Tony Scott era un regista che girava quel che c’era da girare. E se ti sei fatto le ossa nel mondo della pubblicità quel che c’è per te da girare a Hollywood (meta a cui ambiscono tutti i registi, in particolare quelli che preferiscono girare piuttosto che scrivere) è soprattutto cinema d’azione. Come tutti i mestieranti era pronto a fare cose diverse ma finiva per fare quasi sempre gli stessi film, cercando di proporre di volta in volta la sua visione dell’uomo, attraverso gli eroi proposti.

Eppure, a dispetto di tutto ciò, la carriera cinematografica di Tony Scott inizia nel 1983 con Miriam si sveglia a mezzanotte, una produzione importante della MGM (che già lo stava pianificando prima di mettere lui a capo del progetto) con Susan Sarandon, David Bowie e Catherine Deneuve. L’idea era un film sui vampiri che puntasse sull’estetica, una fotografia particolare e una colonna sonora spiazzante e Scott era sembrato il nome giusto, visto che per anni già aveva cercato di fare un film da Intervista con il vampiro di Ann Rice e, in più, maneggiava bene le immagini dati i trascorsi pubblicitari. Il lavoro è suo. Il film va a Cannes ma è un insuccesso.

 

Ci vogliono quindi 3 anni, un famoso spot Saab e un film decisamente più “sicuro” perchè Tony Scott torni a fare il regista di lungometraggi. E’ Jerry Bruckheimer, che aveva apprezzato Miriam si sveglia a mezzanotte e conosceva lo spot Saab (quello in cui una macchina gareggia con un aereo militare, potete vederlo qui sopra), a volerlo per Top Gun. Il successo è così devastante da canonizzare uno stile che il produttore (sul campo già da una decina d’anni) non abbandonerà più.

Estetica prima che contenuti, umorismo alla buona, culto dell’individualismo, dinamismo esasperato degli oggetti e un senso di velocità percepita sempre maggiore. Tony Scott è un regista tecnico, che ama più un inseguimento di un dialogo e si vede.

Jerry non abbandona il suo nuovo pupillo e gli affida il sequel di un suo precedente successo: Beverly Hills Cop 2, una commedia d’azione in stile Arma Letale che Scott sbilancia dal lato azione ed epica, il film è campione d’incassi dell’anno ma non verrà ricordato a lungo con amore. A quel punto in un solo anno gira Revenge e, di nuovo con Bruckheimer, Giorni di tuono. Il primo è un film che cerca (come capiterà più volte in futuro al regista) di mescolare una forma esasperata di romanticismo al cinema d’azione, in particolare rubando strutture e temi al noir classico per attualizzarlo, senza troppo successo.
Il secondo invece porta Top Gun sui circuiti asfaltati, riproponendone stile, formato e idee a favore del mito (fondato da quel film) di Tom Cruise. Non sono più gli anni ‘80 però e la ricerca della coolness dei personaggi non passa più per le idee e la visione di Giorni di tuono. Il film è un capolavoro di dinamismo quando si tratta di correre in auto (anche meglio degli scontri aerei di Maverick) ma crolla nella costruzione dell’eroe. In seguito verrà ricordato più che altro per la storia d’amore tra Cruise e Kidman, il che la dice lunga.

Il pregio di Tony Scott a questo punto (cioè all’inizio degli anni ‘90) è di aver capito che quel tipo di cinema d’azione comincia a scivolare via, sostituito da un altro. E così dopo aver fondato il mito di Cruise passa ad un tipo di action hero completamente diverso, Bruce Willis. Con L’ultimo boy scout dimostra di aver capito che più dell’eroe in occhiali a specchio e capelli in piega il suo cinema si presta meglio all’eroe pieno di tagli e dalla vita disastrata. Ugualmente esasperato ma dotato di una morale più forte, che lo spinge con spirito nichilista verso “la cosa giusta”.

E’ però grazie all’incontro con il copione di Una vita al massimo, scritto da Quentin Tarantino, che Tony Scott trova la piena realizzazione della sua idea di romanticismo estremo che coltivava fin dal suo primo film. Una vita al massimo è tutto quello che Tony Scott pensa del cinema noir moderno, ne esalta le doti cinetiche e riesce a fargli riprendere anche alcuni memorabili dialoghi. Il suo mestiere non sarà mai più al servizio di un film migliore, nè Tarantino-sceneggiatore troverà mai un regista così in linea con i suoi script. Anche qui l’insuccesso al boxoffice fu clamoroso.

