I titoli disponibili al lancio di una console hanno sempre enormi responsabilità sulle spalle: da una parte devono convincere un pubblico sempre più sospettoso a investire tempo e denaro in un hardware nuovo, dal futuro incerto; dall’altra gli appassionati si aspettano giochi immediatamente capaci di sfruttrare al meglio le caratteristiche della nuova macchina, dando un senso all’attesa e all’ingente investimento da affrontare.

Se a tutto questo aggiungiamo poi l’essere l’erede della saga di maggior successo su console Sony in questa generazione nonché il primo titolo di questa stessa saga non sviluppato dal team originale, che dire, ce n’è abbastanza per far tremare i polsi anche al più navigato degli sviluppatori.
 
 
Uncharted: L’abisso d’oro risponde perfettamente a questa descrizione, non solo porta il peso di essere stato eletto, quando mancavano ancora mesi all’uscita, killer app di lancio per PSVita, ma rappresenta anche il primo vero esperimento di Sony che coinvolge Nathan Drake ma non coinvolge i Naughty Dog, padri padroni della trilogia originale e severissimi ideatori dell’universo di Uncharted.
I ragazzi di Sony Bend (noti al grande pubblico per la serie di Syphon Filter) nel prendere in mano lo sviluppo non hanno voluto limitarsi al mero compitino ma, in maniera a tratti inattesa, ci propongono un’interpretazione del brand che, seppur canonica e classica in pressoché ogni aspetto, non manca di qualche tocco personale, sia in positivo che in negativo.
 
Siamo a Panama e il nostro Nathan sta indagando, insieme al suo amico Dante, sul massacro di un reggimento di conquistadores spagnoli avvenuto quattrocento anni prima. La strage di per sé non sarebbe di grande interesse, se non fosse che, intorno alla fossa comune, si trovano strani simboli rituali, molto simili a quelli comuni nelle iscrizioni visigote dell’Europa Centrale. Peccato però che fra i Visigoti e la scoperta delle Americhe ci passino quasi mille anni! Intrigato dalla scoperta, Nate decide di esplorare il sito più a fondo, imbattendosi prima in una ragazza, Marisa Chase, il cui nonno (archeologo anch’egli) aveva dissipato molte delle ombre che circondano quella vicenda senza, tuttavia, riuscire a risolvere del tutto l’enigma, e successivamente in un generale psicopatico, ossessionato dal potere e dal denaro, disposto a tutto pur di risolvere il mistero e poter usare le enormi ricchezze nascoste dagli spagnoli per poter organizzare un colpo di stato e imporsi come Presidente.
Come si capisce già da queste poche righe, la trama non si discosta troppo da quella della trilogia originale, abbiamo un mistero che si perde fra le nebbie della storia, una fanciulla più tosta di quel che si direbbe e un amico non proprio affidabile al cento per cento. Questa aderenza al “canone”, tuttavia, non pesa per niente anzi, per la prima volta in un gioco portatile – grazie alle potenzialità tecniche di Vita – le vicende dei protagonisti sono credibili e intriganti, con scene d’intermezzo ben dirette e piene di pathos, del tutto comparabili a quelle che hanno reso famosa la controparte maggiore. L’abisso d’oro sfodera una qualità produttiva impressionante, capace di spazzare via in pochi secondi qualsiasi cosa si sia abituati a vedere sul mercato mobile; pur cedendo a qualche compromesso, come il fuoco in bitmap o un motore fisico non proprio evolutissimo, Uncharted offre al giocatore la miglior qualità grafica che si sia mai vista su console portatile, il tutto unito a una modellazione poligonale presa di peso da PS3 e portata (con minimi adeguamenti) sui cinque pollici OLED di Vita e a un doppiaggio pressoché perfetto, anche questo impensabile a livello mobile solo fino a qualche mese fa.
 
