Doveva essere una "normale" intervista quella con Robert Edsel, lo scrittore di Monuments Men, il libro da cui George Clooney e Grant Heslov hanno tratto l'omonimo film interpretato da una parata di star.

E invece vuoi per il particolare contesto in cui è avvenuta la lunga chiacchierata – all'indomani delle elezioni europee che hanno segnato il prepotente ingresso nell'emiciclo di Bruxelles di una nutrita frangia di estremisti di destra e euroscettici provenienti da svariati paesi dell'Unione – vuoi per il personale interesse che ho sempre nutrito verso la necessità di dover proteggere e tramandare la nostra memoria storica, si è trasformata in un lungo botta e risposta focalizzato proprio su questo.

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Nella tua vita sei stato tante cose. Un tennista professionista di ranking nazionale, uomo d'affari nel mercato del petrolio e del gas e adesso sei un vero e proprio portavoce del concetto stesso di memoria storica. Una svolta non da poco. Quando e come hai realizzato l'importanza di ciò?

Ho vissuto a Firenze fra il 1996 e il 2000 grossomodo e in quel lasso di tempo ho cominciato a studiare l'arte e l'architettura. Poi il caso ci ha messo lo zampino: un giorno stavo camminando sul Ponte Vecchio e ho cominciato a pensare ai milioni di vite perse durante il conflitto e a come, nonostante la distruzione portata dalla Seconda Guerra Mondiale, tantissime opere d'arte, chiese, luoghi d'interesse e rilevanza storica siano sopravvissute. Volevo scoprire grazie a chi tutto ciò è stato possibile. E ho iniziato a parlarne anche con i miei amici europei che mi hanno detto “E' una bella domanda, con una risposta non semplice”. Ho capito che le persone normali come me, te che passeggiano in un museo e hanno la possibilità di ammirare i capolavori dell'arte, si trovano di fronte a qualcosa che è tale e quale a com'era prima della guerra, scampato alla devastazione del conflitto. Ho cominciato così questo viaggio della mia vita che va avanti ormai da 15, 16 anni, tutto focalizzato sul capire come ciò sia avvenuto, su quanto siamo stati fortunati che donne e uomini di così tante, differenti nazioni abbiano rischiato le loro stesse vite per salvare questi reperti per un concetto come il bene collettivo. Come dici tu, si tratta di una svolta di un certo peso, me ne rendo conto.

E bisogna continuare a parlare di fatti come questi perché il mondo non pare aver imparato la lezione. Basta osservare a quello che accade ai patrimoni storici con le guerre in Siria, in Africa o per altri motivi anche nella stessa Italia per altri. E' una sfida che non abbiamo smesso di combattere e che dobbiamo proseguire anche e soprattutto per le generazioni future.

 

La distruzione della storia, la cancellazione della cultura sono dei rischi che corriamo ancora oggi?

Si, sono pericoli di gravissima entità. Guarda anche cosa accade a casa vostra in Italia col degrado e i crolli delle rovine di Pompei, il Colosseo sempre sotto minaccia, l'inquinamento che rischia di compromettere così tante cose anche qua a Firenze. I governi di tutto il mondo, quello italiano in particolare, non hanno i soldi necessari per prendersi cura di questo patrimonio. Nel nuovo mondo in cui ci troviamo a vivere oggi, l'arte è messa in pericolo da fattori disparati come la guerra, ma si tratta di conflitti differenti, talvolta più subdoli. Può trattarsi di un conflitto bellico come in Siria, ma altre volte tutto ruota intorno alla cosiddetta “guerra economica” per cui i soldi di cui normalmente disponevano gli stati per curare i propri tesori artistici sono spariti. In più ci si mettono anche i disastri naturali come i terremoti, che ad esempio qua in Italia hanno colpito più e più volte. Firenze deve fare i conti con l'Arno. Una guerra che assume molti volti differenti. Dobbiamo essere preparati e per farlo bisogna coinvolgere le persone, far capire quanto sia importante preservare tutto ciò, visto che a quanto pare non possiamo più fare affidamento in maniera esclusiva sulle entità governative.

