La casa tra le onde, la recensione
Una pioggia torrenziale fa piombare su dei bambini un oceano che sommerge il palazzo abbandonato in cui stanno. Ma è tutta una metafora
La recensione di La casa tra le onde, il film d'animazione giapponese in uscita il 16 settembre su Netflix
L’attacco di La casa tra le onde con i bambini che percorrono una città in demolizione e il tempo che si riavvolge al loro avanzare, andando indietro a quando invece quel centro era vivo, abitato e pieno di persone, è la parte migliore del film. Sembra la classica transizione tramite montaggio in cui con il tempo un posto si popola, solo che funziona al contrario: mentre i protagonisti avanzano il tempo indietreggia e invece di viaggiare verso l’origine e quindi la diminuzione, il viaggio delle immagini verso il passato è uno spostamento verso la ricchezza e la vitalità. È solo una specie di sigla/introduzione ma racconta tutto quel che c’è da dire su La casa tra le onde.
Più interessante è semmai la maniera in cui una storia di bambini è un espediente per rivedere alcune dinamiche di gender che intrappolano i bambini maschi, sotto pressione per incarnare certe tipologie umane e in dovere di avere alcune reazioni (soprattutto nella tradizionale società giapponese). Specialmente perché poi il film sente nella seconda parte quasi l’esigenza di trovare un po’ di azione e così un senso, trasformandosi e adottando quasi uno svolgimento da film di pirati. Nulla di tutto ciò però è davvero a fuoco, non l’azione, di certo non il discorso sulla memoria e per niente anche l’allegoria fantastica.