Fonte: Varie

Dopo aver analizzato il primo punto della straordinaria analisi dei quotidiani realizzata da Bill Wyman, andiamo a scoprire il suo secondo punto. I giornali sono il frutto del pensiero monopolista? Qui troviamo forse uno dei pochi punti deboli o, meglio, un argomento non sviscerato benissimo come gli altri. Wyman sostiene che tanti articoli piatti dei quotidiani (una realtà che gli stessi giornalisti non faticano ad ammettere) dipenda dal rischio di offendere qualche lettore e quindi perdere il suo appoggio. Vero, ma la realtà è probabilmente ancora più triste. Vi siete mai chiesti perché certi crtici cinematografici/musicali parlano benissimo di alcune anteprime avvenute all'estero? O dei gossipari si dedichino a parlare di un locale specifico (nei telegiornali è un tipo di servizio veramente gettonato)? Semplicemente, hanno interesse a farlo. Viaggi, soggiorni e benefit vari offerti dalle case di distribuzione valgono bene un articolo benevolo.

Wyman torna alla sua forma migliore parlando delle paure di qualche testa pensante, che teme che la funzione di 'cani da guardia del potere' dei giornali venga meno in questo nuovo sistema economico. Facile rispondere che la maggior parte dei quotidiani questo problema non se lo sono mai posto, tentando spesso di compiacere i poteri forti della loro area di interesse. Meglio parlare, come fa l'autore, di 'cani accucciati' che da guardia. E anche i pochi quotidiani che lo fanno, non possono certo vantarlo come l'elemento fondamentale della loro linea editoriale.  

Per esperienza personale, posso dire che da un paio di mesi ho l'opportunità di visionare le versioni cartacee complete di tutti i principali quotidiani italiani (a eccezione di Repubblica). Bene, la visita delle pagine di spettacolo diventa sempre più una via crucis. Nel caso migliore, c'è qualche articolo 'originale' che mi sembra ultradatato (tipo "stanno lavorando a Dylan Dog!", un anno dopo che lo sapevano tutti). Nel caso peggiore (ma purtroppo più frequente) si tratta di pezzi chiaramente ripresi dalle agenzie di stampa. La cosa paradossale è che così si crea un effetto doppione tra i vari giornali, che sembrano uno la copia dell'altro. Ci si chiede se anche i capiredattori di spettacolo si consultino tra loro per la paura di bucare qualcosa, un po' come qualche anno fa avveniva afddirittura per i direttori delle testate (cosa che a me sembrava uno scandalo, ma ovviamente ero in minoranza).

In effetti, tutti (o quasi) i giornali italiani hanno (in linea con gli Stati Uniti) la loro rubrica di recensioni cinematografiche il venerdì, il loro spazio extra per lo sport il lunedì (lì almeno ci sono buone ragioni di contenuti), un po' di recensioni teatrali o musicali in giorni fissi, qualche inserto culturale, ecc. Ma queste, che erano delle perfette macchine per vendere pubblicità fino a qualche anno fa, difficilmente sono utili ai lettori. Inoltre, questo impegno fisso (e il discorso vale ancora di più per le rubriche delle 'penne' prestigiose) rende il lavoro difficilissimo per i giornalisti. Cosa fare se non si ha un pezzo all'altezza? Si mette qualcosa di mediocre. E se l'idea che funziona veramente bene in dieci righe deve essere espansa a trenta, ecco il classico fenomeno del pezzo che la tira per le lunghe prima di arrivare alla sua conclusione.

Messa così, non si fa fatica a concordare con Wyman quando dice:

La verità è che l'America sopravviverà anche se 1.500 critici non saranno in giro a dirci che Taken è un thriller efficace, 1.500 esperti di lifestyle non saranno con noi a rivelarci che Moen ha una nuova linea di oggetti per la cucina di classe e se 1.500 corrispondenti alla Casa Bianca non copriranno la stessa conferenza stampa del Presidente".

Concludiamo l'articolo con un caso che ci riguarda. Qualche mese fa, è uscito un pezzo sul Corriere della Sera online, in cui si diceva che Ghostbusters 3 non sarebbe stato fatto. Peccato che in quello stesso periodo la notizia era che il progetto stava andando avanti e felicemente. Probabilmente, le dichiarazioni di Aykroyd erano vecchie, ma la cosa più interessante è il fatto di aver inserito un commento (in attesa di approvazione) che faceva notare l'errore. Bene, il commento è stato approvato, ma l'articolo non è stato minimamente cambiato. Insomma, chi gestisce l'approvazione dei commenti non ha potere, o non vuole utilizzarli per migliorare i contenuti. La cosa bella è che, solo pochi giorni fa, sul Corriere è uscito un pezzo di uno scrittore spagnolo, che lamentava il fatto che ormai sia sempre più difficile comunicare la realtà di un evento. Il posto giusto per lamentarsene…

Fine seconda parte – la prima è disponibile qui

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