Così nel 1993, a soli dieci anni dal suo esordio, la carriera di Tony Scott ha toccato l’apice artistico ma lui non è benvoluto dagli studios e con il film seguente, Allarme Rosso, sembra presagire gli anni che lo attendono. Il film d’ambito sottomarino con Gene Hackman e Denzel Washington (che da qui comincia ad incarnare un altro degli “eroi” di Tony Scott, quello integerrimo, con una morale e una forza intellettuale più potenti del suo coraggio) è tra i migliori del genere, tutto montaggio inesorabile e recitazione, non tenta nulla di audace ma coglie il segno. Con Allarme Rosso Scott canonizza il cinema di serie B a grande budget degli anni ‘90. Produzioni importanti per sceneggiature agili, che prediligono i fatti alle parole, ma che tramite essi sanno raccontare un mondo.

 

Il film successivo è forse il punto più basso della sua carriera: The Fan ha il triste merito di aver inaugurato la china discendente della carriera di Robert De Niro, ed è stato odiato tanto dalla critica quanto dal pubblico. Con il seguente invece, Nemico Pubblico (il suo incasso maggiore degli anni ‘90), Scott torna su territori più sicuri e prevedibili. Si tratta di una variazione molto modernista sul classico cinema della paranoia e del controllo, che riprende Gene Hackman, in un ruolo non ufficialmente legato a La conversazione, ma a furia di iperboli smarrisce il senso profondo e intimo della fobia da controllo. Al pubblico però piace.

Negli anni 2000, ritornato un regista di successo, Tony Scott continua a dirigere storie dalle trame svelte, spesso cercando il sensazionalismo pubblicitario nei contenuti.

Se dunque l’inizio è controcorrente, con Spy Game (un film di spionaggio che cerca nella forma e nell’ambientazione di riprendere il cinema del genere anni ‘70, ma con le solite involuzioni iperboliche), il proseguio con Man On Fire (un uomo solo vendica la sua famiglia) e Domino (il film in cui Keira Knightely fa un soldato spietato) segna invece una crisi di personalità e di genere (l’action movie ad alto profilo di inizio anni 2000) inesorabile.

Incapace di trovare il “suo eroe”, con Deja Vu torna un’altra volta al suo integerimmo Denzel Washington, più fibra morale che muscoli, in un thriller anche troppo audace, che non riesce ancora una volta a giustificare con il suo romanticismo macchiato d’epica le incredibili esagerazioni della trama. Il successo è buono, Washington è a quel punto uno dei divi maggiori di Hollywood e anche se nel film non muove un passo porta ottimi incassi.

Siccome, come detto, Tony Scott è un regista che gira quel che c’è da girare, nell'epoca dei remake non se fa mancare uno. Nel 2009 (ancora con Denzel Washington, questa volta occhialuto) deve rasare i capelli a John Travolta per trovare l’unica idea degna di questo nome di Pelham 1 2 3, remake infame di uno straordinario thriller venato dall’ironia di Walter Matthau, che cerca di ritrovare nella velocità della metropolitana il primo Scott, quello del cinetismo esasperato, del movimento instancabile davanti all’obiettivo.

 

 

Se però Pelham 1 2 3 fallisce il ritorno alle origini, è un progetto minore (il suo ultimo), Unstoppable, a ritrovare la vena del Tony Scott prima maniera. Senza la patina gloriosa degli anni ‘80, senza la fibra di alto profilo dei suoi eroi abituali, stavolta prende il suo Denzel Washington e lo abbassa più che può per renderlo un bolso macchinista, in una storia che non si vergogna di stiracchiare oltre l’umano un fatto vero. Come per i migliori B movie la trama la si racconta tutto in una riga: “C’è un treno lanciato al massimo senza pilota. Qualcuno lo deve fermare”. Quel qualcuno non è più un fantastico pilota, un eroe solitario che arriva in moto, un perduto eroe romantico o un uomo dalla morale incrollabile ma un eroe stalloniano, un perdente della vita, sconfitto dai drammi della quotidianità, un umile che fa quel che è giusto.

La furia dei treni di Unstoppable – Fuori Controllo, il senso di movimento e di disperazione collegato alla velocità che riesce a trasmettere il film, sono il miglior Tony Scott da almeno 20 anni a questa parte e, per fortuna, un commiato non dai grandi incassi o dai budget milionari ma dalla riuscita onesta e all’altezza di quanto espresso nella sua carriera.