[Roma 2016] Captain Fantastic, la recensione

Spacciando l'esaltazione dei valori americani per anticonformismo, Captain Fantastic mostra una famiglia stramba che è più funzionale di tutte le altre

Critico e giornalista cinematografico


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Sappiamo molto bene che il cinema indipendente americano ama flirtare con il ruffiano, ama cioè guadagnarsi il favore del pubblico accostando lo strano e l'inusuale al tenero, fingendo di raccontare il deviante ne afferma il suo essere in realtà più normale del normale, riportando ogni stranezza nella rassicurante cerchia del noto. Stili e modelli di vita fuori dai canoni guardati con amorevole bonarietà. Non propriamente il massimo dell'onestà intellettuale. Captain Fantastic però è un nuovo standard in materia perchè parte dallo scenario più estremo per convolare al più canonico pretendendo di mantenere il fascino del ribelle.

Matt Ross dalla storia di un padre, 2 figli e 4 figlie tra i 6 e i 20 anni che vivono nella foresta come selvaggi, educati cacciando, esplorando, studiando e facendo festa in un tripudio di scienza e vita a contatto con la natura, arriva al massimo del convenzionale lungo tutto un film che non disdegna di barare come può a furia di umorismo, lacrime facili, luci e primi piani emotivi usati per coinvolgere.

È la morte della madre (separata dalla famiglia) dopo lunga malattia a spingere il nucleo selvaggio a tornare nel mondo civile, e ovviamente il contrasto con le abitudini della vita canonica del resto della popolazione creerà l'effetto comico e una presa di coscienza in tutti, affermando l'esigenza di mitigare quell'educazione con la vita sociale assieme agli altri.
Nella visione del film la società conformista è quella malata, che non accetta la diversità, incapace di ragionare e dotata di tutti i peggiori difetti. L'educazione ricevuta dai protagonisti invece è manifestamente superiore, non solo più forti e sani ma anche dotati di una capacità intellettuale maggiore. Al di fuori dalla società dei consumi, esterni ai media di massa, non contaminati dall'educazione canonica, lontani dal nozionismo e pieni di sani dubbi, i 6 fratelli uniscono l'ideale americano di Jeremiah Johnson (il contatto con la natura) ad uno sviluppo dialettico elevatissimo, invece che a Natale si scambiano i regali il giorno del compleanno di Noam Chomsky.

La profonda disonestà del film arriva però quando Captain Fantastic esibisce una superiorità all'interno dei canoni della stessa società che contesta. I 6 fratelli sono infatti più funzionali al mondo che non hanno frequentato rispetto agli altri. Non hanno diverse abilità e valori opposti a quelli del pubblico, non generano un sano dubbio in chi guarda con vere idee divergenti, non sono dei reietti perchè pensano e vivono in altre maniere, ma hanno solo trovato un'altra maniera di essere "i migliori" secondo i soliti canoni. Per quanto teneramente privi di doti sociali, dato l'isolamento in cui hanno vissuto, i protagonisti sono presentati al pubblico come figure modello con una tale ostinazione da sfiorare la propaganda, modello di ribellione che è invece il massimo dell'inquadrato e dell'accettabile: bravi ragazzi, dotati di valori sanissimi, obbedienti, rigorosi come dei militari e sapienti di una conoscenza da livello universitario. La vera devianza o la vera autonomia non sono nemmeno immaginate.

Ancora più a fondo in questo film, che non a caso ha riscosso grandissimo successo di pubblico, Matt Ross è proprio con le armi del cinema che bara per ottenere i favori del pubblico. Luci soffuse, tavole imbandite di cibi colorati, cover melodica di Sweet Child O' Mine, carrello lento e tutto l'armamentario degli spot, sono i modi in cui inquadra i suoi personaggi, cercando sempre di metterli nel favore migliore. Per raccontare quello che dovrebbe essere un mondo alternativo al nostro lo propone nella stessa maniera in cui si vendono i cereali da colazione. Un film fieramente al di fuori del sistema che di fatto smercia ipocrisia travestita da cinema di protesta, contrabbanda al pubblico il conformismo affermando che sia devianza.

Perchè alla fine non è davvero questione di essere in accordo o meno con le idee di Captain Fantastic ma dell’onestà di questo film talmente povero da dover barare, talmente vuoto da dover fingere. Cineasti eccezionali come Spielberg, Eastwood o Zemeckis raccontano storie ancora più inquadrate nei valori canonici, ma non lo nascondono, anzi! Questo significa essere onesti e fare cinema con serietà. Dall'altra parte registi e autori realmente anticonformisti ce sono e non hanno niente a che vedere con questa dolcezza. Harmony Korine, Nima Nourizadeh, Larry Clark, Andrea Arnold o Jared Hess, in diversi generi e diversi registi hanno molta più onestà di un film come questo, non cercano di "vendere" un altro modo di essere accettati ma raccontano chi non lo è senza fargli sconti.

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