Marco Bellocchio 2003-2023: Verso immagini più semplici e limpide

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  • Buongiorno, notte e poi Vincere hanno aperto una fase nuova per Marco Bellocchio che l'ha portato ai suoi successi maggiori, a un linguaggio per immagini diverso e a un pubblico più vasto

  • Prima è passato a Cannes, in concorso, poi è uscito in sala il 25 maggio. Rapito è il ventiseiesimo film della carriera di Marco Bellocchio, ma secondo un’altra lettura (nostra) può anche essere considerato l’ottavo di un nuovo corso, da quando più o meno all’altezza di Vincere (era il 2009), le produzioni dei film di Bellocchio hanno iniziato a farsi più importanti, le co-produzioni che pure erano già esistite nella sua filmografia, si sono fatte più grandi e quella tendenza iniziata con Buongiorno, notte, di raccontare come il potere nella storia italiana abbia stritolato e schiacciato i singoli uomini è diventata un tema ricorrente.

  • Dopo Esterno notte, che ha portato questo punto di vista di certo non conciliante né assopito in prima serata sulla RAI (anche quello dopo un passaggio a Cannes) raggiungendo una quantità di pubblico molto superiore a quello a cui solitamente si rivolgono i film di Bellocchio, e dopo Il traditore, il film dal maggiore incasso cinematografico della sua carriera (anche quello passato a Cannes), ma anche dopo Marx può aspettare, film più piccolo che Bellocchio considera come uno di quelli che gli sono più cari e in cui fa i conti con il rapporto tra vita e produzione filmica, Rapito continua un processo di fusione di quelle che sono sempre state le sue idee, i gusti e gli interessi con un linguaggio cinematografico molto più vicino al pubblico o, come ci ha detto lui, “un’attrazione per le immagini più limpide e semplici”.

Ne abbiamo parlato con lui in un incontro nell’ufficio della Kavac Film, società di produzione fondata dallo stesso Marco Bellocchio e dalla moglie Francesca Calvelli nel 1997, a partire dalla domanda fondamentale...

intervista a cura di Gabriele Niola

Ho l’impressione che a partire da Vincere sia cambiata la maniera in cui pensa e progetta i suoi film. È così?

ascolta l'estratto “Beh si cambia sempre ma forse mi sento di dire che un approccio alla storia diverso è nato con Buongiorno, notte. Con quel film è arrivato un interesse per la combinazione di cose che mi vengono in mente e delle immagini che io amo con quella che è la storia vera. Un’attrazione verso un tipo di forma stilistica che include il recupero e la rielaborazione di immagini di repertorio combinate con la finzione in forme diverse. In quel film la realtà secondo una forma stilistica abbastanza rigida era la televisione, in cui questi personaggi finti (non reali, anche se riferiti a dei personaggi reali) guardavano la maniera in cui veniva presentato il rapimento e attraverso la quale stabilivano un rapporto che poi diventava il film. Su Vincere invece in modo diverso c'è stata la grande opportunità e grande coincidenza del fatto che il cinema con la sua potenza era un’arma di propaganda per Mussolini, così abbiamo orchestrato il passaggio dal Mussolini giovane e finto, al Mussolini vero che Ida Dalser guarda al cinema”.

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A proposito di questo, in quel film c’è una delle immagini forse più cruciali del suo cinema: quando nell'abside di una chiesa viene issato un telone e proiettato un Cristo crocefisso, proprio là dove starebbe il crocefisso.

“Ma se è per questo ad un certo punto nel manicomio guardano anche una sequenza di Il monello di Chaplin, come combinare dal passato remoto immagini diverse appunto. Evidentemente mi ispirano le ristrutturazioni di immagini inventate con immagini reali”. 

Arrivato a quel punto della sua carriera aveva già realizzato diverse coproduzioni internazionali, tuttavia con Vincere iniziano ad arrivare anche nomi di produttori internazionali accreditati, è iniziato un rapporto più forte con l’estero?

“Era cambiato. In passato era diverso, quando avevo collaborato con Francia o Germania, penso a Marcia Trionfale, solitamente si pretendeva che ci fossero attori del loro paese nel cast, quindi in quel film ci sono Miou Miou e Patrick Dewaere, come anche in Salto nel vuoto che fu una coproduzione con Francia e credo anche Spagna, e nel quale c'erano addirittura Anouk Aimée me e Michel Piccoli”.

Con l’America ha mai avuto rapporti o discussioni per eventuali coproduzioni?

