni enormi, si rimpicciolisce e così via. È comprensibile quindi nel trailer della serie siano così diversi da quelli dei fumetti.

She Hulk invece con il suo aspetto sexy e così inattuale, oltre ai molti riferimenti metafumettistici che fa nelle sue storie, non è facile da trasporre. Vedremo come le daranno vita.

Le avventure di Moon Knight sono spesso un’esplosione grafica, giocate sulla forza suggestiva del tratto e dei colori. I cambi di identità sono stili diversi, il bianco del costume abbraccia i confini delle vignette e li rompe proprio come le personalità multiple rompono i limiti della mente del personaggio.

Moon Knight

Tutti e tre questi personaggi stanno per trovare vita per la prima volta in live action con una serie a loro dedicata. Viene da chiedersi se, senza la piattaforma Disney+, avremmo mai visto un film a loro dedicato. Moon Knight, come la quasi totalità delle altre serie ad esclusione di WandaVision (che è proprio dedicata alla televisione), sarebbe stato un ottimo lungometraggio e, anche se ancora bisogna vedere gli episodi finali, la sensazione è che una minore durata avrebbe accelerato il ritmo togliendo delle sottotrame già da ora di troppo (le storie d’amore di Steven). Gli concediamo ancora un paio d’ore per stupirci e smentirci.

Serie TV: sono meno rischiose e quindi si rischia di più?

Il punto è però che le serie TV Marvel sono il luogo in cui provare a sperimentare sui personaggi minori, cercando di applicare degli stili spesso diversi anche di puntata in puntata (si veda la già citata WandaVision). Sono un luogo di creatività in fieri, sono molto più dialoganti con il pubblico. Per questo danno spesso l’impressione di non essere complete, con finali troppo aperti o non efficaci. Un po’ perché effettivamente lo sono. Un po’ perché è evidente quanto stiano ancora “prendendo le misure”.

Su Hawkeye si è testato Kingpin, insieme a un nuovo tono da commedia affidato soprattutto a Kate Bishop. Loki è stato un’anticamera della follia del multiverso, con stranezze da fumetti anni ’80 e nemici molto moderni; tanti nuovi Loki, magari per sostituire il titolare in futuro. 

Moon Knight ha trovato così il suo luogo sicuro per nascere cinematograficamente senza doversi confrontare con il botteghino, i rating, e la continuità. Una libertà che si vede sin dalla prima puntata. Non si intende certo un tradimento dello stile Marvel (c’è ancora tanta ironia e tanta energia vitale in questa serie). È semmai un luogo che permette una grammatica cinematografica, uno stile di regia, meno semplice e immediato. Per un pubblico più di nicchia e generalmente un po’ più esperto di linguaggio audiovisivo. 

Il montaggio di Moon Knight

Il regista Mohamed Diab, che viene dal mondo dei film da festival, con forte connotazione locale e dalla bassa circuitazione, si può permettere una soluzione di montaggio per pochi. Una di quelle che al cinema avrebbe frustrato parte dei paganti, in cerca di violenza estetizzata, e del costume mostrato alla svelta. Ovvero l’uso dell’ellissi narrativa come espansione dell’effetto straniante e segnale interno della scissione di identità. 

Steven Grant è Marc Spector. I due si contendono lo stesso corpo. Steven è anche un tranquillo commesso del museo egizio che si trova suo malgrado coinvolto nella guerra tra Moon Knight e Khonshu. Quando è nei guai il suo cervello va in stop e lascia spazio alla personalità del mercenario violento. Per tutta la prima puntata non vediamo però le sue azioni. Non c’è alcun massacro sullo schermo ma, ben più impressionante, ci sono solo le conseguenze. Steven si “risveglia” con le mani sporche di sangue, con i cadaveri intorno a lui, senza ricordarsi nulla di quello che è accaduto. Così anche la serie stessa cancella dalla memoria le brutalità.

Moon Knight procede così attraverso stacchi di montaggio arditissimi. Come se continuasse a negare la possibilità di trasformarsi. Restiamo attaccati al “noioso” Steven senza arrivare mai, per quasi 50 minuti, al ben più cinematografico Marc Spector. Impossibile farlo in un lungometraggio.

moon knight oscar isaac

Cosa accade tra le azioni e le loro conseguenze?

Questa scelta di montaggio amplifica però di molto la potenza di quello che vediamo. L’immaginazione costruisce orrori sempre maggiori di quelli che possono essere rappresentati. Azioni – Conseguenze. Prima – Dopo. La parentesi tagliata dal racconto è affidata alla forza creativa di ciascuno. Un bambino si immaginerà una rissa come vista spesso nei cinecomic. Un lettore di fumetti percepirà la carneficina brutale letta spesso nelle tavole.

Negli Stati Uniti non esiste la censura per l’audiovisivo, tutto può essere visto senza che venga tagliato. C’è però un sistema di rating autoimposto (e poi verificato) che attribuisce limiti di età alla visione. Moon Knight non è vietato ai minori, resta nella stessa fascia di un Ant-Man pur contenendo decisamente più violenza. Nel cinema del passato spesso i limiti hanno stimolato la creatività. I continui tagli della scena della doccia di Psycho di Hitchcock mostrano un omicidio, un coltello che smembra, e la nudità… senza far vedere niente! Siamo noi che lo ricostruiamo nella mente.

Un po’ lo stesso processo che deve fare Steven dopo che è diventato Moon Knight.

In questa serie non inizia certo in maniera perfetta, anzi, è uno degli episodi pilota più deboli fino ad ora, ma promette di essere una grande piattaforma di creatività e sperimentazione proprio a partire dai suoi limiti autoimposti ed accettati di buon grado. I confini aiutano ad innovare nello spazio conosciuto.

Moon Knight è disponibile su Disney+

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