C’è stato un periodo in cui il noir è rinato. Il cinema è tornato nelle strade umide delle metropoli a raccontare storie di criminali, donne seducenti e poliziotti. Le ombre lunghe del tramonto, gli omicidi della sera, hanno aiutato a processare i traumi nascosti di un’epoca. Quegli anni erano i ’90, e il genere venne codificato come neo-noir. 

In un imperdibile speciale di The Ringer il giornalista Brian Raftery ha raccontato con un taglio analitico la rinascita del genere noir che imperversò in America tra gli anni ’40 e ‘50 per poi tramontare. Tutto partì con Il mistero del falco e il cinema gradualmente passò dal raccontare le gesta degli eroi al fronte a quelle dei criminali negli agglomerati urbani. Mentre l’Europa si interessava della realtà nelle strade, il noir fotografava i cambiamenti della società prendendo in prestito la cifra stilistica dell’espressionismo. I registi immigrati avevano infatti portato la poesia delle ombre e delle geometrie nel racconto poliziesco. Donne fatali, antieroi (che cercavano di sfuggire ai finali redentori imposti dalla censura), e i palazzi delle metropoli in cui si incontrano ricchezze e povertà.

Il noir classico ebbe una vita limitata, negli anni ’60 il cinema statunitense si liberò dalle convenzioni narrative. Iniziò a trovare i propri personaggi in altre categorie umane. I generi si contaminarono in una spinta autoriale.

Fu insolito, come si fa notare nell’articolo, che la rinascita del noir venne accolta proprio dagli anni ’90. Un decennio che si ama ricordare come “l’ultima volta in cui le cose non sono state terribili”, ma che contiene in sé diverse inquietudini. L’economia ingigantì le differenze tra ricchi e poveri, la televisione raccontava gli orrori di un mondo senza confini in diretta. La stampa nel frattempo raccontava gli americani impegnati nella guerra del golfo come dei liberatori. Le rivolte a Los Angeles così come l’attentato di Oklahoma City squarciavano contemporaneamente ogni velo di ipocrisia. Proprio come negli anni ’40 la società premeva per specchiare le proprie amoralità nelle storie.

Il neo-noir esplode in quel decennio in una serie di contaminazioni. Entra nella fantascienza, si tinge di erotismo, abbraccia i fumetti e i romanzi, diventa sociale, metacinematografico, libero… E spesso non fu riconosciuto. Il neo-noir venne messo a fuoco solo a posteriori per via della sua eterogeneità e varietà creativa. 

Star di serie A, un titolo da serie B, e una grande dose di violenza sono alla base di tutto. Ritornano le donne fatali, come in Basic Instinct o L’ultima seduzione, che spesso però la fanno franca dalla giustizia.

La violenza si fa più esplicita. Il sesso e la seduzione entrano nelle storie come in Bound – Torbido inganno delle sorelle Wachowski. L.A Confidential e Il diavolo in blu toccavano le corde dell’indignazione per la violenza della polizia che fece esplodere una ondata di proteste nel 1992. 

È sempre questione di soldi o di sopravvivenza. I confini labili tra il bene e il male si intrecciano. La giustizia mostra la sua altra faccia, il crimine la sua umanità. Il neo-noir è questo: non più tanto una questione di guardie e ladri, ma di limiti morali.

Piacevano molto questi film alle produzioni. Erano infatti un affare sicuro. Bastava una grande star a trainare il film: Denzel Washington, Jack Nicholson, Michael Douglas, ma anche Jennifer Lopez, Sharon Stone. Qualche volta erano in coppia come Morgan Freeman e Brad Pitt in Seven. Ma i film costavano anche poco, e recuperavano quasi sempre  i costi di produzione. Difficile fare un grande successo, ma anche quasi impossibile fallire.

L’esplosione del neo-noir non superò il decennio. L’arrivo di internet, dei nuovi modi di visione, insieme alle nuove tecnologie e a mercato sempre più globale hanno arrotondato alcune punte su cui vivevano questi film.

Oggi il neo-noir si è trasferito altrove. Ogni tanto riappare al cinema venendo però da lontano. È infatti il mondo orientale che riesce a trovare spesso grandi espressioni. Old Boy superava il millennio (è del 2003). Ma anche Chaser di Na Hong-jin ne eguagliava la portata inquietante. Stesso discorso per Memorie di un assassino di Bong Joon-ho. O, più recentemente, Il lago delle oche selvatiche.

Un tipo di contenuti che però ha gradualmente abbandonato il grande schermo. Oggi il neo-noir si è trasferito in una forma molto più congeniale alla sua struttura. Ha lasciato parzialmente le sale che sempre di più devono cercare di abbracciare pubblici vasti (eccezion fatta per quelle dei festival e dei cinema d’essai). Ha trovato spazio invece nella televisione e nella serialità. True Detective, Too Old To Die Young, Gangs of London, The Little Drummer Girl, Quarry, Sharp Objects sono solo alcuni esempi. Anche David Lynch che con il suo Mulholland Drive aveva creato uno dei momenti noir più sconvolgenti, ha infuso in Twin Peaks (stagione tre) la stessa atmosfera. 

La struttura della suspense, il continuo rimandare la soluzione dell’enigma, sono l’ideale per tenere lo spettatore incollato di puntata in puntata. La libertà della tv via cavo, più propensa ad accogliere contenuti iperviolenti rispetto a quella free, ha teso la mano agli sceneggiatori più spinti. Una seconda\terza vita del noir ristabilita nell’immaginario collettivo.

Continua infatti ad analizzare le crepe sul quadro idilliaco che i sindaci e i governi amano raccontarsi. È un genere degli ultimi o dei nascosti. Si affeziona e segue le persone ai margini, entra nelle stanze o nelle culture che non sono accessibili. Sono i centri di potere o i gruppi sociali più ignorati dal 99% del resto del mondo. Ci spiega come in realtà siano ingranaggi fondamentali. È grazie a loro che il mondo gira.

Anche se un film ha luogo a New York o a Los Angeles, il mondo noir non è il mondo reale” dice il regista e sceneggiatore Brian Helgeland. “È un mondo strano che è per metà nella tua testa”. È lì che si forma il neo-noir, nella sua indefinibile concretezza di vita. Succede nel buio delle ombre, dove la realtà si deforma e lascia lo spazio alla paura delle strade.

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