“No. Mai rapporti diretti. Ma so che per le serie televisive, quando sono loro a finanziare, vogliono molto suggerire, spesso anche sbagliando clamorosamente soprattutto sui casting italiani. Fanno degli errori assurdi. Però adesso sai non bisogna neanche tanto sperare...  Si può avere una partecipazione americana, ma devi fare dei prodotti che abbiano a che fare con l'America. Guadagnino è riuscito a fare questa combine in modo efficace. Rapito so che è stato acquistato da una distribuzione americana che lo porterà in sala negli Stati Uniti ma credo sia più che altro per via del tema del film”.

Questo diverso approccio alla storia italiana viene dal lavoro fatto per Buongiorno, notte o dal successo che quel film ebbe? Fu molto diverso da quello dei suoi film precedenti se non sbaglio.

“Non è facile capire come mai si vada in una direzione piuttosto che in un'altra, È roba da psicanalisi. Certamente mi è parso chiaro negli ultimi anni che, per come è fatto il cinema, puoi aspirare a un pubblico più vasto se affronti dei grandi temi storici. Invece un assoluto capolavoro rimane in un ambito più privato. Questa non è una regola però, sia chiaro, è più una constatazione. Uno dei miei film che ho amato maggiormente è forse il più piccolo che ho fatto: Marx può aspettare. Per me è stato di una preziosità assoluta anche a livello di rigenerazione. Tuttavia è chiaro che per quanto abbia un po' girato il mondo parliamo sempre di platee piccolissime. Anche i piccoli corti che ho girato in questi anni a Bobbio sono molto ispirati. Non dico che nessuno li abbia visti ma li hanno visti in pochissimi. Per tornare a Rapito quella era una vicenda che in pochi conoscevano, però ha il senso del romanzo proprio”.

Dalla fine degli anni 2000 in poi si può dire che abbia alternato quasi regolarmente un film per il pubblico e uno più piccolo spesso ambientato a Bobbio.

“Sono due attrazioni parallele”.

È la regola di molti registi americani: “Un film per gli studios e uno per me”

“Ah sì? Beh alcune volte ci riescono davvero bene. Per esempio, se penso a quel film, Roma di Alfonso Cuaron, è molto ispirato e immagino sia costato parecchio”.

Da quando con Buongiorno, notte ha cominciato a fare questo tipo di riflessioni sulla storia italiana e più precisamente sul potere, molti altri registi hanno cominciato a fare lo stesso. Nanni Moretti con Il caimano e Habemus Papam, Paolo Sorrentino anche lui affrontando il Vaticano e Silvio Berlusconi ma pure Il divo e poi la serie 1992 ecc. ecc.

“Evidentemente ci sono i momenti storici in cui queste cose emergono e attraggono”

È una cosa di cui sente l’influenza altrui, come gli altri probabilmente hanno sentito la sua?

“Sicuramente sui papi. Anche io volevo fare un film su un Papa ma quando seppi che Moretti voleva fare Habemus Papam rinunciai. Che è una storia simile a quella di Rapito, Spielberg doveva fare un film su questa stessa storia, poi dopo si è fermato... Pure la storia di Ida Dalser nasce da un documentario di qualcuno che l’aveva scoperta e dopo averlo visto ho pensato di farci un film. Questi intrecci succedono anche se non sono imitazioni, Ognuno va per la sua strada. Naturalmente anche le due stagioni di The Young Pope di Sorrentino mi hanno colpito, soprattutto la prima”.

Un'altra cosa che mi sembra sia cambiata in questa fase è un atteggiamento di maggiore vicinanza al pubblico. Mi sembra che sempre di più nei suoi film ci sia un elemento di, lo dico con molta circospezione, spettacolarità. Ricordo in Vincere una scena eccezionale tra due tempi, passato e presente, di Ida Dalser e il giovane Benito durante dei tumulti, la passione, l'innamorarsi, un bacio dietro una colonna e poi lui che fugge e rimane la mano di lei sporca di sangue. C’è tutta la forza di un’idea filmica ma in una confezione altamente spettacolare, di grandissimi sentimenti e passioni forti. Addirittura a voler essere cinici si potrebbe dire che già il finale di Buongiorno, notte, con la fuga di Moro e un montaggio con Shine on You Crazy Diamond dei Pink Floyd, era un inizio di questo processo.

