L'ultimo yakuza, la recensione

Polizia corrotta, mafia, triade e due innamorati nel mezzo, L'ultimo yakuza non racconta solo il caos della vita ma anche un cinema fantastico e caotico

Critico e giornalista cinematografico


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In un film di Takashi Miike l’attesa dello scoppio del caos furioso è tutto. È il film stesso. Che sia una delle sue commedie, che sia l’adattamento di un fumetto, che sia un horror, un thriller, un film sperimentale o anche solo, come in questo caso, un poliziesco, il ribaltamento verso l’anarchia è sempre dietro l’angolo, è la meta verso la quale tutti sembrano marciare inconsapevolmente. Qualsiasi piano è destinato a saltare, qualsiasi desiderio ad essere frustrato e, da un certo punto in poi, qualsiasi arto è destinato ad essere separato dal resto del corpo.

Questa tendenza sempre presente nei suoi film è anche più evidente in quelli come L’ultimo yakuza in cui ci sono tanti personaggi e tante trame che lentamente convergono verso un punto unico, ognuno cerca qualcosa, ognuno ha i propri obiettivi ma una massa di coincidenze sconvolgerà tutto, film incluso. Perché anche l’opera in sé inizia molto chiara e seria, con un pugile a cui viene diagnosticato un tumore terminale, una ragazza sfruttata che si imbatte in lui e forse da lui può essere salvata, un membro della malavita che vuole fare un colpaccio ai danni di tutti, soldi, denaro e la triade cinese di mezzo che non ha piacere che i propri affari vengano intralciati. Questa patina di serietà comincerà a calare dopo la metà quando il caos del mondo prende il sopravvento e niente va come dovrebbe. Quando entrano in scena le katane e rimanere intero diventa un lusso per ogni corpo.

La maniera in cui il film lentamente finisce nella commedia, è la storia di come il ridicolo dell’esistenza non stia negli uomini in sé ma semmai nel loro puerile tentativo di comandare le proprie vite. È di quello che in ultima analisi ride Miike, e lo fa con la scorrevolezza e la fluidità che avrebbe chiunque dopo aver diretto 100 film (numero reale di titoli nella sua filmografia). I due teneri innamoratini sono il sassolino che inceppa gli ingranaggi degli affari di polizia corrotta e yakuza, finendo per unire il pauroso e il ridicolo per creare un tono ibrido tra i due in cui ha origine il divertimento, alimentato dalla violenza e dalle risate e soprattutto disegnato benissimo. Tra le mille capacità di questo regista che padroneggia tutto della messa in scena c’è anche quella di spiegare i personaggi solo con il modo in cui sono presentati. Come la donna sopravvissuta all’esplosione che gira in mutande, pelliccia e mazza, pronta ad uccidere tutti perché gli hanno fatto fuori il fidanzato.

Arrivato a quel punto L’ultimo yakuza può fare tutto anche inserire una scena totalmente animata che racconti qualcosa che sarebbe più faticoso mettere in scena dal vero e poi tornare nel cinema dal vivo come nulla fosse. È il piacere e la potenzialità di questo cinema caotico senza regole in cui Takashi Miike sa guidare lo spettatore, che nessuno può permettersi e che lui invece è arrivato a poter fare senza sforzi apparenti.

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