Il rapporto che lega la Pixar al mondo degli effetti visivi è sicuramente più centrale di quello che vede protagonisti altri studios di animazione digitale. E questo non solo perché la società californiana sforna pellicole di elevatissima qualità , ma anche perché gli sforzi confluiti nella loro produzione si concretizzano nella definizione di nuovi traguardi e di nuovi standard con cui tutti i programmatori e i grafici del mondo dovranno fare i conti.
Il perché di tale importanza deve essere cercato nella sua predilezione verso campi pioneristici e nel proposito di mantenere attivissima la ricerca tecnologica applicata alla realtà simulata in generale e al cinema in particolare.

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La storia degli studios Pixar prende vita in un periodo in cui i calcolatori erano rari, costosi e incapaci di fornire la potenza necessaria all’enorme quantità di operazioni necessarie a visualizzare pixel, immagini e oggetti riconoscibili dall’occhio umano.
Nei primi anni 80 si era ipotizzato di fare uso della grafica tridimensionale nel cinema e l’idea si era concretizzata presto in “Tron”(1982), film d’avventura con lo zampino della Disney in cui un hacker viene intrappolato nel mondo dei computer; gli effetti erano relativamente semplici, ma diedero visibilità ad un campo fino ad allora inesplorato.
Dopo qualche anno di tentativi andati a vuoto e di progressivo scoraggiamento, al Siggraph 1984 (celebre convegno internazionale per addetti ai lavori), compare un corto di animazione digitale.
Porta la firma di un certo John Lasseter e, spulciando tra i credits, anche quella del team di George Lucas.
Era infatti successo che Lasseter, un nome già importante alla Disney, avesse lasciato il suo vecchio posto per unirsi alla società di effetti speciali nata all’ombra del creatore di Guerre Stellari. Il corto in gara al Siggraph, intitolato "Andrè & Wally B.", crea subito un grande scalpore (potete vederlo cliccando qui. Visto oggi non denota niente di speciale, ma per l’epoca riuscire a rendere espressivi dei pixel e creare figure poligonali capaci di interagire corripondeva pressappoco ad un miracolo.

Siamo nel 1986 quando la divisione di Computer Graphics della Lucasfilm viene acquistata da Steve Jobs per 10 milioni di dollari, ribattezzandola PIXAR. Ed Catmull, precedentemente vicepresidente della divisione dal 1979, diventa cofondatore e si impegnerà attivamente nel campo della ricerca, implementando alcuni degli algoritmi che oggi sono alla base della programmazione 3D. A questo punto la neonata società ha una quarantina di dipendenti e un nuovo corto da presentare.

Con la premiere di "Luxo jr." (visionabile a questo indirizzo) il team ceativo si piazza indiscutibilmente al centro della scena internazionale. Il breve filmato ottiene una nomination agli Oscar e vince un'infinità di premi in tutto il mondo.

 

Nel frattempo, i programmatori che hanno dato vita alla celebre lampada (che ora saltella nel logo della casa) e ad altri corti di successo (“Red's Dream” è dell'87 e “Tin Toy” dell'anno successivo) sono pronti a lanciare uno standard che definisce i parametri dell'animazione e del rendering tridimensionale. Nel 1989 viene resa pubblica la "Renderman Interface Specification", un vero e proprio linguaggio di programmazione attraverso il quale si possono scrivere scene dinamiche complete di oggetti e materiali. I programmi capaci di leggere tale linguaggio e di tradurlo in immagini sono ovviamente di proprietà Pixar: Renderman si diffonde in tutto il mondo e diventa un must nella produzione di Visual Effects, che di fatto sta per decollare. Marionette (software di modellazione e animazione) rimane invece chiuso tra le mura della società .
"Abiss" (1989) e "Terminator 2" sono le prime importanti dimostrazioni di cosa fossero capaci le nuove tecnologie. In poche parole si era valicato il traguardo della fusione fotorealistica tra immagine digitale e reale e dell'effettiva interazione tra le due componenti. Con "Jurasic Park" (1993) Renderman si rivela all'altezza delle più rosee aspettative, cominciando a muoversi verso la resa di interi personaggi e creature.
Continua la produzione di corti: "Knick Knack" viene proiettato prima dei film Disney e accorcia la distanza che separa gli studios californiani dalle sale. Al via anche l'impegno nella produzione di animazioni destinate al campo pubblicitario: è del 1989 "Wake Up", realizzato per la Tropicana e seguito da decine di altri spot per società del calibro della IBM e della Paramount.