"Sì, chiamiamola spettacolarità…. Dipende anche dal soggetto chiaramente. È chiaro che se ti inserisci in una storia del tipo di Vincere c’è questo aspetto da grande romanzo che suggerisce e affianca grandi scene a momenti privati. E c’è anche nell'ultimo film. Sì, questo sì. Ma non so come lo si possa giudicare. Ricordo che per il finale di Buongiorno, notte fui aiutato prima di tutto dal compositore, ma anche da Francesca Calvelli, mia moglie e montatrice, che ha una una cultura di quel tipo di musica e che mi ha suggerito i Pink Floyd. Io non ci sarei mai arrivato. Però in generale la contaminazione musicale nei miei film la ritengo molto importante.

Riguardo il cambiamento nelle immagini posso dire che con la mia esperienza sento un andare verso immagini più limpide, più semplici, che non significa per forza che vengano più gradite. Basta vedere il botteghino, oggi tra i primi dieci film in Italia per incassi sono tutti film di fantasia se non di fantascienza. Poi c’è Rapito e poi ancora il film di Nanni. Però il resto è tutto America. Tutto il mondo del fantastico”.

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In mezzo a questi film poi ha realizzato diversi film a Bobbio come Sangue del mio sangue o Sorelle Mai, quest’ultimo se non sbaglio veniva da una serie di corti sviluppati nei laboratori estivi che tiene proprio lì a Bobbio giusto?

“Vero, è stato composto in quella maniera. Abbiamo messo insieme cinque di quei corti fatti a Bobbio in cui ricorrevano gli stessi personaggi, mia figlia e poi anche Piergiorgio [Bellocchio, suo figlio ndr] e mia sorella. Era interessante perché scandiva il tempo e noi vedevamo la bambina, l'adolescenza e da lì tutto il discorso sul tempo….”.

Qual è il rapporto di Bobbio con lei? Non intendo Bobbio come entità o luogo di origine ma proprio come comune. Sono contenti che lei vada lì a filmare queste storie da cui poi la comunità non è che esca benissimo? È chiaro che lei in realtà usa quei posti per parlare di cose più universali ma lo stesso sempre lì va a farlo. Ho visto che le hanno pure dato la cittadinanza onoraria…

“Ah sì (ride)! Lì ci sono tornato dopo tanti anni perchè mi chiesero di fare delle specie di esercitazioni visto che c'era un finanziamento, un piccolo finanziamento. È stata l'occasione per ritrovare anche delle persone dopo essermi separato da Bobbio tanti anni fa. Sono cose che mi hanno un po' ispirato Allora sono tornato e per diversi anni. Loro devo dire non mi hanno mai accusato, no. Penso prevalga il riconoscimento, anche perché quello di cui parlo io è sempre qualcosa che riguarda il passato remoto. Consideri che andando lì in qualche modo si muove qualcosa. Sia chiaro: non che il nostro arrivo a Bobbio abbia cambiato chissà che, rimane una città ricca. Però insomma c'è un maggiore movimento”. 

Nel piccolo la sua presenza porta un indotto economico positivo?

“Sì economicamente sì. Io non ho mai preso niente in questo senso ma loro sono molto lieti. Sono quelle cittadine che vivono di terziario. Hanno poche industrie sono più che altro commercianti e albergatori, quindi…”. 

Poi c’è stato Bella addormentata, forse il più concreto di questi film che raccontano gli individui schiacciati dal potere, perché è proprio una questione di morte anche se ribaltata: c'è qualcuno che vorrebbe morire ma lo stato glielo impedisce.

“Quel film ha un origine molto diversa dagli altri: dietro c’è proprio una forma profonda di indignazione. Il fatto che tutto un governo e un parlamento, per compiacere il Presidente del Consiglio cioè Berlusconi che voleva mantenere l'alleanza dei cattolici, abbiano cercato di votare una legge per bloccare la naturale fine della povera Eluana Englaro (che era stata permessa da una sentenza della Corte Costituzionale) per me era stato davvero vergognoso. Proprio il fatto che tutti abbiano accettato di farlo. Poi nel frattempo c'è stata la liberazione, cioè la morte di Eluana, proprio durante la votazione. Mi sembrava che questa storia, anche qui inventata in parte, potesse diventare… Come dire... Per me è uno di quei film che una volta si definivano 'necessari'”. 

Ma queste sue storie di potere e singoli sono tutte storie indignate e arrabbiate!

