Chi da questo giovedì andrà a vedere The Lobster in sala si troverà di fronte uno dei film più curiosi dell’anno e anche uno dei meno classificabili. Nell’ultima opera di Yorgos Lanthimos si sposano uno scenario lontano da qualsiasi plausibilità con l’evidente intenzione di usarlo per parlare di quello che viviamo tutti i giorni.

C’è al centro di tutto un luogo, un hotel in cui le persone single vengono spedite e “concentrate”, se lì, in quella che pare una SPA, non riescono ad accoppiarsi entro due mesi, cioè a trovare un partner e stabilire una relazione sentimentale, saranno trasformati in un animale a loro scelta. Il protagonista (Colin Farrell) avrà non poche difficoltà e finirà con lo scappare nel bosco dove incontrerà dei ribelli che praticano invece l’astensione forzata da qualsiasi sentimento. Lì dove non dovrebbe, ovviamente, si innamorerà e ricambiato.

Si ride, si rimane interdetti e ci si stupisce di come possa essere stata partorita non solo una simile trama ma anche l’idea di un cinema così fuori fase (non è una novità per Lanthimos che aveva girato in questa maniera già Dogtooth e Alps). Per fortuna è arrivata la possibilità di parlare al telefono con il regista, visto che a Cannes (dove ha vinto il premio della Giuria), stando in concorso, era inavvicinabile, ora che il film esce nelle sale italiane.

L’ispirazione per questa storia mi è venuta dalla vita vera. Penso che l’amore e le relazioni sentimentali siano importanti per tutti in tutto il mondo, non posso fare a meno quindi di osservare come vadano e la terribile pressione che viene messa addosso alle persone perché queste funzionino. Per non dire poi della pressione che mettiamo su noi stessi!

Tutto questo come diventa un film come The lobster?

Nel film non parlo direttamente di questi temi nè mi pongo direttamente interrogativi che pure mi interessano come “Esiste l’amore? Come lo si può trovare?”. La tecnica è un’altra: spingo all’estremo le condizioni perché possano rivelare qualcosa in più sui soggetti coinvolti.

Eppure per ogni film che fai sembri sempre chiederti se ci sia una salvezza dalle costrizioni della società e la risposta pare essere sempre negativa

Non lo so. Probabilmente questa è la tua visione delle cose, io non credo che siamo sempre condannati. Credo invece i miei film abbiano a che vedere con le domande: “Siamo condannati o possiamo migliorare? Può un singolo cambiare le cose?”

Non diresti che i tuoi film sono portatori di punti di vista abbastanza pessimisti sulla società?

Io non credo di essere così netto nè voglio dare una simile risposta, credo gli spettatori debbano farsi la propria idea dei film, per questo tendo a finirli in maniera ambigua. Di certo mi interessa esplorare le parti più complesse del funzionamento della società perché è così che riesci a chiederti come funzioni il mondo e se sia giusto per tutti o che ne sia di chi vuole essere diverso, se sia libero di essere come vuole o meno. Io non trovo interessante esplorare ciò che funziona bene nella società, per questo mi focalizzo sull’opposto ma lo stesso penso che la risposta finale sia per ognuno diversa.

Alla fine però nei tuoi film vivere assieme ad altre persone richiede sempre un po’ di odio

Io non credo sia proprio richiesto ma semmai che è parte quotidiana delle nostre vite. Non saprei dire se sia la nostra natura o se è come la nostra società sia strutturata a tirarlo fuori, quel che vediamo però è che quando vengono coinvolte persone diverse all’interno di un sistema con delle regole inevitabilmente sorge un conflitto e forse sì, anche odio.

Di certo tutte le ambientazioni di fantasia dei tuoi film somigliano a prigioni. La famiglia di Dogtooth, il lavoro di Alps e qui l’hotel (ma forse anche la foresta). Come mai i tuoi personaggi non sono mai liberi?

Perché mi chiedo se siamo davvero liberi nella nostra vita e nella nostra società. Viviamo tutti secondo regole e tradizioni differenti, siamo educati tutti in una certa maniera e siamo abituati ad una certa idea di vita. Alla fine in molti aspetti della vita e delle nostre relazioni non siamo liberi e credo sia importante. Ad ogni modo non ho una vera risposta, per questo faccio film.

Questo è molto un film di location, dove le hai trovate? Erano quello che avevi in mente o ti sei lasciato del margine per farti sorprendere dallo scouting?

Erano quello che volevo, molto simili a quello che avevamo scritto con gli sceneggiatori. Mi serviva un hotel remoto e circondato da una foresta, un palazzo grande con una certa storia dietro ma un tocco moderno, uno che desse l’idea di idilliaco ma anche di prigione. L’ho trovato in Irlanda.

Per la prima volta lavori con un cast internazionale. È stato complicato raggiungere quel particolare stile di recitazione dei tuoi film? Immagino abbiano degli ego maggiori degli attori greci cui eri abituato…

No, no davvero. Ognuno ha una sua scala di ego e non ha a che vedere con l’essere una star o un attore internazionale, ho conosciuto attori egoisti sconosciuti. Questi attori sono stati fantastici, non abbiamo nemmeno fatto delle prove perché venendo da tutte le parti del mondo non c’è stato modo, eppure tutto ha funzionato. Ha aiutato anche il fatto che il testo è molto particolare, ha una certa voce e un certo stile e quando reciti qualcosa di diverso è facile che tu finisca per recitare diversamente.

È il tuo primo film internazionale. Come ti trovi a lavorare fuori dalla Grecia in un ambiente straniero?

La coproduzione europea è una struttura più complessa di quelle cui ero abituato, ma devi capire che in Grecia non c’è struttura, non c’è un’industria del cinema, i film si fanno in amicizia, quasi senza pagare e con troupe minuscole. Che paragoni posso fare? Stavolta abbiamo pagato tutti! Prima filmavo a casa di amici e chiedevo i pezzi di set in prestito, erano lavorazioni estreme. Il bello di lavorare così è che prende parte al film solo gente che ci tiene o che ti vuole bene, mentre in una lavorazione seria c’è anche chi lo fa solo per soldi, del film se ne frega ed è abituato a fare le cose a modo proprio. Ovviamente dall’altra parte sono anche contento di poter lavorare in tutte le parti del mondo con attori da tutte le parti del mondo a film che possono girare di più di quelli realizzati in greco.

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