E' nel 1991 che la Disney adocchia la Pixar per confezionare alcune sequenze de "La bella e la bestia". I risulatati sono eccellenti e comincia la collaborazione ufficiale sancita da un contratto che prevede ben tre lungometraggi di animazione. Uno di essi entra subito in fase di progettazione, ma darà i suoi frutti solo dopo cinque anni, periodo che comunque è ricco di numerosi premi consegnati da organizzazioni scientifiche e artistiche.

Il giorno del Ringraziamento del 1995 Toy Story approda al cinema.
Il film è scritto e diretto da John Lasseter e si allinea completamente alla tradizionale impronta disneyana, aggiungendo però l'innovazione delle tecniche digitali. Tenendo ben presente le difficoltà che un tale progetto avrebbe comportato, il team creativo si è posto dei limiti sin dalla fase di scrittura. Il soggetto e le sequenze tendono ad essere il più possibile semplici e lineari, ma senza intaccare l'efficacia della storia.
Per questo motivo la scelta dei personaggi cade sui giocattoli: le forme sono stilizzate e geometriche, i materiali per lo più plastici e senza particolari requisiti di verosimiglianza, le animazioni facciali decisamente rigide. Nonostante le limitate risorse, gli artisti e i programmatori riescono a supportare la trama con un lavoro eccellente ed efficace. Inutile dire che si sta scrivendo la storia della cinematografia moderna e il riconoscimento dell'Accademy a Lasseter è inevitabile.

Gli sforzi impiegati stanno portando molti più frutti di quanto si sperasse: vengono interrotte le produzioni destinate alla pubblicità e si dà immediatamente il via agli altri due progetti previsti dal contratto con la Disney, che si affretta a rinnovare gli accordi per un numero ancora maggiore di pellicole (cinque complessivamente) che le frutteranno incassi stratosferici per i successivi 10 anni.
Nel 1997 esce "Geri's game", eccezionale corto che ha per protagonista un anziano giocatore di scacchi (lo trovate cliccando qui). L'occasione è utile come terreno di prova per testare la pelle umana e il movimento dei vestiti: il passo in avanti rispetto ai bambini di Toy Story è impressionante, tanto che il personaggio avrà una parte nel sequel delle avventure di Buzz e Woody.

Con "A bug's life" gli artisti della Pixar raccolgono l'esperienza di altri studios e la adattano alle proprie esigenze. Li sfide infatti si moltiplicano poichè il nuovo progetto richiede la modellazione di un'intera isola, di un formicaio e degli ambienti limitrofi. Siamo nel 1998 e i processori riescono a gestire con grande difficioltà scenari così articolati; per questo la scelta di riprodurre parte del setting attraverso l'uso del procedurale è obbligata.
Vediamo in cosa consista tale tecnica. Le scenografie e gli ambienti vengono generalmente creati dopo un attento studio del dettaglio e attraverso un particolareggiato lavoro di modellazione manuale. Gran parte di questo lavoro può però essere automatizzato attraverso l'implementazione di algoritmi capaci di costruire gli oggetti necessari e di visualizzarli nel modo corretto. I vantaggi sono evidenti, ma è un procedimento particolarmente arduo e con scarse capacità di controllo.
Un esempio che fa al caso nostro è quello dell'isola delle formiche. Si tratta di un modello abbastanza lineare che presenta un alto grado di complessità solo se osservato da vicino, cosa che di rado avviene in situazioni normali. Se però il punto d'osservazione è quello degli insetti (ed è il nostro caso), è indispensabile definire con precisione ogni sassolino ed ogni minima particolarità del terreno.
E' stato perciò risolto il problema attravero un unico shader (cioè una descrizione del materiale) applicato alla geometria dell'isola. Questo è stato capace di rilevare automaticamente il livello di dettaglio e di aggiungere o togliere particolari a seconda dell'inquadratura. Nelle vedute aeree vediamo solo una texture (un'immagine applicata al suolo), ma avvicinandoci vengono aggiunti automaticamente dei particolari senza che l'occhio umano riesca ad accorgersene. Ecco quindi che nelle sequenze più ravvicinate vediamo una miriade di sassolini e di sporgenze generate automaticamente e con grandissimo risparmio di tempo sia al momento della modellazione, sia al momento del calcolo. E' una tecnica, questa, che non ha certo in "A bug's life" il suo primo impiego, ma che da ora in poi verrà presa in considerazione costantemente e con risultati sempre più stimolanti (basti pensare al ghiaccio di "The Day After Tomorrow" o ai rami di Barbalbero in "The Lord of the Rings").
"A Bug's Life" esce ancora una volta nel giorno del Ringraziamento e ancora una volta vengono battuti numerosi record al box office.

