La recensione di Una stanza tutta per sé, al cinema dal 17 agosto

In Israele, dove la leva militare è obbligatoria per tutti, quando stai per finire le superiori vai a fare un colloquio che deciderà la tua mansione nell’esercito. È in questo colloquio che il diciasettenne Uri (Gilad Lederman) dice la verità sulla sua vita, contenendo tutto il conflitto che Una stanza tutta per sé racconta sul protagonista: da quando il padre se n’è andato di casa dorme nello stesso letto di sua madre. Si tratta di una dipendenza affettiva gigantesca, contro la quale Uri sente di dover combattere per diventare adulto.

Una stanza tutta per sé è un coming of age dal tono volutamente dimesso: il regista Matan Yair ricerca la liberazione emotiva di questo adolescente attraverso un’evoluzione psicologica quasi impercettibile, ma se da una parte riesce a ritrarre in modo estremamente enigmatico e particolare il carattere di Uri, dall’altra pone una risoluzione piuttosto blanda e inespressiva rispetto alle ot...