Solo pochi giorni fa da queste pagine raccontavamo della ben poco promettente proposta di legge che si sta facendo strada negli Stati Uniti e che minaccia di obbligare i provider di connettività a monitorare i contenuti e inibire l'accesso a quelli identificati come lesivi delle leggi sul copyright. Una norma che, se approvata, sarebbe liberticida e fortemente censoria, nonchè una novità per il panorma statunitense. Da poco per fortuna anche in Europa è stato sancito che il controllo preventivo non è possibile da parte dei fornitori di connessione e ora a farne le prime spese è Mediaset.

Il grande colosso televisivo italiano infatti aveva chiesto a Google di rimuovere contenuti lesivi del proprio copyright da un blog della sua controllata Blogspot. Si trattava delle partite di calcio di serie A mandate in streaming. Google ha ottemperato alla richiesta, rimuovendo tutto, come peraltro gli impone il proprio codice di condotta (a richiesta di rimozione per violazione di una qualsiasi norma, la piattaforma procede). Mediaset ha però voluto di più e ha cercato di ottenerlo per vie legali. Voleva cioè che i fornitori di servizi (legalmente noti come "Intermediari di comunicazione") si facessero controllori in maniera preventiva, ovvero che fosse Google a monitorare la propria rete ed eliminare automaticamente qualsiasi contenuto violasse un copyright Mediaset. La corte ha stabilito che la richiesta non può essere esaudita, poichè un controllo preventivo del genere andrebbe a ledere il diritto alla libera espressione.

In materia esiste infatti una normativa comunitaria che parla chiaramente: "il fornitore del servizio non può essere assoggettato all'onere di procedere ad una verifica in tempo reale del materiale immesso dagli utenti". Le motivazioni più immediate sono di logistica (sarebbe davvero impossibile) ma è inoltre specificato che quantunque esistessero mezzi tecnologici in grado di rendere l'operazione fattibile, lo stesso la cosa contrasterebbe con la libertà di opinione.

Dunque ora è ufficiale: Mediaset, come chiunque altro, deve controllare da sola se qualcuno viola i propri contenuti e richiedere a Google (o a chi fornisca il servizio attraverso il quale tali contenuti sono distribuiti) la rimozione.

Ma le nostre società detentrici di diritti non sono le sole a pretendere.

E’ stata portata all’attenzione dei tribunali statunitensi solo pochi giorni fa una delle cause più astruse mai sentite. I protagonisti sono YouTube, Universal e Megaupload ma non nei ruoli che si possono immaginare.

E’ accaduto infatti che Megaupload ha prodotto un contenuto proprio, autonomo e legale (un evento!), ovvero un video in cui diversi artisti lo celebrano, una cosa pubblicitaria. Si va Kim Kardashian a Will.I.am fino a Chris Brown e Sean “non mi chiamo più Puff Daddy” Diddy: tutti cantano, parlano o scherzano a proposito di quanto sia buono Megaupload. Il video è andato su YouTube chiaramente e Universal ha chiesto l’immediata rimozione, cosa ottemperata dall’aggregatore.

Come mai Universal abbia fatto questo è presto detto, la casa sostiene che in quel video ci siano artisti sotto contratto con loro e sostiene che alcuni di questi, come Will.I.am, siano daccordo con la richiesta di rimozione.

A questo punto è Megaupload a fare causa, chiedendo spiegazioni: il suo video non viola nessun copyright e tutti vi hanno preso parte spontaneamente. L’atteggiamento peggiore, secondo Megaupload, sarebbe quello di YouTube, che senza criterio rimuove sistematicamente il video anche se continuamente uploadato da diversi utenti. Tempo fa Cory Doctrow già aveva segnalato questo atteggiamento scriteriato di YouTube, che assegna il diritto d’autore su qualcosa a chiunque lo rivendichi.

In più, sorpresa delle sorprese, Will.I.am è intervenuto sostenendo di non essere d'accordo con un bel nulla, di aver preso parte al video e di non aver mai richiesto nessuna rimozione. A detta di David Robb, CEO di Megaupload, la Universal si rifiuta di discutere, non vuole sentire ragioni e da Megaupload vuole solo risarcimenti e scuse. Difficile non pensare che questo atteggiamento non abbia nulla a che vedere con il core business di Megaupload, ovvero le tonnellate di video coperti da copyright che ospita. Ad ogni modo questa volta sembra proprio il pirata ad essere oggetto di maltrattamento legale.