“Lì però proprio la scintilla iniziale è stata una ribellione politica. In Rapito invece non è che sia arrabbiato con il Papa! Sono più affascinato dalla storia. Anche se poi è chiaro che ci metto la mia storia di educazione Cattolica, per quanto io poi non è che sia mai stato rapito o abusato. Però evidentemente ho vissuto una formazione Cattolica nella mia infanzia che è stata oppressiva”.

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In Bella addormentata c’è un’altra immagine eccezionale, quella dell’aula del Senato da cui entrano ed escono i personaggi, che vediamo da fuori come uno schermo. Il Senato rappresentato attraverso la sua immagine televisiva e non reale. Che tipo di creatività è la sua? Queste idee le vengono in mente scrivendo o sul set magari parlando con lo scenografo…. 

“Molte cose le elaboro oppure crescono, da che erano piccole idee, quando sono sul set. Quando vedo gli ambienti e comincio a farmi domande con gli altri collaboratori su come realizzare una certa scena. Quella cosa la facemmo proiettando lo scorcio di Senato da un lato del set. All’epoca l’uso del digitale era ancora primitivo. Adesso mettiamo sempre in conto, anche produttivamente, una voce importante per il digitale. Cioè in Rapito tutta la vista del Tevere quando arrivano, sia il bambino che i genitori, è chiaro che non esiste. Esistono singolarmente San Pietro, Castel Sant'Angelo, il ghetto… Ma è tutto modificato”.

L’esistenza delle tecnologie digitali ha cambiato la maniera in cui pensa i film?

“Sì, nei limiti del possibile sì. Sai che puoi fare la distruzione di Porta Pia, mescolando il finto con il vero. In Rapito c'era una scena a cui tenevo molto quando l’ho letta, quella del trasferimento del Papa da San Pietro a San Lorenzo, quando effettivamente ci fu un assalto di alcuni che volevano buttarlo nel Tevere. Il punto di partenza è reale, ma a me piaceva che si potesse vedere San Pietro in quel momento, con questa processione. Naturalmente San Pietro era proprio impraticabile perché è tutto luci, LED…. Tuttavia abbiamo girato lo stesso e poi è stata fatta un'opera molto paziente di ritocco e cancellazioni e si è arrivati, io credo, a una buona impressione di San Pietro come se ci fossero state luminarie”.

Bella addormentata andò a Venezia e ricordo che a festival finito si lamentò perché non era stato considerato per i premi. Si ritiene vanitoso? 

“È chiaro che nel momento in cui accetti di partecipare metti in conto di vincere o di perdere. Poi lo so e lo dico senza ironia che in un festival è importante partecipare, come alle Olimpiadi, però se perdi ti dispiace. Il problema è se questo dispiacere corrode il tuo animo oppure… Io ho l'impressione che nel mio caso venga superato e dimenticato abbastanza rapidamente. Tanto più adesso. Ormai metto sempre incontro la mia lunga vita e anche la mia lunga carriera. Il fatto che Rapito sia stato in concorso a Cannes è motivo di grande prestigio. Poi non è uscito con dei premi? Bene (anzi male!), però basta, andiamo avanti. Sia chiaro: è un dispiacere che nel profondo esiste, solo non lascio che mi avveleni. Certo in alcuni casi capita di essere particolarmente contenti di come sia venuto un film e rimanerci peggio di altre volte. Mi successe con un film di cui ero particolarmente contento, L'ora di religione, ebbi tante candidature e fu premiata solo la Piera Degli Esposti. Nel film successivo, Il regista di matrimoni, c’è un personaggio che si uccide per ottenere tante candidature al David di Michelangelo (con cui mascherammo il David di Donatello). Ecco, non arrivo a quello [ride ndr]. Anche per Il Principe di Homburg ebbi delle candidature ma niente premi e per Buongiorno, notte fu premiato solo Roberto Herlitzka come attore non protagonista. Lo stesso non arrivo al punto delirante di dire di voler fare un film perché sia gradito ai votanti del David, per carità!”.

Sbaglio se dico che Fai bei sogni sembra un film della sua fase anni ‘80 o ‘90?

“Il libro mi fu suggerito da Beppe Caschetto. Sapevo che c’era il sospetto di alcuni intellettuali un po' anche invidiosi di Gramellini e del suo grande successo, che ne criticavano la qualità letteraria. Però a me piaceva prima di tutto per la storia e poi questo mistero della mamma, del suo rapporto… C’erano una serie di temi che mi affascinavano molto e su cui abbiamo costruito il film”. 