Se a livello tecnico/narrativo tutto funziona al meglio, per quanto riguarda il gameplay la situazione è leggermente più complessa. Bend Studios, per essere certa di non sbagliare, non ha modificato per nulla il layout di controllo originale, permettendoci di giocare usando i due analogici e i tasti classici esattamente come se tenessimo in mano un Dualshock, tuttavia, probabilmente su insistenza di Sony che considera il gioco come una sorta di mega – techdemo con cui mostrare tutte le caratteristiche della sua console, gli sviluppatori hanno inserito tutta una serie di esperienze alternative che a tratti funzionano e altre volte risultano solo una mera complicazione. Partiamo dalla cosa più banale in assoluto: i menu di gioco. Non si capisce per quale recondito motivo non siano navigabili con i tasti ma solo ed esclusivamente tramite il touchscreen, costringendoci a modificare l’impugnatura della console ogni volta che mettiamo in pausa il gioco o controlliamo il taccuino. Sempre su questa linea anche il nuovo meccanismo di schivata che si autoattiva quando ingaggiamo una lotta corpo a corpo merita un piccolo approfondimento. Per fare a calci e cazzotti, infatti, basta premere quadrato al momento giusto ma, per schivare dovremo per forza strisciare il dito sul touchscreen nella direzione che ci verrà indicata in una sorta di mini quicktime event. Il risultato finale è di rara scomodità, soprattutto se stiamo giocando in posizioni non esattamente ottimali, come in treno o sull’autobus.
 
 
Allo stesso modo non capiamo che senso abbia demandare all’IA uno dei tratti distintivi della serie, ovvero le bellissime arrampicate su muri e architetture varie. L’abisso d’oro, infatti, ci permette sia di gestirle nel modo classico (ovvero con la combinazione di analogico sinistro e tasti quadrato, x e cerchio) sia di impostare una sorta di pilota automatico che si attiva semplicemente segnando il tragitto di sporgenze da seguire con il touchscreen e lasciando che Drake faccia tutto il lavoro da solo. Questa modalità potrà forse fare contento qualche neofita, ma in generale non ha senso nell’economia del gioco e non fa altro che abbassare ancora un livello di sfida che, già di per sé non è mai troppo alto. Un’altro uso dei sensori di movimento che dovrebbe essere bandito da qualunque manuale di gamedesign è quello che permette di spostare o far stare in equilibrio il nostro protagonista inclinando la console. In Uncharted, come in tutti gli altri giochi che sfruttano questa possibilità (con il SixAxis, con il Wiimote, con Move e quant’altro) quello che per gli sviluppatori è un modo “intelligente per sfondare la quarta parete” [sic] per i giocatori diventa un incubo ricorrente, che costringe a scuotere la console da una parte all’altra in maniera più o meno casuale.
I controlli alternativi funzionano invece molto bene quando si tratta di risolvere enigmi: in questo senso L’abisso d’oro da nuovo slancio alla serie, proponendo minigiochi molto più profondi di quelli che troviamo nella trilogia “domestica”, si va dai semplici puzzle da ricomporre, ad alcune combinazioni da sbloccare, fino ad alcuni documenti che possono essere analizzati solo ricorrendo all’uso combinato di touchpad dorsale, touchscreen e fotocamera, anche se, per evitare di rovinarvi la sorpresa, preferiamo non parlarne oltre. Un’altra gradita aggiunta è la macchina fotografica che ci permetterà di scattare istantanee dei luoghi più iconici del gioco, in modo tale da sbloccare nuovi obiettivi e capire meglio la macrostoria che ruota attorno alle nostre avventure.
Segnaliamo infine il “mercato nero”, una feature che si interfaccia con Near, la nuova app social di Sony, e che permette di scambiare reliquie e tesori con altri giocatori muniti di PSVita che possiamo incontrare per strada o ad appositi eventi.
 
In conclusione Uncharted: L’abisso d’oro non delude gli appassionati della saga che volevano ritrovare le stesse emozioni anche su portatile. Con un comparto tecnico di altissimo livello e un impianto ludico che non tradisce l’ottimo mix fra azione e sparatorie che aveva portato al successo i giochi precedenti, questo nuovo titolo sperimenta anche alcune innovazioni, a volte non del tutto riuscite (come il controllo dell’arrampicata tramite touchscreen) e in altri casi apprezzabili, su tutte la maggiore enfasi sull’aspetto di risoluzione degli enigmi. L’abisso d’oro, insomma, è pronto ad accogliere tutti i fan che vorranno esplorarlo e, senza dubbio, rappresenta il titolo più maturo a livello tecnico e di gameplay, disponibile ad oggi sul neonato portatile Sony.
 
[Voto: 8]
 
Video Credits: Sony Computer Entertaiment Intl. – 2012 SCEE.com