Con il diffondersi nelle grandi città della (buona) abitudine di proiettare e fruire i film in lingua originale sta cambiando anche il nostro rapporto con i dialoghi nei film. Sicuramente si sta formando una consapevolezza maggiore, avendo modo di paragonare i “nostri” suoni con quelli di altre industrie audiovisive. Abbiamo scoperto che non sono solo i drammi italiani ad avere scambi di battute quasi incomprensibili. In film come Tenet o Il Cavaliere Oscuro  – il ritorno potrebbe capitare di non cogliere proprio tutto ciò che si dicono i personaggi in scena mentre si mangiano le parole coperti da pesanti maschere o da rumorose esplosioni. È colpa di Christopher Nolan? Sì, perché la sua è una precisa scelta stilistica come vi abbiamo già raccontato in passato.

Non è l’unico.

Tenet Christopher Nolan iPad Warner

 

Iñarritu faceva una cosa simile con Biutiful, con dialoghi sporchi che accrescevano il senso di incomprensione e depressione.

Non vale lo stesso discorso per film come Favolacce, ad esempio, dove la parlata stretta degli attori e un missaggio audio non ottimale per la visione in home video hanno affaticato alcuni spettatori. Ascoltare bene un film non comporta solo comprendere i dialoghi. Film rumorosi come Dune richiedono impianti ben calibrati (sia a livello sala che in post) per avere un suono avvolgente, che faccia tremare le sedie, senza però essere fastidioso alle orecchie e far prevalere una traccia del mix sopra tutte le altre. 

Slash Film ha dedicato un’ampia riflessione sul tema. Nota infatti che nelle produzioni hollywoodiane i dialoghi stanno diventando sempre più difficili da capire. Cerca quindi le cause proponendo alcune ipotesi, nate dalla diretta testimonianza di alcuni tecnici del suono. Il problema è infatti ben noto, ma c’è un generale timore tra i professionisti nell’esprimersi a riguardo perché evidenziare le lacune significa porre l’accento sulla posizione poco considerata di chi si occupa dell’aspetto sonoro. 

Ci sono infatti cause che avvengono “oltre” la cinepresa: scelte deliberate del regista o degli attori. Si è persa infatti l’arte “declamatoria” teatrale, che doveva raggiungere con chiarezza ogni orecchio. Ora la tendenza è di avvicinarsi al realismo includendo respiri affannosi, parole pronunciate di fretta (con urgenza) e così via. Poco si può (e si deve) fare in questo caso sia in fase di registrazione che di missaggio.

Si può cadere anche nel bias della famigliarità. Provando e riprovando gli stessi dialoghi, tutti coloro che collaborano alle riprese conoscono bene ciò che si dice. È normale quindi ascoltare una battuta poco chiara e non percepirla come tale. Il cervello “copre” con la conoscenza pregressa la distanza, e non fa percepire il problema.

Non tutti concordano però con questa ipotesi.

È infatti parte integrante del mestiere, e non accessoria, avere un orecchio “nuovo” ad ogni ascolto.

 

Mad Max George Miller

 

Il resto dei problemi può avvenire invece “dietro” la cinepresa. Craig Mann, vincitore dell’Oscar per Whiplash e Mark Mangini, sound designer di Mad Max: Fury Road, danno la colpa a come viene trattato il comparto audio sul set. Dice Mangini:

I nostri colleghi nelle produzioni non ricevono il rispetto di cui hanno bisogno per mettere il microfono dove deve stare e catturare il suono chiaramente. Questo accade perché i film negli ultimi 15 anni sono cambiati per essere sempre più attraenti visivamente. Perciò è sempre più raro che venga permesso di mettere il microfono ad asta dove è l’attore. Probabilmente farà ombra perché di fronte a una luce che il team della cinepresa insite debba esistere per avere l’inquadratura perfetta.

