Grazie alla divisione italiana di 20Th Century Fox vi proponiamo una nuova intervista a David Oyelowo, dopo quella già pubblicata sulle nostre pagine.
 

In “L’alba del pianeta delle scimmie”, Oyelowo è Steve Jacobs, il capo del laboratorio Gen-Sys, in cui lo scienziato Will Rodman, interpretato da James Franco, è alla ricerca di una cura per il morbo di Alzheimer, quando, fra le conseguenze involontarie della sua sperimentazione, si verifica la creazione di uno scimpanzé estremamente intelligente, di nome Cesare.
 

Quali sono gli elementi più caratterizzanti del lavoro di Rupert Wyatt come regista?
Se si prende in considerazione il suo film d'esordio, “The Escapist”, parliamo di un film d'azione, ma è un film d'azione basato sull'analisi del personaggio e con una attenzione al dettaglio assolutamente maniacale. Ha una costruzione non-lineare, eppure alla fine il cerchio si chiude, rivelando un regista e narratore dalla mano molto ferma sulla narrazione. E questo film aveva bisogno di qualcuno che fosse costantemente concentrato nella storia, nel personaggio, soprattutto quando il personaggio principale è una scimmia. In altre parole, è necessario che il regista capisca come costruire una storia che tenga le persone coinvolte per tutto il tempo.

Ecco, in questo Rupert è brillante. E' il regista perfetto per raccontare questa storia.

Il personaggio principale del film è una scimmia – che te ne è parso del lavoro con Andy Serkis, e della performance capture?
Non avevo mai lavorato con il motion capture prima. La mia esperienza con gli effetti visivi finora è stata limitata a quando, sul set, si mette una palla da tennis all'estremità della racchetta e prendi quello come punto di riferimento in modo che gli occhi guardino nella direzione giusta. Tutto il resto deve essere costruito nella propria immaginazione e poi basta avere fiducia nel fatto che questi maghi della CGI creino qualcosa che sia corrispondente alle emozioni che avevi immaginato. A volte funziona, altre no, si sa. Ma questo è un modo di fare che avvantaggia l'attore e la narrazione, perché il punto di riferimento che utilizza l'attore è lo stesso che utilizzano i professionisti della Weta Digital. L'attore si cimenta nello stesso tipo di performance che metterebbe in pratica in un film drammatico che coinvolga due attori, in contrapposizione al tipo di stacco emotivo che penso possa avvenire quando gli attori cercano di interagire con l'aria. Penso che anche se sarà una sottile differenza dal punto di vista del pubblico, farà la differenza, perché ciò rende il film, ancora una volta, più verosimile e realistico.

Andy Serkis parla della motion e performance capture come di un altro strumento nel kit di un attore; un altro costume, nello stesso modo in cui si potrebbero indossare i costumi storici per interpretare un Re Lear.
Tra Gollum, King Kong e ora Cesare, Andy lo ha trasformato in una forma d'arte. Lo ha legittimato, e ne ha fatto un elemento che gli attori non possono ignorare, per potenza ed efficacia. E soprattutto aver vissuto in prima persona il lavoro con lui e il suo livello di pura dedizione e impegno per la veridicità della sua interpretazione mi ha fatto capire che neppure per un secondo dà per scontato che gli altri vedano bene il suo lavoro. E' sempre presente, nello stesso modo in cui lo sarebbe se stesse interpretando una grande figura storica. Il suo impegno è esemplare e il futuro della motion capture, che credo sia in forte ascesa, è in gran parte legato a lui.