In occasione della premiére di Captain America: the Winter Soldier a Londra, alla quale abbiamo partecipato giovedì scorso, abbiamo avuto l’opportunità di incontrare i due registi del film (i fratelli Anthony e Joe Russo) e porgli alcune domande assieme a un gruppo ristretto di giornalisti.

Gli argomenti spaziano dalle ispirazioni per il film alla violenza di alcune scene d’azione, partendo però da un piccolo cammeo…

Nel guardare il film c’è un personaggio che somiglia molto ad Anthony. E’ un cammeo?

A – Sì, è un cammeo ma non compaio nei titoli di coda. Lo abbiamo fatto spesso negli anni, ho sempre fatto dei piccoli cammeo solitamente indossando degli occhiali e dei baffi, questa volta non avevo i baffi ma non ricordo perché. Sembravo piombato in questo film direttamente dagli anni settanta.

Pensate che questo film potrebbe attirare le critiche dei conservatori? Perché per certi versi ha dei toni ben poco conservatori…

J – Il punto è questo, abbiamo sviluppato questa storia pensando a una situazione più che a un contesto politico. E’ quel tipo di situazione che trascende l’orientamento politico, anche se ovviamente ciascun partito può trasformare un film come questo nel veicolo per il proprio messaggio.

Ci sono anche riferimenti all’NSA, il fatto che sia così attuale sorprende se si pensa che si tratta di un film dei Marvel Studios.

A – Noi abbiamo fatto un thriller politico, e ci siamo ispirati ai film degli anni settanta come I Tre Giorni del Condor, che predisse la guerra sul petrolio. E così volevamo che le tematiche affrontate nel film fossero attuali, in modo che il pubblico potesse identificarsi. Abbiamo letto moltissimo, rimanendo aggiornati con siti come l’HuffPo e BuzzFeed, o sulla CNN… siamo ossessionati dall’attualità e dalla cultura pop, non a caso abbiamo lavorato ad Arrested Development. E così ci siamo ispirati a eventi di attualità. Per esempio ho letto che Obama ha un’automobile indistruttibile, e mi sono chiesto: se lo S.H.I.E.L.D. avesse una tecnologia simile la impiegherebbe senza dubbio per l’auto di Nick Fury. E’ un obiettivo terroristico.
E come ha reagito lo studio a queste vostre scelte?

A – Ci ha supportati pienamente non appena ha capito quanto fossimo convinti della storia che volevamo raccontare. Kevin Feige, che guida la produzione di tutti questi film, ha capito subito che trattandosi del nono film nel Marvel Cinematic Universe era necessario fare qualcosa di diverso, che intrigasse il pubblico e fosse originale pur mantenendosi all’interno di una cornice che collega tutti i film. Ci ha quindi spinti a prendere delle decisioni radicali.

Molti spettatori sanno chi è il Soldato d’Inverno. Come avete costruito il momento in cui si scopre chi è?

A – Questi film vengono fatti per due tipi di pubblico: quello che conosce tutto della mitologia del personaggio, e il pubblico generalista. Dobbiamo pensare a entrambe le tipologie di spettatore mentre scriviamo la storia. Ma soprattutto, il nostro film segue il punto di vista di Captain America, e quindi volevamo che il pubblico si emozionasse come lui nello scoprire di chi si trattava.

Sappiamo che avete proposto la vostra storia a Feige e che lui e altri sceneggiatori vi hanno messo mano. Potete spiegare meglio il processo di creazione di questo film? Qual è stata la sua evoluzione?
J – Quando ci hanno coinvolti c’era già un ottimo script, di Marcus e McFeely. Era già ottimo, ma alla Marvel funziona così: Kevin Feige prende in considerazione molti registi, per Captain America 2 eravamo una decina. Iniziammo quindi un processo di selezione durato due mesi. Ci siamo incontrati circa quattro volte con lui, e ogni volta entravamo sempre più nel dettaglio delle nostre idee sul film. Noi adoriamo il genere del thriller politico e abbiamo sempre adorato i fumetti, quindi il nostro progetto ha convinto subito Feige. Così a quel punto ci hanno ingaggiati e abbiamo iniziato a lavorare con gli sceneggiatori, impostandoci proprio come quando lavoravamo in televisione, e cioè progettando tutto nei minimi dettagli (incluse le scene d’azione) e cercando di sprecare meno tempo e soldi possibile.

