“Questa era Venezia, la bella lusinghiera e ambigua, la città metà fiaba e metà trappola, nella cui atmosfera corrotta l’arte un tempo si sviluppò rigogliosa, e che suggerì ai musicisti melodie che cullano in sonni voluttuosi.” Ecco quanto diceva Thomas Mann nel suo La Morte a Venezia, immortalato da Visconti nel decadente, disilluso dramma del 1971, e ben si addice all’atmosfera che, anno dopo anno, torna a ripetersi al Lido di Venezia in quei dieci giorni di sfavillante vivacità che costituiscono il Festival del Cinema.

Il meritato titolo di culla delle arti risulta, quest’anno, più che meritato, grazie alla selezione di titoli presentati dal direttore artistico Alberto Barbera a un pubblico festivaliero che, per fortuna sua e del cinema, ha allargato di molto i propri orizzonti. Ecco quindi un bouquet di fiori inusuali, una paletta bizzarra e piacevolmente eterogenea, che sembra finalmente ignorare la distinzione tra cinema commerciale e cinema d’autore, in una mescolanza che fa assurgere l’annata 2016 al vertice delle recenti edizioni del Festival di Venezia.

L’edizione in procinto di chiusura ha dimostrato il preciso – e coraggioso – intento di includere una quantità di titoli accattivanti per il grande pubblico

Se già gli anni passati hanno visto presentare in laguna opere successivamente premiate con l’Oscar al miglior film (da Gravity a Birdman, passando per Il caso Spotlight), conferendo di fatto alla Mostra un ruolo quasi profetico, l’edizione in procinto di chiusura ha dimostrato il preciso – e coraggioso – intento di includere una quantità di titoli accattivanti per il grande pubblico di certo superiore alla media; intento che ha coinciso mirabilmente con l’innalzamento generale, possiamo dichiararlo con una certa sicurezza, dei film in lizza per il Leone d’Oro.

L’apertura della mostra, affidata al malinconico musical La La Land del giovanissimo Damien Chazelle, è stato l’impavido incipit che ha preannunciato la nuova rotta tracciata da Barbera: una rotta impervia proprio perché ricca di porti finora volutamente ignorati – se non disprezzati – dal Festival, una rotta che quest’anno ha incluso, oltre al già citato Chazelle, il blockbuster fantascientifico Arrival, il pulp distopico The Bad Batch, l’esilarante El Ciudadano Ilustre, il western Brimstone. Scelte nuove, non sempre impeccabili, ma tuttavia degne di plauso e meritevoli di aver accentrato sul Lido un’attenzione certo costruita negli anni, ma che quest’anno ha raggiunto un vertice inedito.

Altrettanto intelligente e mirata è stata l’inclusione di opere dei grandi esponenti del cinema d’autore, giunti a Venezia con più perle che sassi: si pensi a Frantz di François Ozon, a Sulla Via Lattea di Emir Kusturica, a Paradise di Andrei Konchalovsky, a Voyage of Time di Terrence Malick, a Les Beaux Jours d’Aranjuez di Wim Wenders, così come al più ricercato The Woman who Left di Lav Diaz. Un’edizione, in breve, che ha saputo catalizzare suu di sé l’interesse del pubblico più ampio, senza dover rinunciare a quello della critica più orientata all’autorialità. Un compromesso felice, specchio di un cinema che sta cambiando, di una linea di separazione che si va via via assottigliando, liberandosi dagli snobismi più stantii e garantendo, potenzialmente, a ogni genere filmico una dignità autoriale a lungo negata a priori (si noti come, nel corso degli anni, la Mostra abbia imparato a includere al proprio interno anche esempi della migliore serialità televisiva, da Mildred Pierce di Todd Haynes a Olive Kitteridge di Lisa Cholodenko, per arrivare adesso a The Young Pope di Paolo Sorrentino).

Ci sono stati passi falsi in questa prodigiosa maratona intrapresa da Barbera, questo è vero: sarebbe miope e ingiusto ignorare alcuni scivoloni che, ahinoi, spesso sono coincisi con i titoli nostrani selezionati per il Concorso ufficiale. Tuttavia, in linea con una caleidoscopicità che non può evitare del tutto qualche zona opaca, l’immagine complessiva del mosaico cinematografico assemblato al Lido dà vita a un colpo d’occhio appagante e suggestivo. Ricorderemo quindi questo Festival di Venezia come trionfo di una varietà che è la vera ricchezza del cinema, oltre che – ci auguriamo – primo passo di un iter verso il definitivo affrancamento da obsoleti pregiudizi aristocratici; pregiudizi che hanno ormai perso ogni smalto intellettuale per sconfinare nel più ottuso apriorismo critico.

SPECIALE FESTIVAL DI VENEZIA

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