Brian And Charles, la recensione
Una storia di adulti che si comportano come bambini, che non vuole sofisticazioni e alla fine riesce a non dire nulla agli adulti reali
La recensione di Brian And Charles in uscita il 30 agosto nei cinema
L’unica certezza di tutto Brian And Charles è il tono che vuole avere, il tipo di mondo che vuole raccontare e come veda il suo pubblico: come bambini nonostante non sia un film per bambini.
Personaggi teneri e ingenui, umanità autentica e gentile, priva di malizia a tutti i livelli. Anche il bullo del paese (che come nei cartoni ha tutta una famiglia di bulli) è privo di malizia, è solo bastardo punto e basta, senza secondi pensieri. Quindi, nonostante Brian sia un’intelligenza artificiale, di certo non siamo nel reame della fantascienza. La sua esistenza non pone domande esistenziali, è solo lo stimolo per una piccola avventura con i paesani. Lui da par suo più che altro si comporta come un bambino insofferente alla regole (occasionalmente sfociando nell’idiot savant), desideroso di vita ed esperienze. Questa sarebbe la stessa pulsione che anima il sistema operativo di Lei di Spike Jonze, ma è chiaro che il livello di profondità intellettuale delle implicazioni di questi desideri è non uguale. Brian And Charles non sa che farsene della speculazione, come il suo inventore non vuole creare qualcosa di funzionante davvero ma solo qualcosa che lo faccia notare.
Quando inizierà un po’ di azione, quando cioè la voglia di qualcosa di più di Brian si scontrerà con la famiglia di bulli, il film inspiegabilmente dimenticherà di essere partito come un finto documentario (secondo scarto) e il linguaggio per immagini diventa convenzionale, con montaggio convenzionale. Poi alla fine i personaggi torneranno a guardare in camera e fare riferimento alla troupe. Sempre inspiegabilmente.
Cosa questa storia di adulti che si comportano come bambini possa dire a degli adulti reali è davvero un mistero.