SPOILER ALERT: Per rendere chiara la rilettura di Matrix Resurrections in ottica “esperienza di transizione”, sono state esaminate le scene del film, incluse sequenze significative e finali.

Matrix è una metafora dell’esperienza di transizione”. Da quando le sorelle Wachowski hanno confermato la veridicità di tale affermazione, questo è diventato uno degli argomenti più caldi in prossimità dell’uscita di Matrix Resurrections. Molti critici e studiosi hanno analizzato il primo capitolo della storica saga, scena per scena, riscontrando come queste potessero essere rilette esattamente in un contesto che rappresentasse l’esperienza della transizione. L’esempio più diretto di quanto detto è il rapporto tra l’Agente Smith e Neo, a partire dall’iconico interrogatorio nelle scene iniziali del primo film. Smith pronuncia per l’unica volta in tutta la saga il nome “Neo”, parlando delle possibili due vite diverse per il protagonista e di come solo una di queste potrà avere un seguito. Da quel momento in poi la scaltra nemesi continuerà a rivolgersi al nostro eroe utilizzando “Signor Anderson”, il nome assegnatogli dal sistema Matrix, con particolare enfasi su “Signor”, appellativo utilizzato per rivolgersi a qualcuno di genere maschile. Ciò che l’agente Smith fa nei confronti del protagonista tramite questo gesto è quel che nella comunità trans viene chiamato “deadnaming”, una vera e propria forma di violenza che consiste nel negare l’identità della persona trans tramite il rifiuto dell’utilizzo del nome con cui quest’ultima si riconosce e presenta. A fugare ogni dubbio sul fatto che il personaggio interpretato da Keanu Reeves percepisca ciò come una mancanza di riconoscimento del suo vero io, possiamo prendere in esame la scena del combattimento nella stazione: “Mi chiamo Neo” pronuncia fermamente poco prima di dimenarsi dalla presa dell’Agente, affermando una volta e per tutte chi lui è realmente, anche con se stesso.

Solo un gioco?

Anche la scelta del setting è molto funzionale a quella che è l’esperienza di una persona transgender. In base al vissuto di chi scrive e a molte testimonianze che è possibile raccogliere, la rete è uno dei primi ambienti in cui una persona trans comincia a presentarsi per chi è realmente. Per quanto riguarda me, i videogiochi sono stati il primo porto “sicuro” dove ho esplorato maggiormente la mia identità di genere e ho capito di più riguardo chi realmente sono. Forse non è un caso che proprio i videogiochi rappresentino un nodo narrativo principale nello stesso Matrix Resurrections, che riprende il discorso da dove lo aveva interrotto il primo Matrix. Nonostante la Deus Machina e Matrix abbiano ridotto la vita di Neo a “solo un gioco”, in realtà è tramite esso che l’intera storia riesce ad avere luogo. Se non fosse stato per il modale inserito all’interno del videogame sviluppato dal protagonista, Neo non avrebbe potuto mai riscoprire se stesso: “Come se avesse voluto essere trovato”, affermerà Bugs.

Matrix

Il mondo digitale viene spesso interpretato come solo un gioco, quando molto spesso è un rifugio dove si vive una vita complementare e funzionale a quella oltre lo schermo. Nel film di Lana Wachowski il meccanismo è esattamente quello: Matrix limita e controlla la vera identità di Neo continuando a ripetergli come questa sia solo un gioco, niente di reale, anche se quel che c’è dentro il “videogioco” è molto più autentico del mondo che gli è stato creato nuovamente intorno. Il personaggio di Trinity, che in Matrix Resurrections svolge un ruolo ancora più centrale e cristallino in tale ottica, ha un primo momento di auto-riconoscimento proprio tramite il gioco, una sensazione per lei importante e intima che non viene accolta dal “finto marito”. Trinity descrive quella scena in modo molto chiaro, con tanta rabbia che vorrebbe fare esplodere, un’emozione facilmente condivisibile quando si vede delegittimata l’idea di come noi ci percepiamo.

Gli specchi

Abbastanza immediata da comprendere è anche la metafora degli specchi. Il film non nasconde affatto l’idea della disforia tra come Neo e Trinity “si vedono allo specchio”, come si percepiscono, e come invece il mondo li guardi. Molto interessante è invece il come la superficie riflettente rappresenti il passaggio tra i mondi: riferimento palese ad Alice attraverso gli specchi a parte (libro perfino presente in una scena), suggerisce pienamente come entrando a contatto con l’immagine del nostro vero io riusciamo a raggiungere la verità su di noi e ciò che ci circonda. Altrettanto profondo è il significato rivisto del rapporto tra i due personaggi principali della saga, qui reso ancora più vitale e centrale sia ai fini della trama che dell’universo narrativo stesso.

