Si è da poco, con l'uscita di Harry Potter e i Doni della Morte – Parte 2 nelle sale di tutto il mondo, la grande avventura cinematografica dello straordinario mondo magico di J.K. Rowling (qui la nostra recensione dell'intera saga.

Si giunge così, con 7 libri e 8 film, al termine di un viaggio che è complessivamente durato più di 13 anni (dal giugno 1997 al luglio 2011) e che ha coinvolto tutto il mondo (o quasi).

Come porsi di fronte a un evento che segna la conclusione di un ciclo di simile portata? L'impressione dominante è che sia tempo di bilanci. Nonostante sia assodato che la fine del viaggio di Harry abbia avuto dello straordinario – dall'incredibile successo di pubblico alla profondità dell'infiltrazione culturale – è forse questo il momento per mettere in discussione e valutare con maggiore lucidità e cognizione di causa alcune scelte che hanno determinato lo sviluppo di un progetto caratterizzato da rischi e ambizioni senza precedenti.

Premetto chi parla lo fa da fan e per i fan della serie: ho letto il mio primo Harry Potter a undici anni (giusto in tempo per poter ancora sperare che un gufo si presentasse fuori casa con la lettera di Hogwarts) e non ho più smesso di leggerlo, riprendendo in mano i libri più volte, superando la decina di riletture per ciascun tomo.

Fatta questa premessa, si tratta ora di valutare l'operato di svariate persone coinvolte a diversi livelli di responsabilità nella realizzazione di un progetto che costituisce una prima esperienza per l'industria cinematografica (in termini di portata). Invito quindi chi legge a valutare le mie opinioni come strettamente personali, chiarendo che – in fin dei conti – sono generalmente soddisfatto di quello che si è riuscito a ottenere con i film di Harry Potter.

Prima di tutto, la trasposizione del mondo di J.K. Rowling da opera letteraria a opera cinematografica ha posto fin dall'inizio un enorme problema di fondo: nessuno sapeva, nel 2001 quando il primo film è stato realizzato, dove la storia sarebbe andata a parare. Quali fossero i temi principali che avrebbero percorso l'intera saga, quali i personaggi che avrebbero giocato un ruolo importante col procedere della storia si sarebbe cominciato a intuire forse dal quarto libro in poi, che non sarebbe stato pubblicato prima del 2003 2000. Se consideriamo poi che David Heyman ha acquisito i diritti di elaborazione cinematografica dell'opera nel 1999 (prima ancora che J.K. Rowling diventasse il fenomeno che era destinata a incarnare), si capisce come la sfida della narrazione filmica di una saga letteraria incompleta potesse porre delle serie difficoltà a chi si trovava tra le mani la responsabilità di selezionare e reinterpretare il materiale di partenza per trasformarlo in qualcosa di organico da raccontare per immagini.

La seconda enorme sfida era quella di radunare un cast e una troupe che, nell'improbabile e imprevedibile possibilità di un successo tale da giustificare un investimento di svariati milioni di dollari, avrebbe potuto potenzialmente lavorare per sviluppare tutti i futuri capitoli della saga.

Al termine di un'impresa che è durata 10 anni e ha richiesto centinaia di milioni di dollari (fruttandone miliardi), sappiamo che la possibilità – senza precedenti – che un franchise di simili proporzioni riuscisse a svilupparsi con successo si è incredibilmente verificata. Il successo al cinema di Harry Potter non solo ha gettato luce sull'eccezionalità del materiale di partenza, ma segna un precedente straordinario nell'industria cinematografica e ha contribuito a riabilitare un genere a lungo guardato con sospetto, il fantasy. Questo dato da solo può servire a evidenziare l'ottimo lavoro condotto dalle persone che hanno collaborato dall'inizio alla riuscita di Harry.

Ora viene spontaneo porsi alcune domande: cosa sarebbe potuto andare meglio? Cosa si sarebbe potuto fare diversamente? Quali sono stati i punti deboli della saga?

Sicuramente, una delle difficoltà più pressanti per i produttori dei film potteriani era quella di riuscire a soddisfare una serie di portatori di interesse: prima tra tutti l'autrice, affezionatissima genitrice di un intero universo dominato da regole, personaggi, creature; in secondo luogo i fan, difensori sfegatati della saga e giudici severi; terzo (ma forse primo), il grande pubblico.

