Per gli appassionati del cinema di Quentin Tarantino, Death Proof è sempre stato un argomento piuttosto scottante. Il dibattito sull’effettivo valore del film è tuttora aperto, e si arricchisce ora dell’intervento del regista in persona.

Ebbene sì, Tarantino è stanco di sentir parlar male della sua creatura, stanco di sentirlo giudicare come il peggiore dei suoi figli:

Death Proof è il peggior film della mia carriera? Per essere stato fatto con la mano sinistra, come tutti dicono, non è poi tanto male. Se questo è il peggio che farò come regista, sono in pace con me stesso.

L’occasione è uno degli appuntamenti annuali più attesi dal pubblico dei cinefili: una roundtable organizzata da The Hollywood Reporter, che ha riunito assieme a Tarantino anche Ben Affleck, David O. Russell, Gus Van Sant, Tom Hooper e Ang Lee. Mica male come tavolata:
 

 

Si potrebbe pensare che il commento in merito a Death Proof sia stata la cosa più interessante che Tarantino ha detto durante questo incontro condotto da Stephen Galloway, ma il noto regista aveva molto altro da offrire: durante la chiacchierata ha spaziato dal suo metodo di scrittura al processo con cui è arrivato alla regia, fino a parlare del suo desiderio di scrivere libri una volta abbandonata la carriera cinematografica. E la fine del suo percorso come regista sembra indotto dal cambiamento tecnologico:

Non temo la fine del successo perché non ho intenzione di fare il regista fino alla fine dei miei giorni. Mi piacerebbe mettermi a scrivere, lavorare a qualche romanzo o a libri sul cinema, anche di critica. La piega che sta prendendo il cinema è sconvolgente per me, anche la proiezione digitale è troppo per come la vedo io. È praticamente televisione proiettata, tv in pubblico. A questo punto, preferirei adattare per la tv una mia grossa sceneggiatura, farne una serie con la HBO, senza avere costantemente la pressione del tempo o il limite di contenuti da inserire in un film. Se mi trovassi a dover lavorare di nuovo ad un progetto ampio come Kill Bill, che ho potuto dividere in due capitoli per inserire tutto ciò che volevo, penso che punterei a farne una mini-serie da sei ore o qualcosa del genere.

Insomma, in un momento in cui i fari sono tutti puntati sul futuro digitale del cinema, Tarantino risulta una voce fuori dal coro. Malgrado lo scetticismo sul digitale, Tarantino è comunque sempre pronto ad affrontare nuove sfide:

Rischio con ogni film che faccio. Non ho paura di rischiare, certo che no… casomai, ho paura di fallire, e non è assolutamente la stessa cosa.

E sul suo lavoro come regista, ammette lo stress del mestiere:

Lavorare con gli attori, con i cameramen sul set è la parte più semplice della realizzazione di un film. Grava sulle tue spalle il compito di ispirare la troupe ogni giorno, di portare avanti l’intera baracca. Vuoi che tutti si divertano, a volte vorresti scoppiare ma non puoi farlo perché tutti contano su di te e sulla tua capacità di tenere insieme il progetto. La parte più difficile è quella in cui devi mantenere la testa sulle spalle e non perdere la bussola.

Ma il set è solo la conseguenza di un lungo processo di gestazione della sceneggiatura, che procede secondo vie piuttosto particolari:

Quando scrivo, le pagine non riguardano il film, riguardano la letteratura, riguardano me che metto la mia penna sul foglio per scrivere un’opera letteraria completa. Quello è il mio primo contributo artistico. Se ho fatto bene questo lavoro, alla fine della scrittura devo arrivare a pensare “se adesso pubblico questa cosa senza farne un film, potrei stare davvero bene”. Voglio arrivare ogni volta ad amare così tanto la storia che ho scritto da essere tentato di fermarmi. Quando poi la porto sullo schermo, mi rendo conto che ci sono delle parti letterarie che hanno la sola funzione di migliorare la lettura e quindi, come con ogni adattamento che si rispetti, limo via ciò che non serve.

Un rigoroso labor limae richiede anche il montaggio:

Finché non vedi il tuo film con un qualche tipo di pubblico, nella tua testa sai che è troppo lungo ma non sai quali parti è il caso di tagliare. Poi lo presenti al pubblico e noti quando le persone si annoiano, eccetera.

Non mancano i momenti in cui Tarantino ricorda i propri difficoltosi inizi di carriera, in una breve confessione in cui molti giovani aspiranti registi potranno riconoscersi:

Se vuoi fare lo scrittore, prendi un pezzo di carta e inizi a scrivere. Se vuoi fare l’attore, puoi metterti subito a recitare per dimostrare il tuo talento. Se, come nel mio caso, vuoi fare il regista di film e non mai diretto nulla in vita tua, è tutta teoria. Ci ho messo dieci anni a preparare il mio primo film, perché ero insicuro di tutto e mi chiedevo continuamente “sto forse facendo un grosso, grossissimo errore?”, ma ho lasciato perdere tutto nella mia vita per focalizzarmi solo su quell’obiettivo.

Si rivolge poi al collega Tom Hooper, regista del musical Les Misérables, elogiando la sua scelta di registrare la voce degli attori direttamente in scena, senza doppiare le canzoni.

Non ho mai fatto un musical, non so se ne farò mai uno in vita mia… ma se dovessi farlo, lo farei come hai fatto tu, per cercare di catturare il momento. Perché il giorno in cui giri la scena è il momento più importante, è giusto catturare la performance dell’attore in tutto e per tutto com’è in quell’istante.

La chiacchierata si conclude con un aneddoto divertente e commovente, da cui emerge l’amore dei fan nei confronti di Tarantino e la reciprocità di questo sincero affetto:

Ricordo una bambina di quattordici anni che mi spedì una lettera contenente una sinossi per Kill Bill: Vol. 3., in cui ipotizzava un seguito della storia. Non amo i seguiti e non amo riprendere in mano materia su cui ho già lavorato, ma rimasi affascinato; fu un gesto molto dolce e lusinghiero, perché è bellissimo pensare che una persona sia rimasta così colpita dal tuo film da voler andare oltre ciò che hai mostrato, dando ai tuoi personaggi un futuro.