 

Ovviamente per noi europei gli Stati Uniti sono ancora una nazione molto giovane. Da americano con una profonda conoscenza del nostro passato, che mi dici del differente approccio verso la storia posseduto dagli americani e dagli europei?

E' interessante, mi hai fatto una domanda davvero degna di nota e ti porgo i miei complimenti. Credo che gli europei abbiano una conoscenza più profonda della storia, un rapporto più stretto di quanto non avvenga negli Stati Uniti. Noi in America abbiamo una sostanziale differenza rispetto all'Europa, ovvero che abbiamo una storia basata molti su individui che hanno deciso di agire nel momento in cui non si riconoscevano più nella linea di decisioni del governo catalizzando poi l'attenzione delle persone, spronandole ad agire. Ora mi sembra che in Europa poi si stia vivendo una situazione in cui soprattutto i giovani stanno capendo che quello che fanno i governi spesso non è sufficiente e quindi se si vuole ottenere qualcosa ci dev'essere un maggior coinvolgimento da parte di tutti. Basta osservare il tasso di disoccupazione elevato, lo scontro fra la maniera, forse un po' obsoleta, con cui il Vecchio Continente si approccia a problemi come questi e il mondo in cui viviamo oggigiorno. Personalmente tendo a considerarmi un cittadino del mondo e penso che Europa e America dovrebbero imparare reciprocamente delle cose l'una dall'altra. Ho vissuto da queste parti così tanto che posso affermare di avere delle vere e proprie radici piantate qua, ovviamente sono cresciuto negli States. Vedo la forza di entrambi questi continenti, sono stato testimone di ciò, e bisogna ragionare insieme e imparare gli uni dagli altri. Non che questo non rappresenti una sfida sia chiaro. Bisogna affrontare con serietà la domanda del “che mondo vogliamo lasciare ai nostri figli e ai nostri nipoti?”. Se vogliamo lasciare qualcosa di buono, bisogna prendere atto del fatto che il sistema attuale non funziona.

 

Gli americani hanno anche un certo senso di colpa per aver causato -– per motivazioni prettamente strategiche sia chiaro – ingenti danni a siti d'interesse storico, durante la loro operazione di liberazione dell'Europa dal nazifascismo?

Non credo che si tratti di senso di colpa, non mi pare il termine adatto. Semmai parlerei di senso di responsabilità. Come hai puntualizzato prima, negli Stati Uniti c'è un approccio differente verso la Storia, ma abbiamo una profonda connessione, un profondo legame con la Seconda Guerra Mondiale. Si tratta di un frangente storico per cui gli americani con tutto che magari possono pure comprendere in maniera povera o superficiale la nostra stessa storia, e in maniera anche più superficiale quella del mondo intero così come la sua stessa geografia… Nel caso del secondo conflitto bellico mondiale c'è un interesse praticamente senza fine, specie in relazione al coinvolgimento degli americani in Europa. Fuori dai confini, sono morti 400.000 soldati statunitensi durante il conflitto. Mio padre è un veterano che ha prestato servizio nel Pacifico, prima di arrivare in Giappone, a Nagasaki per l'esattezza. E aveva solo 18 anni. C'è la consapevolezza dei danni fatti durante i bombardamenti, come a Dresda per esempio. E Monuments Men parla proprio di questo, della difficoltà di coinvolgere attivamente le persone nel momento in cui molti dei danni fatti sono stati a causa dei bombardamenti e dell'artiglieria americani e degli inglesi, che dovevamo necessariamente farci largo attraverso il territorio, magari tramite le coste, come in Sicilia e, soprattutto, a Napoli. Ma anche lo sbarco in Normandia. Tutto avvenimenti che hanno causato dei danni giganteschi. A case, a chiese. Ma mano a mano che i Monuments Men riuscivano a mettere in pratica la loro missione, le persone hanno cominciato a fidarsi – ed è quello di cui parlo nel nuovo libro Monuments Men: Missione Italia – e a dire loro “ci liberiamo volentieri delle nostre case se questo aiuterà a liberarci dal fascismo”. Erano stanchi di Mussolini e Hitler. Ci sono così tante storie di persone che hanno accolto i soldati americani uscendo dalle proprie abitazioni con bandiere a stelle e strisce, di bambini che andavano incontro ai militi porgendo delle mele da mangiare e magari era tutto quello che avevano. C'è stata la consapevolezza che per togliersi di mezzo gentaglia come Hitler e Mussolini certi “danni collaterali” sono stati purtroppo inevitabili. Se proprio dobbiamo parlare di “controversie” semmai circoscriverei di più il discorso alle ultime fasi della Guerra, specie in germania, come nel caso della già citata Dresda. Ma è anche vero che osservando i singoli casi poi finisce che si perde di vista il contesto, il quadro generale. E' uno dei concetti che ho imparato e di cui ho fatto tesoro studiando questi avvenimenti: non puoi prescindere dal contesto per comprendere quanto pessime fossero le circostanze contingenti. Il numero colossale di perdite umane, i desiderio collettivo di porre fine a questa follia, anche al costo di una maggiore distruzione nel breve termine.

