Drive My Car, la recensione | Cannes 74

C’è una Saab rossa degli anni ‘90 che gira per il Giappone. A bordo un regista teatrale che solo pochi minuti dopo l’inizio scopre che la moglie lo tradisce e poi la vedrà morire. È un brutto periodo. Due anni dopo viene chiamato per mettere in scena Aspettando Godot e decide di farlo in tutte le lingue, cioè di prendere attori di diverse provenienze (giapponesi ovviamente ma anche una cinese, un portoghese e una sordomuta che si esprime nel linguaggio dei segni) che parleranno ognuno nel proprio idioma. L’obiettivo è scaricare il testo delle convenzioni e far concentrare il pubblico sul linguaggio del corpo. Intanto per guidare la Saab a cui tanto tiene deve prendere un’autista perché da solo non può più farlo e con lei indaga la sua vita.

È più o meno questo Drive My Car, sensibilissima (pure troppo) riflessione sui confini tra vita e rappresentazione della vita. Il regista stringerà un legame con l’autista e anche tra gli attori nasceranno del...