Il simbolismo dietro la relazione tra Neo e Trinity è ancora più chiaro e netto, soprattutto per via della maggiore caratterizzazione della seconda e del suo ruolo centrale per tutto lo sviluppo narrativo. Neo e Trinity non sono più “semplicemente” due amanti, ma due parti di un intero (“L’Eletto” nella versione originale è chiamato “The One”, ndr). L’intero film racconta di come Neo prima prima ritrovare la propria identità e di come poi vada alla ricerca di Trinity, “Lei”, per ritrovarsi entrambi, per ritrovare quell’unità. Particolarmente significativa è la scena del salto della fede, dove è “Lei a salvare Lui”, proprio come avviene nel percorso di transizione per noi donne MtF. Per chi nutre qualche dubbio su questa interpretazione, facciamo tre passi indietro, fino al primo Matrix, all’iconico incontro tra Neo e l’Oracolo.

matrix resurrections

Conosci te stesso

“Sai cosa dice quella scritta? “Conosci te stesso”. Voglio confidarti un piccolo segreto: essere l’Eletto (The One) è come essere innamorato. Nessuno può dire se sei innamorato, lo sai solo tu. Te ne accorgi per istinto.”

Quella scena di vitale importanza riassumeva come Neo poteva abbracciare la sua piena identità solo nel momento in cui era pronto per accettarla. Anche questa è stata già riletta da critici e studiosi come un chiaro riferimento all’esperienza di transizione, con un Oracolo in versione “terapista” che accompagna il protagonista nel suo percorso, senza dirgli cosa deve o non deve fare, chi è o chi non è. Dopo aver ultimato la visione di Matrix Resurrections mi è tornato in mente di come l’Oracolo avesse paragonato il conoscere se stessi all’innamoramento e al modo in cui il rapporto tra Trinity e Neo è stato presentato nel film. Entrambi sono parte di quell’intero, The One, un’unità possibile grazie a quell’atto di amore profondo che li unisce.

Ulteriore prova di come Trinity sia stata resa parte della metafora dell’esperienza di transizione è il modo in cui lei vive la sua stessa vita “normale”, cercando di evaderne il più possibile con esperienze avventurose, come la passione per la moto che neanche Matrix è riuscito a cancellarle. La scena dell’auto-affermazione del proprio nome, della propria identità, è inoltre molto più “d’impeto” qui rispetto a quando Neo ha affrontato Smith la prima volta: Trinity esprime vero e proprio disprezzo per “Tiffany”, nome che aveva già banalizzato nelle scene iniziali, ricercandone le origini nella passione dei propri genitori per i film di Audrey Hepburn (a tal proposito, si veda il ruolo della protagonista Holly Golightly in Colazione da Tiffany, anche lei divisa tra due vite diverse e chiamata a fare una scelta simile).

matrix resurrections morpheus

L’unica scelta possibile

Matrix Resurrections è un film che riflette su diversi temi, che sa anche prendersi gioco di sé dove e quando vuole e affronta discorsi meta-narrativi relativi alla produzione di sequel e reboot nella Hollywood di oggi. Il lungometraggio diretto dalla sola Lana Wachowski è anche una riflessione sullo stesso significato di Matrix per chi ne è spettatore (attento o meno), ma anche e soprattutto per se stessa. Non deve stupire dunque se Resurrections chiude il cerchio anche per la metafora più discussa degli ultimi anni, relativa all’esperienza del percorso di transizione e la disforia dei personaggi principali. I dubbi di Neo e Trinity su ciò che è reale o meno, condivisi anche da chi è spettatore, ripercorrono lo stesso discorso iniziato nel 1999 e lo rendono più chiaro e netto. Due “rinascite”, nel senso letterale e allegorico del termine, che passano attraverso la riappropriazione della propria identità da parte dei due protagonisti e una riscrittura di ruolo importante per la figura femminile, vero perno centrale del film firmato da Lana Wachowski. Perché alla fine l’unica scelta possibile non è che la pillola rossa.


Jane Romero è una content creator attiva su Twitch, dove tratta argomenti dedicati ad inclusività e alla community LGBTQIA+ (in particolare, in riferimento alla propria esperienza da ragazza trans). Scrive inoltre di argomenti a tema intrattenimento e sociali. Potete seguirla anche su Twitter.

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