Bianco di Babbudoiu, la recensione

Completamente scollato al suo interno e privo di qualsiasi costruzione narrativa, Bianco di Babbudoiu non è un film, ma una serie di sketch in fila

Critico e giornalista cinematografico


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La storia è, in buona sostanza, quella di una famiglia che possiede un vigneto e produce vini. Non lo fa benissimo, lo fa più che altro per truffare i cinesi. Due fratelli, una sorella e il di lei marito che fa da contabile, l’unico sensato. Questi 4 rimarranno fregati quando la banca li avvertirà che i fondi della comunità europea che sembrava dovessero arrivare invece non arriveranno e loro devono alla banca stessa l’anticipo che gli è stato fornito. Insomma si sono spesi soldi che non avevano e devono trovare in pochissimo tempo 334.000 € per evitare che gli venga sottratta la vigna di famiglia. Canovaccio classico per diverse storie sarde.

In Bianco di Babbudoiu, oltre al trio comico Pino e Gli Anticorpi (i protagonisti assieme a Caterina Murino), compaiono molti altri comici isolani, da Benito Urgu a LaPola, in una commedia come sempre dolciastra.
È superfluo e forse anche non necessario dire che a chi scrive il film non ha fatto ridere mai, in nessun momento, si tratta pur sempre di umorismo e quindi è soggettivo. Cosa meno soggettiva invece è la solidità della storia che gli fa da impianto. Si possono portare battute anche sul niente al cinema, sia chiaro, si possono incentrare sketch a rotazione su premesse pretestuose o esili ma quello rimangono: sketch. La commedia come genere e il film come forma di produzione invece non sono aggregati di scene ma racconti più o meno complessi, che il loro obiettivo lo raggiungono con l’intreccio, la narrazione e l’armonia dei richiami interni tra personaggi, caratteri e scene.

Tutto questo non esiste in Bianco di Babbudoiu e non per la dimensione esigua del budget, che nulla ha a che vedere con la narrazione, ma proprio per il suo non avere il minimo interesse a sviluppare un intreccio propriamente detto. Il film non cura nessuna parte, non cerca di accompagnare, sorprendere o spiazzare, non cerca di indirizzare o all’opposto di lasciare smarriti, fa semplicemente accadere scene senza un reale collegamento che gli dia valore. Ogni momento è un’isola e mai parte di qualcosa di più grosso.
Invece che arrivare a costruire una gag nel corso di una sequenza o di più sequenze, Bianco di Babbudoiu le presenta come se prima di esse non ci fosse nulla e nulla ci dovesse essere dopo. Eccetto alcune scene cardinali, molto del film potrebbe essere preso e spostato in un altro momento e niente cambierebbe, perché niente è effettivamente legato, né narrativamente né formalmente.

Per tutta questa lunga serie di motivi si fa fatica a definire Bianco di Babbudoiu un film propriamente detto. Questo non significa che non possa piacere, è probabile che i più sensibili all’umorismo di Pino e gli anticorpi trovino pane per i loro denti, ma lo stesso la qualifica di “film” non andrebbe fornita per eccesso di incuria.

Unico merito della pellicola è di ricordare che attrice vivace possa essere Caterina Murino, inspiegabilmente estranea al cinema italiano che invece di un volto, un carattere e un tipo come lei avrebbe bisogno.

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