Fa freddo, il vento gelido s’insinua fra i capelli come una lama e la nostra pelliccia ormai è talmente gelida da essere quasi rigida. La montagna sa essere una maestra severa e conosce bene le debolezze umane. Lontano dal calore al sapor di salsedine di Vvrandfell e dalle rassicuranti pianure della Provincia Imperiale, Skyrim è un luogo che concede pochissimo ai sognatori, ruvido come gli schinieri gelati che indossiamo e frastagliato come le cime che ci circondano da ogni lato.

Tuttavia siamo qui per un motivo. I draghi stanno tornando.
 
E ci hanno chiamato.
 
Il quinto episodio della saga dedicata alle pergamene degli anziani (le Elder Scrolls del titolo) ci porta nella regione di Tamriel più selvaggia, solitaria ed enigmatica, perennemente percossa dagli strali di un inverno che pare non finire mai, in cui antichi nemici e nuove minacce sembrano essersi dati appuntamento per definire, una volta per tutte, il destino del mondo.
 
 
Come accade in tutti gli altri capitoli, anche in Skyrim inizieremo la nostra avventura nei panni di un prigioniero senza nome, deportato nella più settentrionale delle terre imperiali a causa di un delitto non meglio specificato (forse un furto, o chissà cos’altro). Già con la definizione delle caratteristiche di base del nostro personaggio, si nota come Bethesda abbia deciso di fare le cose in grande: possiamo scegliere fra tre razze diverse di Elfi, creature simili a felini e lucertole, umani di Cyrodill, Nord e Redguard; ognuna, naturalmente, dispone di qualità molto diverse, i Nord sono resistenti e grandi guerrieri, ma non hanno una grande sensibilità magica, gli Elfi scuri (i dunmer di Morrowind) sono abili scout, mentre gli Orchi, pur non brillando per intelligenza, compensano con la loro grande abilità meccanica. La scelta della razza fa da prodromo a quella della specializzazione che tuttavia, al contrario dei giochi precedenti, risulta molto meno vincolante.
 
Con Skyrim, infatti, Bethesda ha abbandonato il modello di progressione classica dei giochi di ruolo occidentali, per imbarcarsi in un interessantissimo esperimento in cui, a fronte di un sistema di gestione delle abilità che spiegheremo approfonditamente più avanti, la gran parte del processo di crescita del protagonista sarà del tutto naturale, basandosi solo sulle nostre abitudini. Per spiegarci meglio: proprio come nella realtà, per diventare più bravi nel fare una cosa (che sia evocare un demone, combattere con una mazza chiodata, tenere discorsi o forgiare armature) ci sono due modi, possiamo studiare sui libri e apprendere da vari maestri, oppure provare e riprovare finché non impariamo tutto da autodidatti. Dunque non è il giocatore ad adattarsi a skill table più o meno prestabilite ma è il gioco a far si che il protagonista si muova seguendo l’andamento del videoplayer, permettendo a chi ha abbastanza pazienza di costruire personaggi davvero inediti, come potentissimi maghi/guerrieri oppure arceri abili anche nel corpo a corpo e via di questo passo.
 
A rendere le cose ancora più intuitive, si inserisce il sistema di gestione delle abilità che menzionavamo più sopra, in Skyrim, ogni volta che raccogliamo abbastanza punti esperienza e saliremo di livello potremo decidere quale attributo potenziare fra salute, vigore e magicka (l’equivalente del mana). Una volta fatto avremo a disposizione un ulteriore “bonus abilità” da spendere per migliorare uno dei 18 talenti disponibili. Lo skill tree di ogni talento è rappresentato come una costellazione e, partendo dalla prima stella di ognuna, potremo crescere sempre di più specializzandoci via via in maniera sempre più precisa. Prendendo come caso base la costellazione degli incantesimi di distruzione (palle di fuoco, fulmini, raffiche di gelo e altre piacevolezze del genere), subito dopo il primo potenziamento dovremo scegliere la classe su cui intendiamo concentrarci oppure propendere per miglioramenti generici di vario tipo. Nulla vieta di seguire parallelamente più percorsi ma, in ogni caso, sarà impossibile portare ogni abilità al massimo durante una singola partita, in quanto i punti ottenibili sono solo 81, mentre le “stelle” superano agevolmente il centinaio.
 
Oltre a questa decisa razionalizzazione (non semplificazione) della parte manageriale, Skyrim introduce finalmente anche un’interfaccia di gestione al passo con i tempi. Premendo il tasto B (oppure il Cerchio) si aprirà un menu contestuale a forma di croce dedicato rispettivamente alle abilità, alla mappa, all’inventario e alle magie disponibili. Una volta scelta la sezione che ci interessa, tutti gli oggetti sono raggruppati a colonne e potremo decidere quali equipaggiare e quali inserire in un apposito elenco dei preferiti per la selezione veloce. Una volta imparato a usare bene i preferiti, togliendo i doppioni e tenendo solo ciò che ci serve davvero, l’esperienza di gioco acquisisce una fluidità sconosciuta ai capitoli precedenti, in cui la continua pressione del tasto start e il ricorso a complicatissimi menu testuali era all’ordine del giorno, per non dire di peggio. In Skyrim le occasioni in cui si deve mettere in pausa sono sostanzialmente tre, anzi, due e mezzo, per scegliere quali quest visualizzare o non visualizzare sul diario, e per caricare/salvare la partita. Fine. Tutto il resto può essere gestito ingame, senza tempi morti, pause e quant’altro.
 