  Il 1999 è l'anno di "Toy Story 2", primo film creato, masterizzato e proiettato interamente in digitale, nonchè il primo sequel ad aver guadagnato più dell'originale. Le novità tecniche non sono molte, ma ci si allontana dall'eccessiva semplicità dei giocattoli e degli insetti delle due pellicole precedenti introducendo umani credibili e meno freddi.
Un altro divertente corto viene lanciato poco dopo ("For the birds"), ma l'attenzione è tutta rivolta a "Monsters, Inc.". Al momento del suo rilascio (Novembre 2001) il successo è immediato, a causa all'ormai perfetto meccanismo che lega la storia alle tecniche impiegate.
L'esperienza acquisita con la gestione del fur (il pelo applicato ai personaggi) porta la resa di Sullivan, il protagonista, a livelli fino ad allora insuperati. La pelliccia si muove aderendo alle leggi fisiche: si solleva seguendo le deformazioni della pelle, urta con gli elementi circostanti, è condizionata dalla forza di gravità . Sono conquiste importanti e vengono parzialmente messe in commercio includendole nella nuova versione di Renderman, che fornirà quindi il supporto anche ai nuovi film in uscita.

A questo punto la Pixar si accorge di aver consolidato una catena di montaggio perfetta. I contributi artistici della Disney e degli autori forniscono sceneggiature dirette ed efficaci che riescono perfino ad alzare il target del cinema d'animazione americano. I cartoni tradizionali stanno subendo sconfitte da anni a causa di storie prevedibili e risultati visivi per lo più mediocri; è chiaro che bisogna puntare tutto sul digitale e seguire la strada intrapresa.

”Finding Nemo” è il quinto lungometraggio prodotto da John Lasseter. Le risorse in gioco sono aumentate a dismisura e nel 2003 il numero dei dipendenti Pixar si aggira sulle seicento unità , mentre la renderfarm (reti di computer adibite al calcolo) è distribuita in ben due studios. La scelta del soggetto non ha più limiti eccessivamente restrittivi e si decide di rischiare con ambienti di elevatissima complessità .
La sfida di ricreare un'intera barriera corallina e dei suoi abitanti, nonché il porto di Sidney e un discreto numero di esseri umani, è alta perfino per le menti geniali che lavorano dietro le quinte. L'impresa si conclude con esiti sconvolgenti.
L'ambiente marino ha atmosfere d'effetto e giochi cromatici studiati alla perfezione, ricchissimi di particolari e dotati di un realismo impressionante.
La pellicola funziona così bene da salire all'ottavo posto nella classifica degli incassi mondiali e al primo posto nel mercato home video di sempre.
Avendo puntato così in alto, la produzione ha apportato un numero enorme di miglioramenti nell'interfaccia del software grafico. La Renderman Interface (il linguaggio di cui abbiamo parlato precedentemente) viene in parte riscritta, tanto da supportare efficienti algoritmi per la resa dei volumi (come le masse oceaniche), le superfici semitraparenti (pinne dei pesci e meduse) e il subsurface scattering (l'effetto traslucido della pelle e la colorazione dei coralli).
Sono soluzioni che non appesantiscono i processori in quanto fanno spesso affidamento su mappe (immagini generate precedentemente) che descrivono il comportamento di un dato oggetto in determinate condizioni di illuminazione.
Prendiamo ad esempio la barriera corallina. E' evidente che oggetti come i tentacoli degli anemoni non riflettono tutta la luce che li colpisce, ma ne assorbono una parte diffondendola all'interno dei tessuti. L'effetto si chiama subsurface scattering, appunto, e in genere comporta costi altissimi in termini di tempi e risorse. Stavolta però i nuovi algoritmi analizzano la superficie con una prima passata e archiviano in una mappa le informazioni sulla conformazione dell'oggetto. Tutti i rendering successivi faranno affidamento su di esse, senza dover ripetere nessuna operazione.

E' dello stesso anno la notizia che annuncia la rottura del fruttuoso accordo che aveva legato la Pixar alla Disney. La produzione di “The Incredibles” (2004) e “Cars” (2005) sarà l'ultima che usufruità della loro collaborazione, ma sul futuro delle due società ancora non esistono pianificazioni ufficiali.
Cosa ci dobbiamo aspettare da John Lasseter e soci? Prima di tutto un altro capolavoro. “The Incredbles” sarà nelle sale americane nei primi di Novembre e i commenti trapelati dalle prime proiezioni destinate alla crew e ai giornalisti lasciano sperare per il meglio.
Ma le aspettative sono molto elevate anche per il film successivo (Cars) che vedrà gareggiare una collezione di automobili classiche sulla Route 66.