Mulholland Drive, vent’anni di enigmi firmati David Lynch

“Riservato ai solutori più abili”.

Chiunque abbia almeno una volta giocato con La settimana enigmistica o con uno degli innumerevoli tentativi di imitazione vantati dalla rivista si sarà imbattuto prima o poi in questa formula, che indica un cruciverba o altresì un enigma particolarmente complicato da districare, e serve quasi a consolare chiunque decida di provarci fallendo clamorosamente. David Lynch è considerato, tra le altre cose, un autore riservato ai solutori più abili, e Mulholland Drive, che oggi compie vent’anni dall’uscita nelle sale americane, come uno dei suoi enigmi più affascinanti e intricati. Il genere di film che va visto con un blocco di appunti a fianco, e con il dito fermamente piantato sul tasto rewind, per usare una terminologia che andava bene nel 2001; un film incomprensibile, che richiede lunghi viaggi nei meandri di Google per venirne a capo.

Almeno così si diceva al tempo, dopo l’applauditissima anteprima a Cannes e i primi giri in sala – che incidentalmente fruttarono a Mulholland Drive appena 20 milioni di dollari a fronte di un budget di 15, un classico caso di film applaudito dalla critica e snobbato dal pubblico, cioè una delle situazioni più ricorrenti nella carriera di David Lynch. Si diceva che Mulholland Drive fosse (non stiamo a linkarvi tutte le recensioni a riguardo, ma se volete ce n’è una particolarmente divertente che lo definisce “un mucchio di spazzatura idiota e incoerente”) un puzzle irrisolvibile, un delirio il cui senso emergeva solo dopo ripetute visioni e analisi approfondite e magari collettive. Geniale, sperimentale, oscuro, imperscrutabile, irrisolvibile e secondo alcuni irricevibile: a rileggere adesso quello che la stampa scrisse su Mulholland Drive vent’anni fa viene il dubbio che a un po’ di gente mancasse una conoscenza anche minima del resto della carriera di Lynch.

 

Mulholland Drive blu

 

Lo scriviamo più esplicitamente perché secondo noi questo concetto è il cuore non solo del pezzo, ma anche dello stesso Mulholland Drive e della fama parzialmente immeritata che si è costruito. Mulholland Drive non è un film difficile, non è incomprensibile, non richiede una laurea solo per comprenderne la trama e soprattutto non è, come sospettava qualcuno, un film incompleto e quindi costituzionalmente indecifrabile. È un film alla fine del quale è relativamente facile farsi un’idea di cosa sia successo nelle due ore e mezza precedenti, almeno per quel che riguarda le linee generali; certamente è più approcciabile di Strade perdute, un’opera la cui interpretazione è invece ancora tutta aperta, e anche di molte delle prime opere di Lynch, Eraserhead su tutte. Chi ha provato a vendervi Mulholland Drive dicendo “è bellissimo perché è tutto un grande puzzle” non ha fatto un buon servizio al film.

C’è da dire che lo stesso Lynch ha fatto molto per alimentare la fama di Mulholland Drive. Che nasce come serie TV, o meglio come pilot da novanta minuti di una serie TV che Lynch provò a vendere ad ABC; secondo Sherilyn Fenn l’idea risale addirittura ai tempi di Twin Peaks, e all’inizio Mulholland Drive sarebbe dovuta essere una serie spin-off dedicata ad Audrey Horne. Lynch cambiò lievemente direzione e la trasformò nella più generica storia di un’aspirante attrice che arriva a Hollywood per farsi una carriera, e della mora misteriosa che incrocia il suo cammino; come lui stesso racconta, la prima versione del pilot, e il suo pitch agli executive di ABC, lasciava aperte molte questioni, al punto che quando la rete gli chiese “OK, ma la storia come prosegue?” lui rispose “comprate il mio pilot, producetemi la serie e ve lo dico”.