A – In quella fase abbiamo pensato anche ai temi del film, tra cui l’isolamento di Cap, e inserito molti degli elementi politici, cambiando un po’ la direzione del terzo atto (in un primo momento la questione dei dreni veniva gestita in maniera un po’ diversa).

J – Le cose belle di questo processo di selezione sono che 1) la Marvel vuole essere stupita, non vuole che le si propongano idee banali o già viste; 2) alla fine sapevamo esattamente come sarebbe stato il nostro film, avevamo le idee chiarissime a riguardo e dovevamo solo metterle in pratica.

Ma nello sviluppare il vostro film siete stati costretti a pensare a un modo per introdurre un episodio successivo, o il prossimo film di Avengers?

A – Dipende tutto da Kevin Feige. E’ abbastanza intelligente da tenerci informati su cosa succederà dopo, ma da non dirci troppo per evitare che ci dimentichiamo del film che stiamo facendo. Si limita a dirci: questo deve essere il miglior film possibile, quindi pensiamo a questo per ora. La storia, quindi, finisce come finisce perché per noi era il modo giusto di concludere il nostro film.

J – Noi volevamo che i personaggi arrivassero a un certo punto del loro percorso, alla fine del nostro film. E se Joss Whedon vorrà prendere le redini di questa storia potrà farlo, oppure potrà impostare le cose diversamente. Ora stiamo iniziando a scrivere Captain America 3 ma non abbiamo ancora scelto la storia, è ancora presto.

In una intervista recente gli sceneggiatori hanno parlato dell’idea di inserire William Burnside nel prossimo film. Potete commentare?

J – Abbiamo letto quella notizia e abbiamo pensato che chi ha fatto quella domanda fosse molto intelligente. Ma non possiamo né confermare né smentire.
Tornando al film, analizzandolo meglio non è solo un thriller politico, anzi si può dire che siano due film in uno…

A – Sì, penso che siano più film in uno. Il terzo atto, per esempio, è totalmente un film d’avventura. La parte politica e di spionaggio è nella prima e seconda parte, mentre il terzo atto è il classico film Marvel d’Avventura. Ma non abbiamo creato una divisione netta, era più una conseguenza naturale degli avvenimenti dei primi due atti.

J – Tenete conto che tutto quello che vedete nel film è il risultato di una domanda che ci siamo posti: cosa ci piace di Captain America? Noi siamo feticisti dell’azione, e quindi abbiamo applicato questa domanda alle sequenze d’azione, facendo scatenare Cap e facendogli utilizzare lo scudo in maniera molto creativa. Poi Cap ha un carattere molto particolare, non parla molto al contrario di Tony Stark, non comunica molto. Ma è un duro, e quindi si esprime moltissimo con l’azione.

A – Lo abbiamo paragonato a Rocky Balboa. Ha una morale, combatte per ciò in cui crede. Vogliamo vederlo vincere perché mette il mondo prima di sè. E nel film glie ne capitano di tutti i colori: gli sparano costantemente e lui deve resistere, viene picchiato, cade per decine di metri e il pubblico tiene per lui. Ricordo di aver fatto vedere il film un paio di settimane fa a mia figlia, che ha otto anni, e in una scena mi ha guardato e ha esclamato “Perché lo stai uccidendo!” – per me è stato il miglior banco di prova, ho pensato: “Terribile che me lo stia dicendo mia figlia, ma è esattamente il risultato che volevo ottenere!”

Come avete coinvolto Robert Redford? E’ stato attirato dalle tematiche del film, essendo molto attivo politicamente?

J – La prima volta che lo abbiamo incontrato ci ha rivelato: “Ragazzi, devo essere onesto con voi: non ho mai visto nessuno di questi film. Ma non vedo l’ora di iniziare! Ah, e invece i miei nipotini sanno esattamente di che film si tratta, e finalmente potranno vedere un film con il nonno!” Penso che le sue motivazioni siano state diverse, inclusa la voglia di fare qualcosa di nuovo. Ma gli piaceva anche moltissimo l’idea che vi fossero riferimenti a I Tre Giorni del Condor, chiamava il film “i tre giorni di Captain America” per via della struttura, molto simile.

