The Gray Man, la recensione

Spionaggio e azione in un film nel quale la scrittura lascia tutte le molte scene spettacolari prive di un senso e di un vero scopo

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di The Gray Man, in sala dal 13 giugno e su Netflix dal 22 giugno

Viene da una serie letteraria The Gray Man ma davvero di scritto ha ben poco. Anzi. I fratelli Russo hanno messo in scena un film che sembra essere vivo artificialmente, privo di una sua anima, ma agitato da lontano come un automa. The Gray Man fa tutto quel che ci si aspetta da un film di spionaggio e (più che altro) d'azione moderno: ha tutta le scene, le esagerazioni e i grandi conflitti cui siamo abituati. Ma nessuno che ci abbia soffiato dentro un po’ di vita capace di rendere il grande spettacolo effettivamente di intrattenimento.

È la storia di Court Gentry, in galera per un omicidio, che viene contattato dalla CIA per diventare un killer per conto dello stato e così uscire di prigione (per entrare in un’altra, lo capiamo subito: quella di un lavoro dal quale non ci si può licenziare). Flashforward a 18 anni dopo e il protagonista è stato addestrato, ha ormai anni di esperienza, è uno dei migliori ma la trama imbastirà una girandola di tradimenti e cose che non andavano viste che ne mettono a repentaglio la vita: ora è una pedina in fuga da tutto e tutti. Un classico, lo stato lo ha addestrato e ora nessuno lo controlla.

Più che un agente segreto, Court Gentry è un supereroe senza poteri, qualcuno che può tutto e compie azioni incredibili con una facilità inspiegabile. Non l’abbiamo nemmeno visto addestrarsi quindi non capiamo bene come possa fare quel che fa. Almeno Jason Bourne mostrava fatica, incertezza e impegno nel suo superomismo. Qui no e l’unica maniera di far quadrare tutto è iscrivere l’intero film nell’universo della fisica di Fast & Furious. Ma anche così, anche affiancato a quei film di spettacolo senza ragione, The Gray Man sembra solo un collage di situazioni ad alto rischio, collegate fra loro da telefonate con Billy Bob Thornton (il mentore). Le minacce sono sempre lontane, trame fatte altrove e i cui epifenomeni si manifestano accanto al protagonista di colpo. Lui ne esce e si ricomincia fino allo showdown. Ogni tentativo di imbastire una trama sì infrangono sulla parete delle convenzioni portate avanti senza convinzione.

Come già avvenuto con Cherry i fratelli Russo girano un film molto corretto e per niente interessante, un film con una posta in gioco altissima, in teoria, ma che poi scena per scena non ci tira mai dentro gli eventi. Ryan Gosling è incapace di fare qualcosa (dimostrando che il suo modo di recitare in sottrazione, se non sostenuto da un film che lavora in armonia, è inutile) e involontariamente contribuisce a rendere il film blando. Un uso assassino di droni lanciati velocissimi poi provoca solo fastidio e ben poco senso di coinvolgimento come probabilmente dovrebbe essere. Perché al netto della passione per la tecnica e per il lavoro dei protagonisti, che sembra venire dai film di Michael Mann, in The Gray Man non si respira mai un po’ di senso, anche semplice, non sentiamo mai la profondità degli obiettivi o la fatica per raggiungere qualcosa di importante.

Quello che rimane è un film molto vecchio, scritto abbastanza male e dialogato anche peggio, uno in cui i personaggi dicono ancora cose come “È ora di darcela a gambe” o “Credo che prenderò le scale” detto da qualcuno colpito a morte che non può farcela a fuggire. Le one-line senza il carisma per pronunciarle, la durezza ostentata in un contesto dove tutti possono tutto e nessuno si stupisce granché ma senza la sofisticazione tecnica e atletica di The Princess (per citare un film d’azione uscito contemporaneamente in piattaforma).

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