E’ uscito da appena una settimana in homevideo I Am Ali, interessante documentario firmato Clare Lewins sul leggendario campione di boxe Muhammad Ali. Dagli inizi a Louisville, Kentucky, alla penultima sconfitta di Las Vegas con Larry Holmes, la cui organizzazione viene annunciata con entusiasmo alla figlia Hana via telefono.

E’ questa la grande novità del film di Clare Lewins rispetto ad altri prodotti audiovisivi dedicati al mitico boxeur.

Stavolta abbiamo l’occasione di sentire delle telefonate private tra Ali e membri della famiglia appositamente registrate dal campione. Il perché di tutto ciò ce lo spiega Hana Ali, la figlia quarantenne che quelle telefonate ha custodito per anni e anni. Abbiamo avuto il piacere di parlare con Hana, settima dei nove figli avuti da Ali, a proposito di questo ritratto intimo che l’ha vista parecchio protagonista dietro le quinte.

***

Perché Muhammad Ali affidò espressamente a te quelle registrazioni?
Forse perché cominciò a realizzarle durante la fase idilliaca del rapporto con mia madre Veronica Porsche e quindi sono sempre state delle registrazioni con le quali io e mia sorella Laila siamo di fatto cresciute a casa a Los Angeles dalla seconda metà degli anni ’70 a gran parte degli ’80.

Di che materiale stiamo parlando?
90 audiocassette da 60 minuti l’una di cui solamente 12 minuti sono stati inseriti nel documentario di Clare.

Perché ti sei fidata al punto di Clare Lewins da aprire gli archivi segreti della tua famiglia?
Sensazioni a pelle. Ho incontrato Clare da semplice intervistata perché lei stava lavorando a un documentario su mio padre dopo aver preso dei precedenti accordi con il manager di papà Gene Kilroy. Colpita dal footage che mi mostrò durante quel nostro primo incontro, decisi di farle vedere un dvd in cui avevo montato molte delle conversazioni al telefono che feci con papà in quei dieci anni in cui lui ebbe quel fortissimo interesse. Stiamo parlando sempre di quel periodo che va dal 1975 a circa il 1985, quando poi cominciarono i problemi con mamma che causarono il divorzio. Clare rimase sconvolta da quel dvd che avevo montato malissimo con un programmino come Imovie e che avevo regalato a papà per il suo 70esimo compleanno. Era il 2012. In quel momento io e Clare abbiamo di fatto deciso che il suo documentario dovesse contenere almeno una piccola parte di quelle telefonate.

Non hai paura che questa scelta possa in un certo senso dimostrare che tuo padre era più affezionato a te e Laila (la sorella di Hana poi diventata campionessa di pugilato come il padre, N.d.R.) rispetto agli altri membri della famiglia?
No, perché gran parte delle registrazioni dimostrano come papà cercasse costantemente di tenere le fila di tutti i rapporti in famiglia. Lui era molto concentrato, mentre cresceva me e Laila a Los Angels, a non perdere contatto con quella parte dei figli rimasti a Chicago o con mia sorella Maryum, che noi chiamavamo May May. Quando Maryum era piccola e viveva in New Jersey spesso la prendevano in giro perché sostenevano che lei non fosse la figlia di Muhammad Ali. Un giorno papà prese l’aereo, andò in New Jersey e passò un’intera giornata con Maryum facendo vedere a tutti che lei aveva ragione. Papà era fatto così. Sempre molto attento a non far sentire nessuno di noi figli alieni rispetto ai diversi matrimoni che aveva avuto. Voleva che fossimo una unica grande famiglia. Le telefonate che registrava servivano molto anche a quello.

Che cosa succederà a quelle tante ore di conversazioni telefoniche visto che la Lewins ha inserito solo 12 minuti nel suo documentario delle 90 ore di totale?
Stiamo pensando di inserirle in un libro o di utilizzarle per un altro film in futuro. E’ materiale prezioso che va gestito con cura. C’è papà che prepara dei discorsi pubblici, che parla con noi di quello che faremo nella vita, che chiacchiera con George Foreman. Sarà importante dosare bene queste informazioni così intime sulla sua vita.

Come ha reagito papà al film e a questo svelamento di un suo privato?
Molto bene. Uno degli obiettivi della sua idea di registrare tutte quelle telefonate in famiglia era proprio di conservare una memoria storica della famiglia Ali da condividere in un futuro con il resto del popolo americano che fosse interessato all’argomento. Papà ha sempre pensato che la sua vita potesse e dovesse essere un punto di riferimento per la comunità afroamericana e non solo. Queste registrazioni sono piene di amore, ironia, sogni, scherzi e impegno sociale. Non c’è alcun problema per lui che vengano diffuse, nel giusto modo.