Adatta Simenon e cambia completamente stile. Nobile da una parte, un peccato dall'altra.

La carriera da regista di Mathieu Amalric (forse il migliore della sua generazione di attori francesi) era stata lanciata definitivamente a Cannes in maniera per nulla stupida con Tourneé, film tutto macchina a mano e atteggiamento duro, molto sporco e dotato di un finale indimenticabile, un urlo in playback che era una dichiarazione d'amore alla vita spettinata.

Qui invece siamo dalle parti della focale corta, molti sfocati, oggetti ripresi da vicino, montaggio per dettagli, colori saturi, tramonti che entrano dalle veneziane, sudore patinato su corpi nudi e una storia torbida da ricostruire (non a caso) con stile letterario. Il risultato, purtroppo è molto meno vitale.

Il motivo, verrebbe da dire subito, è facilmente imputabile al fatto che Amalric, a vederlo, sembra molto più simile allo stile di regia di Tourneé che a quello di The blue room, molto pi...