Ariaferma racconta di carcerieri rinchiusi insieme ai carcerati. Insieme aspettano il trasferimento e la chiusura della struttura che li ospita, ormai troppo vecchia e decadente per essere a norma. Con poco cibo a disposizione e in netta inferiorità di personale le guardie dovranno tenere a bada i dodici detenuti evitando una rivolta. Nonostante l’incipit da thriller, il regista Leonardo Di Costanzo si concentra però su altro, fa un film che segna un ritorno del cinema civile italiano, come detto da Silvio Orlando durante l’attività di presentazione del film. 

Generalmente racconto situazioni in uno spazio tempo molto ristretto senza particolari picchi drammatici. Mi interessa la quotidianità, i movimenti dei personaggi” ha detto il regista descrivendo la sua predilezione per la vita reale, scevra da alcun filtro, sia esso narrativo o semplicemente il vetro dell’obiettivo. Talvolta gli eventi della cronaca superano la narrativa: “nella vita reale succedono cose inammissibili se scritte. Io vengo dal documentario che non ha problemi di credibilità. Perché racconta ciò che succede nella realtà. Nella finzione è diverso ma ho voluto mantenere lo stesso tipo di narrazione credibile”. Per questo Di Costanzo ha cercato di spiegare nei primi dieci minuti di film allo spettatore che tutto conta e che ogni elemento in scena è importante. 

Uno spunto ripreso da Toni Servillo, che ha indossato la divisa al cinema per la prima volta nella sua carriera. Durante una cena tra carcerati e guardie carcerarie, momento chiave in Ariaferma, ha dosato la sua recitazione per creare l’imbarazzo. In particolare nel momento della richiesta di portare in tavola il vino (chiaramente ottenuto di contrabbando dai detenuti). L’attore ha spiegato che la creazione di Ariaferma è stata piuttosto insolita, data l’enorme disponibilità di tempo e risorse concesse dalla produzione per arrivare al migliore risultato possibile. Hanno così potuto discutere e cambiare alcune scene, esplorando la storia e i personaggi direttamente sul set. 

Silvio Orlando, che condivide la scena con Servillo, considera quello di Ariaferma un ruolo generato dalla sua maturità artistica. Interpreta infatti un personaggio lontano dalla sua zona di comfort. È un carcerato, per quanto dall’animo buono, sofferente e contrastato.

Credo che per ottenere dei risultati bisogna rischiare, e per fortuna il nostro è un pezzo di cinema che ancora può permetterselo. Il mio personaggio lo considero come quello della maturità attoriale. Fino a un po’ di anni fa, con l’attitudine bonaria che ho, mi sarei spaventato a interpretare questo ruolo. Con gli anni però si impara a recitare anche con le pause, con i silenzi e i non detti. 

Ariaferma si occupa del tema molto caldo in Italia del sovraffollamento delle carceri e delle condizioni di fatiscenti in cui versano queste strutture. Una vicinanza con la cronaca che ha fatto definire l’opera a molta stampa come “necessaria”. Toni Servillo non è però completamente d’accordo. 

In Italia abbiamo le galere più affollate d’Europa. Questo fatto rende quindi necessario che se ne parli. Però la qualità del film non si appiattisce sulla cronaca, credo che abbia un valore oltre questo aspetto e diventa così cinema sociale. Se non avessimo questo problema in Italia il film avrebbe avuto comunque una ragione per esistere nei suoi personaggi.

Le domande della stampa si sono poi concentrate su Toni Servillo, presente al Lido con 3 film (oltre ad Ariaferma anche È stata la mano di Dio e Qui rido io). Gli viene detto che è praticamente il “Doge di Venezia”, al che Silvio Orlando ribatte “lui è il Doge, io al massimo sono il bagnino”. Una battuta che spezza la tensione. Servillo ha poi spiegato di avere molto amato tutti e tre i film e non reagisce alla provocazione di chi gli fa notare che non ha mai vinto una Coppa Volpi. “Per fortuna ho un’età in cui queste cose non sono più un cruccio”.

Eppure non si può fare a meno di pensare che quest’anno potrebbe proprio essere il suo momento.

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