 

Non so se hai avuto modo di seguire le elezioni europee che si sono tenute giusto ieri, ma hai appena detto delle cose molto interessanti sul concetto di libertà in Europa, di quanto sia costato a noi abitanti del Vecchio Continente il liberarci dal nazifascismo. Hai un'opinione in merito all'ascesa dei movimenti anti-europeisti o, peggio, di estrema destra avvenuta in svariati paesi come Francia, Ungheria. Pensi che sia un pericolo, un mettere a repentaglio la nostra libertà?

Devo farti di nuovo i miei più sinceri complimenti, è una domanda davvero ottima. Si, senza ombra di dubbio dobbiamo essere preoccupati dalla cosa. E non penso neanche che si tratti di un problema esclusivamente europeo fra l'altro. In tutto il mondo, anche negli Stati Uniti, assistiamo a episodi di estremismo sempre più frequenti e accesi. E accade sia nelle frange estreme della destra che della sinistra. Sia che tu ti ponga in una posizione di centro destra o centro sinistra, è un argomento che va discusso e affrontato da persone ragionevoli. Bisogna trovare delle soluzioni pratiche a problemi concreti. La disocuppazione, il modo e le maniere tramite le quali tentiamo di far si che il mondo sia un posto sicuro… Negli Stati Uniti tendiamo a complicare le cose per tutta una serie di motivi, siano essi di carattere religioso – basta che guardi alle discussioni in merito all'aborto – e anche problemi di natura che definirei quotidiana diventano complicatissimi da affrontare. Ci s'infiamma troppo a livello emotivo.

In Europa invece avete questa sfida contro la disoccupazione, arrivata a dei livelli critici. Quando il 30, 40% dei giovani non ha un lavoro, sono privi delle opportunità che i loro genitori e nonni hanno avuto, ti ritrovi a vedere che quella energia che dovrebbe essere spesa in maniera produttiva e positiva viene impiegata in malo modo. Un settantenne in Italia, o in Spagna – in Germania meno perché lì l'economia è più forte – normalmente si ritroverebbe ad avere una pensione, ma non è più un fattore automatico perché non ci sono più i soldi. Prima lo stato te la garantiva, adesso non più, quindi avrei tutto il diritto di arrabbiarmi. E se fossi anche più giovane, magari un neo-laureato che si ritrova dinnanzi al muro della disoccupazione lo sarei anche di più. Non dobbiamo nasconderci questi sono problemi reali che hanno delle conseguenze nella vita di tutti i giorni delle persone. E dobbiamo cercare di trovare tutti insieme una maniera per superare la cosa, per trovare un modello di business capace di portare benefici a tutti e non a pochi, altrimenti ci ritroveremmo ad avere gli stessi semi gettati a terra 80 anni fa in Europa. Un gruppo di persone che si alza e grida “Non è colpa nostra è colpa loro!”. Nella Germania nazista hanno dato la colpa agli ebrei, oggi sono gli immigrati che rubano il lavoro. Trovare dei capri espiatori è sempre molto semplice. E' la strada più facile e non dico nulla di epocale nel momento in cui affermo che va trovata una maniera diversa. Tutti noi dobbiamo fare dei sacrifici. Ma alla base di tutto dovrebbe esserci la comprensione reciproca, la discussione costruttiva, mentre alla base dell'ascesa di questi estremismi c'è la chiusura mentale, la visione univoca del mondo in cui “Noi abbiamo ragione e tutti gli altri hanno torto” e con un modus operandi del genere come puoi pensare di progredire e migliorare?