 
Passando ad un’analisi della parte più “fisica” del titolo, Skyrim non premia uno stile di gioco frenetico e troppo superficiale. Fin dalle primissime ore i nemici sono agguerriti, violenti e non mollano mai la presa, rendendo ogni scontro una minaccia da non sottovalutare. Solo usando bene i nostri punti di forza ed evidando di svelare debolezze più o meno nascoste si può sperare di sopravvivere più di qualche minuto al gelo della Gola del Mondo. Come da tradizione degli Elder Scrolls, la capacità di movimento del nostro personaggio non è mai troppo ampia e, anche nei guerrieri meglio addestrati, il vigore rimane una caratteristica che non sopporta abusi. Buttarsi a testa bassa nella mischia non è quasi mai una buona idea, soprattutto nelle prime dieci/venti ore di gioco, in cui anche un semplice ragno selvatico o un branco di lupi troppo numeroso possono essere minacce da non sottovalutare. Per non parlare poi dei draghi.
 
Queste maestose creature, da millenni in attesa del ritorno di chi saprà risvegliarli, sono al tempo stesso la massima attrattiva e i più temibili nemici dell’intero gioco. A volte capita di passare ore nell’attesa di sentire le loro terribili urla devastare i cieli ma, vi assicuriamo, quando si tratta di combattere, ogni attesa viene meno e gli unici sentimenti che si provano sono terrore e tensione. Affrontare un re dei rettili in solitudine, dopo aver scalato i sentieri più impervi è una delle esperienze più epiche che si possano provare in un videogioco: il drago cerca in ogni modo di distruggerci, mentre intorno a noi la neve si scioglie a contatto con le fiamme e i boschi bruciano o le piante si strappano al passare delle enormi ali rasoterra. I momenti migliori però sono quelli in cui la battaglia avviene in città, in mezzo a poveri civili inermi e terrorizzati mentre – in modo del tutto improvviso – guardie, banditi, mercenari, maghi e alchimisti, dimenticano le loro differenze per sconfiggere insieme il nemico comune, il tutto in mezzo a un inferno di pietra e case fiammeggianti, dove ogni movimento della bestia si traduce in devastazione e morte. Il nostro rapporto con i draghi, però non sarà solamente di incontro/scontro. In quanto ultimi “sangue di drago” viventi, infatti, possediamo un potere chiamato la Voce, ovvero possiamo lanciare potentissimi urli, simili ai versi d’attacco delle bestie, che – esattamente come gli incantesimi – modificano la realtà circostante. Per imparare le parole giuste, tuttavia, dovremo esplorare in lungo e in largo Skyrim, gli antichi luoghi in cui popolazioni molto più sagge di quelle che oggi calcano i suoli di Tamriel, hanno trascritto le sacre lettere. Una volta lette le parole, però non potremo usarle subito, dovremo “attivarle” sacrificando l’anima di un drago e, manco a dirlo, per ottenerne una sarà necessario uccidere un mostro alato. Per questo motivo gli scontri con i draghi non sono semplici battaglie, ma diventano qualcosa di più complesso, in cui il rapporto del protagonista con il mostro è mediato da una sorta di simbiosi, noi abbiamo bisogno di lui, ma anche lui sa che il suo destino è legato indissolubilmente al nostro.
 
Tornando agli urli; una volta padroneggiati quelli di base, che permettono di rallentare gli avversari e stordirli, le possibilità che si aprono sono infinite e, avanzando nell’apprendimento potremo evocare tempeste, chiamare i draghi a combattere con noi o scomparire e teletrasportarci altrove.
Grazie a questa sorta di sistema magico parallelo, la ricerca e l’abbattimento dei draghi esce dal semplice combattimento, diventando l’ennesima avventura nell’avventura, capace da sola di impiegare ore e ore di gioco.
 
Dal punto di vista tecnico, Skyrim su Xbox360 e Playstation 3 porta al limite le potenzialità delle macchine, non tanto come poligoni a schermo ma come estensione dell’area di gioco e gestione dei processi. Skyrim è un mondo enorme e come tutte le grandi opere ha dei difetti, ogni tanto qualche bug qua e la appare – personaggi che spariscono o quest che non si concludono – ma, tutto sommato, contate le oltre 300 ore di gioco, possiamo dire che non influiscono se non in minima parte sull’esperienza complessiva. L’unico consiglio che ci sentiamo di dare è quello di tenere più di un savegame, per evitare brutte esperienze con dati corrotti o altre amenità simili. Per il resto il mondo di Skyrim è probabilmente quanto di più vivo, concreto e plausibile (non realistico, plausibile, due concetti ben diversi) si sia mai visto nel gaming recente. I boschi, le vallate e le incredibili montagne che puntellano gli orizzonti di Skyrim sono un monumento alla genialità di Bethesda e all’eccelenza dei suoi creativi. 
 
In conclusione, il quinto Elder Scrolls rappresenta la nuova pietra di paragone per i giochi di ruolo occidentali e la punta d’eccellenza con cui tutti i futuri titoli dovranno confrontarsi. Le dimensioni, la maestosità e la completezza dell’opera di Bethesda, tuttavia, sono destinate a rimanere negli annali, rappresentando quello che – senza tema di smentita – è già l’RPG di riferimento non tanto dell’intera generazione quanto di un vero e proprio modello concettuale e ludico, qui spinto fino ai suoi più reconditi estremi.
 
[9.5]