Dopo la classifica di Andrea Bedeschi e quella di Gabriele Niola, ecco una nuova lista di film promossi e bocciati del 2012, questa volta a cura di Alessia Pelonzi.

I PROMOSSI DEL 2012

Suvvia, non fate quella faccia. Anche voi avete sicuramente la vostra piccola classifica in mente. Probabilmente più azzeccata della mia, ma si sa come si dice in questi casi… de gustibus non est disputandum. Ah, un ultimo avvertimento: no, non è che mi sono dimenticata di inserire capolavori conclamati come Amour, Quasi Amici e compagnia bella: semplicemente, la sorte infausta ha voluto che mi sfuggissero. E, per quanto io possa essere cialtrona, non mi arrischierei mai a giudicare un film senza averlo visto (e magari rivisto).
 

  • Argo: se con The Town aveva confezionato un buon action-movie, con questa seconda opera da regista Affleck si conferma potenziale nuovo talento del cinema americano ed abile narratore di una storia costantemente in bilico tra verità e mistificazione.
  • Attack the Block: fantascienza nei sobborghi londinesi. Opera prima del comico Joe Cornish, il film è frutto del lavoro di squadra della premiata ditta che ci ha regalato Hot Fuzz e L’alba dei morti dementi. Attori giovanissimi e umorismo piacevolmente citazionista per una pellicola che diverte e terrorizza. Non vi basta?
  • Cesare deve morire: un’idea semplice ed efficace, Shakespeare portato in scena da carcerati. Ci volevano due registi ottantenni per vedere qualcosa di vagamente nuovo nel panorama italiano.
  • Dark Shadows: non all’altezza dei suoi capolavori, potremmo dire. Ma comunque lontanissimo dallo strazio sconnesso di Alice in Wonderland. E se Johnny Depp può aver stancato con le sue consuete smorfiette, il film regala comunque una sana dose di divertimento macabro.
  • Hugo Cabret: Scorsese in salsa fantasy? Non del tutto vero: piuttosto, uno sfavillante omaggio al cinema delle origini, che recupera lo sguardo meravigliato e sognatore dei primi cineasti della storia. Un film discontinuo, che per una volta trae beneficio dall'improvviso cambio di direzione da storia infantile a dramma adulto di redenzione e riscatto. Un paradiso per gli occhi, una commovente panacea per il cuore.
  • Hunger: distribuito in Italia con vergognoso ritardo di quattro anni: l’inferno del carcere di Long Kesh, la lotta di Bobby Sands e di altri detenuti fino all'estremo limite umano. Un affresco impressionante, artisticamente ineccepibile, attorialmente superbo. Steve McQueen viene dalla videoarte, ma non cade nella trappola dell'autocompiacimento estetico. Sceneggiatura adamantina.
  • Il Cavaliere Oscuro – Il Ritorno: si poteva fare di meglio, e lo si poteva fare in meno di tre ore. Una bella parabola sull’onore, fiaccata da un finale discutibile. Anne Hathaway/Catwoman è sensuale quanto uno scolapasta, ma conquista in carisma ciò che perde in sex-appeal. Bale monoespressivo e fastidiosamente antieroe, Hardy bravo anche solo con gli occhi, Oldman e Gordon-Levitt veri motori del film.
  • Il Dittatore: volgarissimo, è vero, ma in confronto alle imbecillità italiote la satira di Baron-Cohen è raffinata quanto un film di Tarkoskij. Ed ha il merito di sparare a zero su tutti, senza il vezzo intellettualoide di alcun colore politico.
  • J. Edgar: Eastwood racconta il capo dell’FBI con una sensibilità che fa perdonare anche qualche scivolone nella banalità. Una biografia sapientemente orchestrata sulla dicotomia tra Hoover pubblico e privato, mettendo da parte il giudizio senza intenti revisionisti. Un’avvincente carrellata storica, un dilaniante ritratto umano, una disperata storia d’amore.
  • John Carter: inspiegabile flop al botteghino, il prodotto Disney dedicato al precursore di tutti i romanzi fantascientifici del Novecento. Un trionfo di colori spalmato su una trama non certo originale, ma comunque avvincente.
  • Killer Joe: irriverente e imprevedibile, ferrea come la piece teatrale da cui è tratta, la sceneggiatura del film di Friedkin offre ad un cast di attori in stato di grazia l’occasione per litigarsi la scena. Godibilissimo.
