Baby Driver è un regalo per chi ha il fischio alle orecchie

Baby Driver è uno splendido thriller musicale, e chi soffre di acufene non può non amarlo

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Baby Driver va in onda su Rai4 e Rai4 HD questa sera alle 21:20 e in replica domani alle 14:02 e martedì 12 alle 23:57

Ci sono tanti modi per interpretare Baby Driver, l’ultimo (per ora) film di Edgar Wright e uno dei thriller – ma sarà corretto definirlo così? – più originali, esaltanti e pieni di groove degli ultimi anni. Si potrebbe per esempio fare il solito e ormai un po’ scontato parallelo sia con Drive, sia con Driver – L’imprendibile, il capolavoro di Walter Hill che sia Wright sia Refn hanno reinterpretato con i loro rispettivi film. Si potrebbe discutere di come Wright abbia preso un trucchetto stilistico solitamente riservato ai video musicali e più di recente a certi trailer e l’abbia elevato a sistema, costruendoci un film intorno – parliamo ovviamente del montaggio che segue il ritmo e gli stacchi della colonna sonora, e cosa questo significhi in termini di composizione del racconto per immagini. Si potrebbe lodare Ansel Elgort oppure lamentarsi per l’ennesima volta di come Jon Hamm, nonostante il suo talento, non abbia ancora avuto una vera grande occasione a Hollywood. Noi però questa volta scegliamo un’altra strada: quella di lodare Baby Driver in quanto film che parla di una disabilità molto diffusa ma poco nota come l’acufene.

Baby Driver e i Mint Royale

Le origini di Baby Driver risalgono a quasi vent’anni fa, nel 2003, in questo video girato da Edgar Wright per i Mint Royale:

Nonostante manchi ancora il lato action, in questi tre minuti c’è già tutto quello che si ritrova anche in Baby Driver, a partire dal connubio tra musica e immagini per arrivare all’idea narrativa che sta alla base di tutto: la storia, cioè, di un tizio molto bravo a guidare che partecipa a rapine di ogni tipo non attivamente, ma aspettando fuori (dalla banca, dall’ufficio postale, da quello che preferite) con il motore acceso. Il video dei Mint Royale è un antipasto di quella che diventerà poi la sequenza iniziale di Baby Driver, e dalla quale Wright parte per raccontare la vicenda di Baby (Elgort), un bravo ragazzo che ha fatto degli errori e si è ritrovato quindi a dover lavorare più o meno controvoglia per un criminale.

La storia di Baby è un grande classico del crime movie, con tutti gli elementi al posto giusto (fin troppo, secondo una parte della critica, che se chiedete a noi ha torto): c’è l’eroe controvoglia, la sua amata, la sua famiglia (rappresentata in questo caso dal patrigno), il boss elegante e dai modi educati ma ovviamente spietato e crudele quando serve, più una serie di facce da crimine ciascuna caratterizzata con pochi colpi di pennello (Jon Hamm ed Eiza Gonzalez sono la coppia bella e dannata, Jamie Foxx è l’immancabile iperviolento, c’è spazio persino per il fu nichilista Flea). E ci sono le rapine, una più grossa dell’altra e ciascuna associata a una canzone che ne detta i tempi narrativi e persino la durata a schermo.

In realtà, la colonna sonora di Baby Driver non è un semplice accompagnamento per le scene madre, ma un tappeto costante che sottolinea ogni scena: una playlist favolosa ed eclettica, costellata tra l’altro di scelte di una finezza unica, in certi passate completamente inosservate: per esempio, l’unico pezzo strumentale presente nel film, New Orleans Instrumental N.1 dei R.E.M., è utilizzato in una scena di forte impatto emotivo che coinvolge Baby e il suo patrigno, che è sordomuto e non ha quindi bisogno di parole per comunicare.

Baby Driver Baby

Baby Driver e l’acufene

Il motivo di questa onnipresenza della musica amata da Edgar Wright è, come già detto, stilistico, ma è anche narrativo – e qui arriviamo a parlare di fischi alle orecchie. I genitori di Baby, infatti, sono morti in un incidente stradale che l’ha lasciato orfano, e che gli ha lasciato in eredità un tremendo acufene, il “fischio all’orecchio” che colpisce un 10-15% della popolazione mondiale e che diventa una condizione grave nell’1-2% circa dei casi. Raccontare l’acufene a chi non ce l’ha è difficilissimo, soprattutto perché, in un mondo costantemente rumoroso come il nostro, la probabilità che una persona ne soffra in forma lievissima o solo temporanea (pensate a come stanno le vostre orecchie quando tornate a casa dallo stadio, o da un concerto, o anche solo da una festa) sono piuttosto alte.

L’acufene vero, però, quello diagnosticabile clinicamente e che spesso si accompagna anche ad altri problemi di udito, è un’altra cosa: un compagno costante e fastidioso, impossibile da curare (almeno allo stato attuale delle cose: chi ne soffre spera sempre che si possa trovare una cura di qualche tipo, anche solo per non impazzire) e difficilissimo da ignorare. Le forme più gravi di acufene possono portare depressione, difficoltà di concentrazione, perdita di capacità sociali, e se ci sono farmaci che aiutano per lo meno a tenerlo a bada o a ridurne l'intensità, l’unica vera arma per combatterlo è la forza di volontà, e un grande e costante lavoro psicologico sulla propria persona.

Chi soffre di acufene non può quindi fare a meno di identificarsi con Baby e con la sua necessità di annegare il rumore di fondo con una colonna sonora costante – una soluzione piacevole (a meno di non odiare la musica in toto, ovviamente) e un po’ paradossale, considerando quanto spesso questa condizione insorga a seguito di concerti particolarmente rumorosi o dell’utilizzo di cuffie a volume troppo alto. Con il passare dei mesi e degli anni si comincia a sviluppare una routine per “spegnere” il fischio (o il rombo, o il boato: l’acufene si manifesta in tanti modi diversi) o quantomeno annegarlo sotto altri strati di suono, e le cuffie diventano uno strumento fondamentale per mantenere la sanità mentale.

Baby Driver banda

Grazie, Edgar Wright

Ovviamente Baby Driver non è solo “un film sul fischio all’orecchio”: è una parabola di redenzione e un ammonimento, un’opera che parla di come anche un piccolo errore possa degenerare e trasformare in peggio la vita di una persona, nonché l’ennesima variazione sul tema della famosa battuta di Al Pacino nel Padrino parte III. Ma è un caso raro di opera cinematografica che prova a raccontare questa condizione (della quale peraltro lo stesso Edgar Wright soffre fin da bambino) e persino a integrarla nell’ordito del racconto, qualcosa che in tempi recenti si è visto nel cinema mainstream solo in A Star is Born (dove ne soffre il personaggio di Bradley Cooper). Di questi tempi nei quali il concetto di rappresentazione è diventato finalmente importante quando si scrive un film, Baby Driver è un esempio da applaudire.

NB: l'autore del pezzo soffre di acufene da cinque anni ormai, in una forma che, per fortuna e dopo molto lavoro, è passata da essere "grave oltre i limiti della sostenibilità" a "tutto sommato sopportabile, va a giorni".

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