Beast, la recensione

Un film che funziona come macchina della tensione ed è dotato della dignità che Kormakur sa infondere, tramite la tecnica, ad ogni suo film

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Beast, in uscita al cinema il 22 settembre

Se c’è una cosa che contraddistingue i film di Baltasar Kormakur, anche i meno riusciti (e non ne mancano tra quelli americani), è un fortissimo senso di dignità. La materia che mescola è sempre il film di serie B vecchio stampo che qualcuno gli chiede di trasportare nel presente, solo che invece di rifiutare la spiccia essenzialità di quel tipo di produzione e invece di elevare tutto con chissà quali contenuti, Kormakur si sporca sempre le mani fino in fondo. Eppure poi ogni suo film fa di tutto per mantenere una gran dignità, cioè per non finire trascinato in basso dagli obiettivi e dagli scopi della commissione e anzi trattare anche il più risibile dei presupposti con grandissima serietà.

Così adesso Idris Elbasi picchia con un leone incattivito (forse mutato dice qualcuno in un momento così folle che la stessa sceneggiatura fa finta di non averlo sentito e non menziona più la cosa), per un paio di giorni cerca di resistere da solo con le figlie nella savana mentre un leone che è una specie di Scar di Il Re Leone sotto anabolizzanti, li cerca perché è ossessionato dall’uccidere di tutti gli umani a tiro. Non che la razza non lo meriti, spiega il film con una buona sequenza iniziale in stile Lo squalo (ma no, non siamo a quel livello), in cui sono dei bracconieri spietati a fungere da innesco della furia, ma Elba è un medico di città un buon uomo che ha perso la moglie e a cui rimangono delle figlie da riconquistare. Averle portate in Africa dove un leone le caccia non è stata forse la maniera migliore ma, ammesso che sopravvivano, tutto questo potrebbe unirli.

Beast è una macchina della soddisfazione, puro strumento di tensione che non cerca nessuna giustificazione se non quella della suspense. E anche quando ricostruisce una backstory fatta di mogli decedute non è mai per dare profondità o secondi livelli di lettura alla trama, ma per motivare o per mettere in difficoltà i personaggi, alimentando il loro desiderio di sopravvivenza o l’esigenza di non deludere le figlie. Tutto è teso in quella direzione ma anche la scrittura migliore, in questo caso, sarebbe nulla senza una pianificazione registica tecnicissima, che per fortuna non manca. Beast è pensato su piani sequenza, veri o digitali che siano. È la scelta più difficile che però paga tantissimo perché consente a Kormakur sia di sfruttare al massimo ognuno dei pochi ambienti in cui si muovono i personaggi, sia di inquadrare il più possibile a figura intera o in piano americano Idris Elba (che sa benissimo come muoversi nello spazio per creare tensione) e infine non necessita sempre del leone. Anzi.

La bestia è digitale, chiaramente, e la computer grafica funziona bene anche se non proprio sempre. In compenso i piani sequenza spesso lo tagliano fuori dall’inquadratura senza perdere in coerenza, e in altri casi invece funzionano proprio perché il leone manca, ne avvertiamo presenza ma non lo vediamo né sentiamo, come i protagonisti. Non tutto fila perfettamente ma come nei migliori film del suo genere anche in Beast non contano le molte imperfezioni e assurdità, conta l’impeto con cui tutto si riversa sullo spettatore, la capacità di ingaggiare con lui un gioco di tensione sul filo della sospensione dell’incredulità, lasciandogli sufficiente spazio per entrare nel film, esplorare le inquadrature terrorizzato che ci sia qualcuno o qualcosa e temere che non arrivi un finale tragico.

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