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La scelta più strana lì è avere un attore come Valerio Mastandrea in quel ruolo…

“Non lo conoscevo ed è un attore molto marcato dalla romanità, ma ha una grande sensibilità. Io credo nei dialetti ma non ho trovato un torinese che somigliasse a Gramellini allora mi sono affidato al suo talento e anche credo a delle vicende private che facevano sì che avesse un forte sentimento verso la storia. Allora, anche con il romanissimo Mastandrea siamo andati avanti”.

Poi c’è stato il traditore, il suo più grande successo di cassetta.

“Adesso non voglio sembrare… Lo dico senza nessuna presunzione o preoccupazione moralistica: anche su Il traditore nel bene come nel male in tutte le immagini non c'è stato il pensiero “Io faccio questa cosa così trovo il pubblico”. Sono ragionamenti che non avvengono”.

Tuttavia ho l’impressione che qualora Marco Bellocchio avesse fatto un film del tipo di Il traditore negli anni ‘90 o ‘80, forse non ci sarebbe stata una scena spettacolare, di grande emotività come quella della minaccia sull’elicottero. Anche lì con un montaggio molto forte, la musica, la tortura, il sangue e poi gli sguardi pieni di sentimento e la tensione per l'incertezza di quel che possa accadere?

“Sì forse non ci sarebbe stata. Ma teniamo conto che in tutte le scene c’è qualcosa di personale. Trovo sia stata una cosa orribile quello che fece la polizia brasiliana in sé. Lo dico perché penso che in quella scena non ci sia una spettacolarità in aggiunta, ma una che parte da un dato di realtà”. 

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Non le sembra che in questo film ci sia un avvicinamento a quello che il cinema italiano in quel momento faceva con le serie tv? Del resto alla sceneggiatura c’era anche Ludovica Rampoldi che ha una grande esperienza in materia. Lei guarda serie?

“Alcune sì. Ho sempre un atteggiamento di grande collaborazione, sia in Italia che all'estero si possono trovare delle serie eccellenti, che non hanno niente di meno di certi film, però è chiaro che il cinema almeno finora, o almeno per me, mi dà dei tempi meno frenetici. Nel senso proprio dell'immaginazione. Io ho bisogno di un pochino di tempo, perché anche il margine di improvvisazione per me è importante. Insomma se devo fare proprio implacabilmente quel tipo di minuti soffro, anche perché sono rispettoso, se mi impegno a fare una cosa in quel tempo cerco di rispettarlo”. 

È così che ha girato Esterno notte? Con tempi da cinema?

“Sì, però senza esagerare. C'erano situazioni che permettevano un contatto più ravvicinato con l'attore tipico delle serie, uno che ti consente una tecnica meno elaborata, direi in senso positivo anche più sbrigativa ecco”. 

Certo Io non avevo mai visto in prima serata sulla RAI una produzione audiovisiva da cui uscisse un'immagine così terribile dello Stato italiano. Per non dire del Vaticano! 

“Lei pensa che nessuno lo abbia fatto?”

Non sono un esperto di fiction RAI ma io non l'ho mai visto accadere e ho il sospetto che se fosse accaduto si sarebbe saputo. C'è in lei una punta di soddisfazione per essere riuscito a raccontare questa cosa che le preme molto e che nessuno racconta di solito in quella maniera su quei canali?

“Mah… Io sono contento. C'era un po' di paura per gli ascolti, sarò sincero perché bisogna essere sinceri: non sono stati gli ascolti di Montalbano però sono stati degli ascolti seri, importanti, il 17 o il 18% di share. Insomma quella roba lì. E senza censure! Cosa di cui mi compiaccio, anche perché so di vera e propria macelleria su certe produzioni. Ma sì: sono stato contento di questa cosa, tuttavia non in modo sadico o maligno nei confronti del potere, per averlo attaccato. Non provo piacere nell'aver parlato male di questo o di quello. Anche il discorso sul Papa di Esterno notte è un discorso tragico, non di godimento. Poi sì alcuni personaggi sono descritti in modo anche un po' ridicolo, però quella di Moro è la tragedia di un uomo e anche la tragedia di una nazione in quel momento lì. Ecco, quella è la cosa che mi interessa di più"

Davvero non le ha fatto un po' piacere aver portato una critica dura al potere nelle sedi in cui viene di solito esaltato?

"....certo 'potere' è una anche una parola che per certi versi possiamo definire astratta... Tuttavia ecco, non posso negare che sia qualcosa che mi ha sempre dato fastidio”.

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