 

NBaomi

 

A fronte di un rifiuto secco dell’emittente (sempre secondo Lynch, la persona che bocciò il pilot lo vide alle sei del mattino, in piedi e con una tazza di caffè in mano), Lynch rimontò il prodotto, ci aggiunse quasi un’ora di girato e lo trasformò in un film, che descrisse come “una storia d’amore nella città dei sogni”. E quando venne il momento di presentarlo si divertì un sacco a godersi la confusione del pubblico, al punto che in occasione dell’uscita in home video fece allegare al disco anche un cartoncino intitolato “David Lynch’s 10 Clues to Unlocking This Thriller”, che potete trovare elencate un po’ ovunque tra cui questo sito dedicato al film e alla sua interpretazione. E queste regole illustrano alla perfezione il motivo per cui Mulholland Drive sembra un film molto più complesso di quello che è.

“Notate la vestaglia, il posacenere, la tazza di caffè”. “Camilla è stata aiutata solo dal suo talento?”. “Fate caso a quando compaiono le lampade rosse”. I suggerimenti di Lynch sono contemporaneamente abbastanza vaghi da poter significare qualsiasi cosa, e abbastanza precisi da spingere chi li segue a concentrarsi su certi dettagli, con il rischio in questo modo di perdere di vista il quadro generale. Lo diciamo nella convinzione che Lynch sarebbe d’accordo con noi: guardare Mulholland Drive con la lista della spesa sotto gli occhi significa rovinarsi almeno in parte l’esperienza, e farsi guidare dai suggerimenti (che conoscendo il tipo potrebbero anche essere fatti apposta per sviare) del suo autore invece di approcciare la visione con il proprio ritmo.

 

Coppia

 

Non stiamo dicendo che la lista di Lynch non abbia valore, anzi! È arrivato il momento in cui lo diciamo esplicitamente senza paura di SPOILER per un film di vent’anni fa: Mulholland Drive è un film diviso in due, e la prima parte è un sogno (a meno che non vogliate parlare più genericamente di “realtà parallele”, ma ci sono forti indizi che puntano nella direzione onirica e non in quella del multiverso) nel quale ogni elemento, o comunque quelli più importanti, è un’allegoria, e ha un corrispettivo nel c.d. “mondo reale” – quello dove il personaggio di Naomi Watts non è un’ingenua attrice appena sbarcata a Hollywood ma una disoccupata il cui sogno si è infranto e che si è innamorata della persona sbagliata. Una volta compreso questo passaggio, che è indicato molto chiaramente ed esplicitamente da Lynch in particolare nella scena la Club Silencio, tutto il resto del film e la sua interpretazione si srotolano automaticamente davanti ai nostri occhi.

Nelle loro linee generali, ovviamente: se volete ricostruire con esattezza la cronologia degli eventi in un film che fa della narrazione non lineare uno dei suoi punti di forza, fare attenzione alle vestaglie è ancora fondamentale, e per chi vuole andare così a fondo nell’analisi gli indizi di Lynch sono irrinunciabili. Quello che stiamo dicendo è che anche senza l’aiutino, anche senza necessariamente saper indicare tutti i legami tra i due mondi e il significato di ogni simbolo e allegoria che compare nei primi due atti, Mulholland Drive resta un gigantesco e godibilissimo pezzo d’arte, girato da un regista che ha passato la sua intera carriera in stato di grazia, interpretato da una delle più grandi attrici in circolazione (Naomi Watts, che non significa che il resto del cast non sia all’altezza, solo che il film è, in ultima analisi, tutto suo) e che contiene alcuni dei momenti di puro cinema migliori del nuovo millennio (per esempio questa sequenza e tutto quello che segue e che è stato tagliato dalla clip). Risolvete l’enigma, andate a caccia di indizi, avanzate teorie astruse, se volete; ma non dimenticatevi di godervi il film, perché è uno dei migliori di sempre – e non solo di Lynch.

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