La recensione di Don’t Worry Darling, il film di Olivia Wilde in concorso a Venezia79
Ci sono due mitologie legate agli anni ‘50 americani: quella dell’età dell’oro, il periodo in cui lo spirito americano era al suo livello più alto e il paese viveva di una specie di innocenza provinciale; e quella degli anni ‘50 come territorio principe dell’ipocrisia, paradiso di facciata che nasconde il turpe e disturbante, lo squilibrio tra ruoli, la meschinità e la sopraffazione. Se la prima mitologia è spesso forte nelle persone che quegli anni li hanno vissuti o quasi (Ritorno al futuro è il primo esportatore di quell’idea), la seconda è molto più forte oggi e anche le produzioni meno arrabbiate (come La fantastica signora Maisel) li dipingono come un tempo di ipocrisia e squilibri.
Olivia Wilde fa degli anni ‘50 un segno. Il suo secondo film da regista sceglie quell’epoca e quel contesto tra i molti possibili proprio perché è buono per rappresentare quanto di più falso e ipocrita possa e...
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