 

Parliamo un po' del film. Hai dato dei consigli a George Clooney sul come approcciarsi alla vicenda dei Monuments Men?

Ho trascorso un sacco di tempo insieme a George Clooney e al suo partner Grant Heslov in tutte le fasi di elaborazione del progetto. Già a partire dal momento in cui avevano espresso interesse nel trasformare The Monuments Men in film ho passato con loro un'intera settimana parlano con loro, discutendo delle numerose interviste che avevo avuto modo di fare a 18 Monuments Men negli ultimi 18 anni o anche di fatti e aneddoti di cui magari non avevo parlato nel libro per mancanza di spazio, ma che comunque dovevano sapere nell'ottica di dedicarsi a un progetto del genere. Poi nei mesi successivi si sono messi al lavoro sulla bozza della sceneggiatura per impostare il modo con cui volevano raccontare la loro storia. Gli ho dato svariati consigli che, per la maggior parte, hanno seguito, sono stato sul set in tre diverse occasioni, più che altro per osservare, non per fare altro, anche se poi magari davo qualche consiglio. Certo, la storia è così grande che ci sarebbero volute almeno tre ore al posto di due, perché si tratta di una serie di eventi difficili da condensare in un lungometraggio – basti pensare che ad esempio dell'Italia si dice poco, mentre sappiamo tutti che c'è molto da dire e per questo ho realizzato Saving Italy. Però devo dire che George, Grant, l'imponente cast di attori che hanno assemblato… Gente che avrebbe potuto lavorare a qualsiasi film avessero voluto basato su qualsiasi soggetto… Il fatto che abbiano optato per questo dice molto sull'importanza di questa storia che, prima d'ora, non era mai stata portata all'attenzione del pubblico in modo così forte.

Un ottimo modo per veicolare il concetto che se durante la Seconda Guerra Mondiale, con tutte le difficoltà del caso, siamo riusciti a condurre un'operazione del genere, oggi, se riuscissimo a superare gli impedimenti che ci dividono gli uni dagli altri, potremmo fare anche di più.

 

C'è una parte del film che ti piace particolarmente?

Ci sono tante scene che amo tantissimo. Già a partire dal prologo, in cui vediamo i milanesi intenti a salvare il Cenacolo, è una scena brevissima basata proprio sul mio nuovo libro, ma è molto forte. Chiaramente nel film è stato modificato un po' per esigenze drammatiche – vediamo chiaramente l'affresco, mentre nella realtà era protetto da un'impalcatura – ma si è trattato di un'ottima scelta visiva per rendere più chiaro al pubblico cosa stava accadendo. E mostra anche quanto di straordinario gli europei siano riusciti a tirar fuori da loro stessi, il comprendere l'importanza della preservazione dell'arte, la sua bellezza, il suo potere. Paradossalmente oggi, in cui non abbiamo a che fare con delle guerre nel senso stretto del termine – per lo meno in alcune parti del mondo – viviamo avvolti dalla bambagia data da questo senso di sicurezza, falso per lo più.

Poi mi piace anche la scena in cui camminano nel Castello di Neuschwanstein e vediamo Matt Damon sorridere perché realizza che tutte le informazioni che gli erano state date dal personaggio di Cate Blanchett erano attendibili.

E c'è quella, fantastica e toccante, in cui George Clooney fa vedere al soldato interpretato da Dimitri Leonidas – che interpreta uno dei Monuments Men ancora in vita – il dipinto di Rembrandt. Dipinto che, normalmente, stava nella sua città natale e che lui non aveva mai potuto vedere perché era ebreo e non poteva entrare al museo. Si tratta di una cosa realmente accaduta. E, alla fine, è riuscito a ammirarlo all'interno di una miniera di sale della Germania indossando la divisa di soldato statunitense. Una cosa talmente incredibile che viene quasi naturale non crederci, eppure è andata proprio così.