Il livello di soddisfazione di questi tre attori nello sviluppo del progetto è stato altalenante, come è stata discontinua la firma di un autore/regista che potesse apportare alla serie la propria esperienza in maniera omogenea. Sartebbe stato preferibile avere un unico regista dall'inizio alla fine? Probabilmente sì, ma sarebbe stato realistico pretenderlo? Che le 8 pellicole abbiano avuto 4 registi differenti (per nazionalità, esperienza e gusto) sicuramente non ha contribuito all'uniformità stilistica della saga, ma era irrealistico pretendere che uno solo si sarebbe accollato la responsabilità del progetto fin dall'inizio.

Tuttavia, c'è da dire anche che un unico regista forse non sarebbe stato sufficiente a sanare quello che è un altro problema causato dall'incompletezza della serie nel corso della realizzazione dei film: la mancanza di un tono e di un'estetica coesi e coerenti. Questo grosso difetto si sarebbe potuto risolvere con una maggiore ricerca e una ancor più stretta collaborazione con l'autrice, con uno sguardo – più che al contingente – al futuro della saga.

Un altro appunto doveroso è da indirizzarsi verso la Warner Bros. nei confronti del fandom. Mi spiego: i fan della saga sono stati un po' "maltrattati" nel corso degli anni. Gli unici fansite a ottenere un forte appoggio sono stati i colossi come MuggleNet, Leaky Caudron e HPANA. Nessun altro sito – e mi riferisco soprattutto a quelli più locali sparsi per tutto il globo – è riuscito a farsi considerare come valido strumento di promozione e informazione se non negli ultimissimi anni (o mesi). Un altro esempio dello strano rapporto con i fan è offerto dalle premiere, alle quali hanno sempre partecipato migliaia di appassionati provenienti da tutto il mondo, ma con una organizzazione che, per quanto difficile, ha spesso lasciato a desiderare.

Spesso attaccate dai fan e non, le sceneggiature di Steve Kloves possono risultare adeguate nei primi due film dai toni più semplicistici e ingenui, ma non riescono a reggere poi con la complessità e la maturità dei capitoli successivi, arrendendosi più di una volta a monotoni stratagemmi narrativi e senza mai lanciarsi in rischi interpretativi particolari. E' proprio il rischio quello che, a mio avviso, avrebbe potuto rilanciare in maniera decisiva la sorte dei film, elevandoli da trasposizioni commerciali a pellicole in grado di stare in piedi sulle proprie gambe, dotate di una propria autonomia e (perché no) di un discreto valore artistico. Mi rendo conto di quanto questo punto sia opinabile e di quanto in esso convergano intricate motivazioni di carattere commerciale, tuttavia è difficile perdonare Kloves per la quantità di volte in cui è ricorso a momenti didascalici e scorciatoie esplicative e banali.

Una volta segnati questi punti deboli possiamo dire quali sono stati gli incredibili fattori di forza della saga. In primo luogo un casting fortunatissimo: a prescindere dalle abilità recitative di ognuno, la fedeltà degli attori e soprattutto il loro aspetto fisico incredibilmente somigliante all'immaginazione dell'autrice hanno costituito un sensazionale elemento di fascino che non è stato solo valore aggiunto per i film, ma anche l'essenziale formula vincente (non a caso il produttore David Heyman ha ribadito proprio questo fatto nel corso dell'ultima premiere mondiale del film poche settimane fa).

Altro elemento di fortuna è la colonna sonora: il tema composto da John Williams e le successive reinterpretazioni e implementazioni (soprattutto quella di Alexandre Desplat nell'ultimo film) si sono rivelate capaci di una carica evocativa impressionante. Il loro uso ha giocato un ruolo narrativo eccezionale che lascerà una traccia permanente nell'immaginario collettivo.

Infine, una serie di scelte estetiche artigianali (scenografie, materiali, oggetti scenici) magistralmente riuscite che hanno reso reale un mondo magico che rischiava di sembrare terribilmente falso e kitsch.

Alla fine di 10 anni di avventura l'unica grande domanda che continuo a pormi è questa: come sarebbero stati i film di Harry Potter se fossero stati realizzati dopo la pubblicazione di tutti e 7 i libri? Di fronte alla possibilità di un remake nel giro dei prossimi 20 anni (ipotesi che alcuni ritengono plausibile), c'è da chiedersi se avremmo di fronte un prodotto più coerente, e di successo uguale o maggiore.

Detto questo, la straordinarietà dell'impresa capitanata dalla produzione di David Heyman rende onore a una serie di 8 film che è stata capace, in fin dei conti, di essere non solo un incredibile successo economico, ma anche un'opera in grado di far contenti autrice, fan, e grande pubblico. E questo, nel cinema commerciale, è il migliore dei risultati che si può sperare di ottenere…