A – Poi ha delle forti idee politiche, e lo attirava il fatto che questo film affrontasse tematiche così attuale. Adorava lo script, poi.

E di chi è stata l’idea di coinvolgerlo?

J – Non mi ricordo bene, penso si sia proposto per fare qualcosa, e il momento in cui lo abbiamo ingaggiato ci siamo detti che era semplicemente perfetto.

A – La nostra storia come registi, poi, è legata a lui. Abbiamo fatto il nostro debutto nella scena indipendente, andammo a Park City ma non al Sundande, allo Slamdance, ma eravamo affascinanti dall’intero fenomeno perché eravamo due ragazzi di Cleveland che grazie a quel sistema potevano farsi strada nel mondo del cinema.

Cosa possiamo aspettarci dalle scene tagliate di questo film?

A – Abbiamo lavorato moltissimo sulla sceneggiatura, e questo ci ha permesso di girare esattamente il film come volevamo che fosse. Onestamente abbiamo tagliato poco.

J – Il film è davvero simile alla sceneggiatura finale utilizzata per le riprese.

A – Tutto questo grazie alla televisione: per otto mesi devi scrivere e girare, scrivere e girare, episodio dopo episodio, e non puoi sprecare tempo o soldi. E’ un modo di lavorare molto efficiente, non ci si può permettere di girare scene aggiuntive o rigirare scene venute male. E le nostre ambizioni, per le scene d’azione, erano così alte, che alla fine abbiamo impiegato ogni minuto a nostra disposizione per l’azione. Tutto quello che non era essenziale per la storia lo abbiamo tolto e abbiamo inserito scene d’azione.

J – Alla fine saranno 6-7 minuti di scene tagliate.

Questo film è senza dubbio il più violento prodotto dai Marvel Studios finora. Ci sono molti morti e scene che farebbero pensare a un divieto ai minori: c’è mai stato un momento nel quale, in un primo montaggio, sapevate che avreste potuto ottenere il rating R?

A – Onestamente? Sì. Per diverso tempo il film è rimasto in quella situazione, ovviamente poi lo abbiamo adattato perché sarebbe stato impossibile.

J – Noi adoriamo l’azione intensa, i film degli anni settanta sono così, Il Braccio Violento della Legge è terrificante. Quel livello di intensità realistica è quello che ci piace, e visto il nostro passato da registi tendiamo a preferire un certo realismo. Prendiamo un film di supereroi e lo riempiamo di violenza realistica.

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Dopo gli apocalittici eventi a New York in The Avengers, Captain America: the Winter Soldier ci presenta Steve Rogers, ovvero Captain America, condurre una vita tranquilla a Washington, D.C. nella quale cerca di adattarsi al mondo moderno. Ma quando un collega dello S.H.I.E.L.D. finisce sotto attacco, Steve finisce immischiato in una rete di intrighi che minaccia di mettere il mondo a rischio. Unendo le forze con Vedova Nera, Captain America cerca di portare alla luce la cospirazione che si allarga a vista d’occhio, combattendo assassini professionisti inviati per farlo tacere… per sempre. Quando le dimensioni di questa spaventosa trama diventano evidenti, Captain America e Vedova Nera chiedono aiuto a un nuovo alleato, Falcon. Ma dovranno affrontare un inaspettato e formidabile nemico – il Soldato d’Inverno.

Diretto da Joe e Anthony Russo, Captain America: the Winter Soldier vede nel cast, oltre a Chris Evans, anche Emily VanCamp, Anthony Mackie nei panni di Falco e Frank Grillo in quelli di Crossbones. Rivedremo anche Samuel L. Jackson, Toby Jones, Scarlett Johansson e Cobie Smulders, assieme a Sebastian Stan e Robert Redford.

La release è fissata per il 4 Aprile 2014 negli USA, il 26 marzo in Italia.

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