Oltre alla precedenza alle immagini gli operatori si devono scontrare anche con i tempi ristretti. Per catturare i dialoghi serve tempo e la possibilità di provare più volte, spesso invece si corre così rapidi che non c’è possibilità per il già snobbato tecnico del suono di chiedere un’altro ciak.

Sorprendentemente tra i fattori che hanno peggiorato la qualità dei dialoghi nei film c’è anche l’avanzare della tecnologia. Questa ha sì semplificato il lavoro, ma ha anche rilanciato le ambizioni del sound design. Quando si girava in pellicola modificare e bilanciare i suoni era molto più costoso. L’obiettivo era per prima cosa riuscire a portare a casa un audio chiaro e a creare un paesaggio sonoro essenziale. Oggi il campo di gioco si è allargato. Copre un sempre più vasto numero di tracce a disposizione. Si sperimenta di più, si gioca con gli effetti sonori e la musica. Questo comporta un lavoro (e un’attenzione) maggiore affinché le possibilità date dalla tecnologia non escano dai binari dell’intelligibilità dei dialoghi. 

Craig Mann sottolinea un altro problema: la differenza tra come suona un film ascoltato in una sala per il mix rispetto al cinema. Negli anni ’90, dice, accadeva spesso che i film esagerassero con il “rumore”, bilanciando gli audio a livelli spacca orecchie. Se il pubblico si lamentava gli esercenti abbassavano il volume per quello specifico film, dimenticandosi poi di riportarlo a livello standard con il successivo.

Mann ha rivelato che accade ancora così:

Ad esempio la catena Landmark Theater non proietta i film a un livello sopra il 5.5 nel processore del cinema, quando lo standard dovrebbe essere 7.

SlashFilm sottolinea però che casi come questo sono isolati e non la prassi (AMC, la più grande catena USA, pare essere inattaccabile da questo punto di vista). Può succedere però di cadere in un altro errore: non ricalibrare con regolarità l’impianto audio. Le difficoltà in fase di proiezione non nascono per la cattiva fede delle catene, ma per un declino della figura del proiezionista. Ai tempi della pellicola occorreva formare dei professionisti che potessero far girare il film correttamente, preservare il supporto fisico e farlo vedere al meglio. Con l’avvento dei DCP fare iniziare lo spettacolo è diventato sinonimo di premere play su uno schermo. Non è così, di fatto, dato che ogni film richiede ancora un occhio esperto per essere mostrato come è stato pensato.

Vive quindi meglio chi guarda a casa? Non proprio. La copia del film che viene trasmessa in streaming ha generalmente un sound mix fatto apposta per il digitale. La necessaria compressione del flusso dati può avere conseguenze impreviste sulla resa dei dialoghi. I file compressi hanno ancora oggi una qualità più bassa rispetto ai Blu-Ray (e ovviamente ai 4K UHD). Ci sono eccezioni, con piattaforme che chiedono però una buona connessione e di pagare cifre aggiuntive (diffuse soprattutto nel mercato USA), che non tutti gli utenti sono disposti a sborsare. Per ottimizzare poi il proprio impianto casalingo bisogna possedere un minimo di conoscenze tecniche. Capita quindi che i film passino su riproduttori audio poco performanti o mal calibrati. 

Non ci sono grandi soluzioni all’orizzonte. Tutto dipenderà però da una sempre maggiore sensibilità rispetto all’alta fedeltà dell’audio. I grandi cambiamenti dovranno attraversare tutta la filiera produttiva, riportando al centro il sound design e gli artisti che se ne occupano. Non più come ultima parte del processo di creazione di un film, ma instaurando conversazioni con i registi per rispettare al meglio la loro visione. A dover combattere per avere una maggior cura nella resa dei suoni e dei dialoghi sia in fase di mix che durante la proiezione nelle sale sono proprio questi ultimi.

Sono loro che hanno la voce più autorevole e più ascoltata dai produttori. 

Fonte: Slash Film

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