  • La Talpa: George Smiley è l’anti 007, dimesso e silenzioso, che si muove in un gioco di alleanze e segreti che segue la strategia di una partita a scacchi. Un film d’attori baciati dall’ispirazione, che sotto la guida di Alfredson costruiscono una spy-story profonda fino ad assumere il sapore di una tragedia sentimentale di uomini soli. Oldman nella sua migliore interpretazione. Menzione speciale all’ottimo Mark Strong.
  • Lo Hobbit – Un Viaggio Inaspettato: l’avventura del giovane Bilbo che abbandona le comodità domestiche per seguire uno stuolo di nani incazzatissimi è un susseguirsi di orgasmi visivi mai sperimentati prima d’oggi, in un climax drammatico che promette bene per i due capitoli a venire.
  • Margin Call: film indipendente e costellato di attori con la carriera un po’ in crisi. Il collasso della Lehman, prima tessera a cadere nell’effetto domino della crisi economica U.S.A. del 2007, offre all’esordiente J. C. Chandor lo spunto per realizzare una folgorante opera prima. Avvincente anche per chi, di economia, non ci ha mai capito un tubo.
  • Marilyn: una biografia fin troppo tradizionale, illuminata dall’inizio alla fine da Michelle Williams, che infonde nuova vita alla bionda, sfortunata attrice hollywoodiana. Al suo fianco un Kenneth Branagh nel ruolo di Laurence Olivier, ed il passaggio ideale di testimone tra questi due mostri sacri del teatro inglese è una scelta vincente. Da vedere.
  • Prometheus: maestoso e inquietante, il film di Scott usa la fantascienza per veicolare una storia di padri, di figli, di arroganza e di sacrificio. Nella cornice immaginifica creata dall’arte di H. R. Giger, già impegnato nei concept di Alien. Buchi di sceneggiatura, eppure non si sgretola. Chapeau.
  • Reality: un nuovo Don Chisciotte per Matteo Garrone, che racconta con tono giocoso e al contempo tragico l’ossessione dilagante per il divismo televisivo e per quei famigerati quindici minuti di popolarità profetizzati da Andy Warhol.
  • Shame: il gorgo della dipendenza osservato con sguardo lucido e messo in scena con precisione cruda e raffinatissima. Il sesso come ingranaggio meccanico che stritola tra i propri denti Brandon, devastato Ulisse moderno che vagabonda alla ricerca di un approdo sicuro. Michael Fassbender, in un ruolo quasi impossibile, secerne talento da ogni poro e genera la migliore interpretazione maschile del 2012.
  • Skyfall: la migliore regia mai vista in un film di James Bond, che nobilita una sceneggiatura povera di colpi di scena ma accattivante per l’inedita profondità psicologica. Bardem e Dench da manuale.
  • Take Shelter: ucciso da una distribuzione che definire limitata è un mero eufemismo, è un potente affresco sull’ossessione e sul senso della verità, in un Ohio intriso di cupi presagi mortiferi. Michael Shannon, con questa interpretazione, si conferma un capolavoro in carne ed ossa.
  • Ted: il tenero orsetto sporcaccione conquista e, per certi versi, commuove. In fin dei conti, un film più tradizionale di quanto le sue demenziali scurrilità lascerebbero ipotizzare.
  • The Avengers: l’ironia era l’unica chiave possibile per rendere commestibile questo minestrone di supereroi. Imperfetto, ma divertente come nessun altro film di derivazione fumettistica. Nota di merito a Mark Ruffalo, finalmente un Hulk azzeccato, e a Tom Hiddleston, villain poco temibile ma piacevolmente shakespeariano.
  • The Iron Lady: un biopic mai banale, che sfrutta lo sguardo della protagonista come filtro sui fatti da lei vissuti. Meryl Streep ha vinto un’Oscar con quest’interpretazione, e non ce ne stupiamo: è talmente credibile da far risultare poco credibile la vera Thatcher. Il suo talento surclassa la realtà.
  • Vita di Pi: retorico e di tanto in tanto ingenuo, ma comunque suggestivo ed emozionante grazie all’eccelso gusto visivo del regista Ang Lee. Il naufragio del giovanissimo Pi diventa occasione di riflessione sul divino e di contemplazione delle meraviglie del creato, anche nelle situazioni più pericolose.
  • W. E.: riuscito a metà lo strano biopic di Madonna su Wallis Simpson, moglie di Edoardo VIII d’Inghilterra. Visivamente magistrale, inficiato da alcuni banali scivoloni nel melò più zuccheroso. Di due storie che si intrecciano, solo una è realmente avvincente. Ma basta a motivare il prezzo del biglietto.

I BOCCIATI DEL 2012

Vale lo stesso discorso dei promossi: non boccio film senza averli visti. Lo ammetto, la tentazione in alcuni casi è fortissima, ma ho un’etica che me lo impedisce (almeno in pubblico). Ergo, ci sono alcuni illustri assenti dalla seguente lista. Spero vogliate perdonare le mie lacune.

  • Bel-Ami: Guy de Maupassant violentato da un adattamento televisivo (nell’accezione peggiore del termine) e semplicistico, reso ancor più infausto dall’interpretazione di Robert Pattinson, ispirato quanto un venditore di materassi e sensuale come un sacco di patate.
  • Bella Addormentata: una serie di storie intrecciate a formare un affresco gelido quanto un Calippo. Tanti drammi e totale assenza di interesse sentimentale verso di essi. Ottima prova di tutto il cast, che riconferma (non che ce ne fosse bisogno) il talento di Bellocchio regista d’attori.
  • Biancaneve e il Cacciatore: in un film dove la più bella del reame retto da Charlize Theron è Kristen Stewart, può accadere di tutto. Persino che il cacciaThor Chris Hemsworth risulti bravo. I colpi di scena, purtroppo, finiscono qui.
  • Biancaneve: diciamola tutta, a parte il film di Disney datato 1937, il resto degli adattamenti della fiaba dei fratelli Grimm è abbastanza trascurabile. Non fa eccezione questo film di Tarsem Singh, nobilitato solo in parte dai geniali costumi della compianta Eiko Ishioka e dalle brillanti performance di Julia Roberts e Armie Hammer.
  • Colpi di fulmine: la bocciatura mi pesa perché, pur soffrendo del retaggio di anni ed anni di cinepanettoni, quest’ultimo prodotto vira su una comicità certo più raffinata. E, come dovevasi dimostrare, non sbanca il botteghino.
  • Com’è bello far l’amore: apoteosi dell’italica sciattezza filmica con una marcia in più: il 3D. Perché la mediocrità sia immersiva al 100%.
  • Cosmopolis: Pattinson uomo in carriera deve attraversare la città per tagliarsi i capelli. E qualcuno vuole farlo fuori. Dopo cinque minuti, ci auguriamo che il killer metta subito fine alla vita dello yuppie e, con essa, al nostro strazio. Pasticcio verboso della peggior specie.
  • I 2 soliti idioti: cosa c’è di peggio degli insopportabili sketch comici (?) del duo di guitti Mandelli-Biggio? Un film composto da codesti sketch. E poi un alto film. Un sequel. Questo. Il fatto che sbanchi il botteghino e che i giovani ci si riconoscono rende l’Italia un luogo degno d’essere abbandonato seduta stante.
  • Le 5 Leggende: delizioso, se avete meno di cinque anni. Superata quell’età, una melassa intollerabile e priva di qualsivoglia guizzo creativo. Zero pathos, zero colpi di scena.
  • Le Belve: un’ode alla giovinezza, alla marijuana ed all’amore libero. Nonché all’insopportabile voice over dell’imbalsamata protagonista Blake Lively ed all’insensato bisogno di salvarla da parte dei suoi due baldi trombamici. Bravi Travolta, Hayek e Del Toro, ma non bastano a sostenere il peso della noia.
  • Magic Mike: tanta bella carne al vento, stop. Non che Soderbergh volesse fare altro, intendiamoci. Ma questa schiera di stupendi maschi che si spogliano vale il prezzo del biglietto? Decisamente no. Se siete in vena di bei muscoloni, c’è già Internet.
  • Magnifica presenza: altresì detto Paranormal Passivity. Il trionfo del kitsch, la versione esagerata e ridicola di tutto ciò che vi è di brutto nel cinema di Ozpetek. Con la perdita di tutto ciò che vi è di bello. Platinette a capo di una sartoria di trans la dice lunga sul potenziale trash della pellicola.
  • Pietà: una storia straziante e cruda, recitata benissimo. Malgrado ciò, nemmeno l’ombra di un sentimento compassionevole. La pietà viene narrata e mai realmente suscitata. Peccato.
  • Ribelle – The Brave: animazione 3D splendida, una Scozia medievale suggestiva che diventa teatro di una storia deboluccia e traballante, tenuta in piedi unicamente da qualche brillante trovata comica. Da Disney e Pixar era legittimo aspettarsi di più.
  • The Amazing Spider-Man: se non fosse mai esistita la trilogia di Raimi, forse potremmo anche evitare la stroncatura a questo giocattolone sconclusionato. Ma si da il caso che la trilogia di Raimi esista eccome, e che sia anche recente. Nonché nettamente superiore alla presente, smorta rilettura.
  • Hunger Games: i giochi della fame portati avanti da un’attrice che ha l'aria di aver passato gli ultimi sei mesi a rimpinzarsi di cotechino e abbacchio: una premessa discutibile persino in un film fantasy.
  • The Raven: come prendere Edgar Allan Poe, i suoi romanzi e confezionare un film senz’anima, costruito su un giallo che fa acqua da tutte le parti. Peccato, col materiale a disposizione e con un John Cusack (finalmente) in parte, si poteva davvero sperare in qualcosa di meglio.

  • The Twilight Saga: Breaking Dawn – Parte 2: meno peggio degli altri film della tremenda saga vampiresca per un solo, fondamentale motivo: è il capitolo finale.
  • To Rome with Love: Woody Allen va a Parigi e confeziona un gioiellino come Midnight in Paris. Viene a Roma e confeziona una cartolina imbarazzante. Colpa nostra o colpa sua? Ai posteri l’ardua sentenza.
  • Total Recall: remake di Atto di forza. Remake di cui nessuno, ma proprio nessuno sentiva il bisogno.
  • Un giorno speciale: il giorno sarà pure speciale, ma il film di Francesca Comencini di speciale non ha davvero niente. Sceneggiatura sciatta che tenta la strada di una critica sociale trita e ritrita.
  • War Horse: appagante staffetta di grandi attori britannici che, diretti da uno Spielberg col cervello in vacanza, riescono a dar lustro ad un film oggettivamente brutto. Di quella bruttezza che rattrista, perché l’idea di base era notevole, ma questo racconto corale sulla Grande Guerra si sfilaccia senza mai far affezionare, fino alle finali lacrime ricattatorie in pieno stile zio Steven.