Free Guy è generalmente una bella sorpresa. Un film originale, che riesce a esplorare con competenza la variegata cultura videoludica. Perfetto per la sua uscita estiva, ha rappresentato un buon esempio di leggerezza applicata alle idee e a una discreta maestria nella messa in scena. Shawn Levy ha preparato un mix perfettamente commerciale: commedia, sommato a Ryan Reynolds, shakerato con un po’ di The Truman Show, ma insaporito da quella disillusione contemporanea tanto amata dal pubblico più giovane. 

Disillusione, ovvero perdita dell’illusione, quindi consapevolezza (e cinismo). Free Guy percorre una strada nei due sensi, in una maniera così autosabotante da non capire se sia fatto di proposito o per ingenuità. Passa tutta la sua prima parte a costruire le regole che guideranno il godimento della storia. Guy vive a Free City: un videogioco open world di cui è un NPC, Non-Player Character. Una comparsa sullo sfondo, se volessimo usare un linguaggio cinematografico (cosa che il film stesso fa). La routine quotidiana è sempre uguale, ma non banale: si sveglia, va al lavoro in banca, subisce una rapina, viene malmenato, e così via in un loop continuo. 

Guy ricorda Emmet Mattonowski, protagonista doppiato da Chris Pratt in The LEGO Movie. Chi da sempre vive in un destino rigido e inviolabile non si chiede se ci sia qualcosa fuori dalla sua zona di comfort. Occorre un perturbante, un elemento che sconvolga la quotidianità. Nel caso di Free Guy è Molotov Girl, una giocatrice che gli passa accanto canticchiando una canzone che stimola i ricettori virtuali di Guy e lo risveglia dal torpore. 

Si riesce anche ad affezionarsi ai due. Tutti gli altri che ruotano attorno alla coppia nel gioco sono simpatici figuranti, ma fanno il loro. Scegliere di ambientare le vicende in un videogioco ha aperto agli sceneggiatori Matt Lieberman e Zak Penn infinite possibilità. Impossibile sbagliare l’azione. Ogni elemento può servire un colpo di scena originale. Gli edifici si modellano e si scompongono, come già visto in Inception e in Doctor Strange dopo di lui. Non importa, basta un kit di pronto soccorso trovato per strada o un power up e si ritorna a esplorare nuove soluzioni. Quello della scoperta equivale al principale piacere che pervade il film, oltre alla leggerezza della commedia.

Free Guy

Ed è giusto che sia così, che Free Guy sfrutti fino all’ultima goccia l’idea di essere all’interno di un videogioco. Peccato che, dalla metà in poi, smetta di farlo. Anzi, sembra quasi che se ne vergogni. Da quel punto Shawn Levy perde completamente il controllo del film che si trasforma in… uno spot di Ryan Reynolds.

Vi abbiamo ampiamente parlato di Maximum Effort, l’agenzia di comunicazione fondata dall’attore, e di come egli abbia rilanciato la sua carriera costruendosi un personaggio narrativamente anarchico. Reynolds sfonda le quarte pareti, guarda in camera, ammicca, parla lo stesso linguaggio di chi sta masticando i popcorn in sala. Rompe l’illusione, chiama fuori dal film. Nessuno è bravo come Reynolds a far vedere lo schermo, a far sentire il peso delle poltrone e la presenza del vicino di posto. Ci aveva provato Steven Spielberg con Ready Player One, ma in quel caso l’accumulo si tramutava solo in un annullamento dei poli: un groviglio emotivo, nostalgico e al contempo sperimentale e futuristico che si anestetizzava da solo.

Free Guy invece no. Free Guy fa peggio: tradisce se stesso, si imprigiona nel limite. E lo fa con una scena di per sé anche notevole. Quella che ricordiamo tutti. Quella che sarà l’unica che ricorderemo tra qualche anno.

 

 

Guy è alla resa dei conti, si trova ad affrontare Dude, una versione graficamente simile a lui – e quindi a Reynolds – solo infinitamente più grosso. La star del film si duplica, satura lo schermo della sua immagine. Dialoga, fa le battute e si risponde, si prende a pugni. È un segmento staccato rispetto al resto del film e francamente rinunciabile. Non aggiunge nulla alla trama, allunga solo il brodo pretendendo di creare finta tensione. O forse no: nessuna pretesa di coinvolgimento. Quello che importa è mettere in mostra le proprietà intellettuali di cui si possiedono i diritti.

Potrebbe benissimo essere uno spot presentato nell’intervallo del Super Bowl. Non è infatti tanto differente dalle operazioni marketing adottate per promuovere il film stesso, come il “Deadpool and Korg react” al trailer del film. 

Pochi secondi prima di essere sopraffatto da Dude, Guy indossa gli occhiali e usa gli oggetti a disposizione dei giocatori. Eccolo che estrae lo scudo di Captain America mentre in colonna sonora parte trionfale il tema degli Avengers di Alan Silvestri. “Ah già che è un film Disney”, si pensa quando il braccio gli si colora di verde Hulk. Una volta capito il gioco ci si può anche divertire nel vedere estratta la spada laser (tutti intorno ripetono svariate volte “ma è una spada laser?”). Si citano in pochi secondi Fornite, Portal, Game of Thrones (con un tentativo di spaccare la cassa toracica invece del cranio) e chi più ne ha più ne metta…

L’ambizione di una Free life, quindi nella metafora del film la totale libertà creativa, si contraddice proprio in questo momento. Vedere oggetti di altri franchise non dà la sensazione di un testo infinito di proprietà a cui attingere. Al contrario, fa vedere tutti i limiti: chi è fuori dalla campagna acquisti della casa, sarà fuori anche dal film.

Quando guardando un’opera di intrattenimento ci si immagina gli avvocati seduti ai tavoli a contrattare cachet è sempre un problema.

La citazione, presa come clip di YouTube, è anche efficace. Sicuramente strappa un sorriso. Ma all’interno degli equilibri drammatici è sbagliatissima. Shawn Levy ha detto che con l’acquisizione della Fox da parte della Disney, con il film che era già in fase abbastanza avanzata di sviluppo, hanno potuto inserire più easter egg. Si vede. Si percepisce che quel momento è un qualcosa di molto memorabile, ma posticcio, aggiunto in un secondo momento.

Alla fine di Free Guy quello che resta nelle discussioni degli appassionati non è la freschezza dell’idea, la simpatia dei personaggi o le situazioni comiche che si vengono a creare. Quello che si ricorda alla fine è il momento in cui ci siamo resi conto di star vedendo un film. Con gli oggetti\simbolo (e quindi marchi loro malgrado) di altri franchise in bella vista per promuovere la potenza Disney. Non è l’unica casa a fare questo. L’operazione Space Jam: New Legends non è molto diversa, anzi!

Il momento dello scudo di Captain America voleva essere un occhiolino ai fan, è stato invece il momento in cui Free Guy ha smesso di camminare sulle sue gambe. Ha ammesso, senza volerlo, di non essere riuscito a imporre la propria identità, e quindi la propria libertà dai condizionamenti del mercato. Free Guy sembrava un film che poteva guidare tanti altri prodotti simili. Con una scena ha dimostrato di essere solo un fanalino di coda. Molto divertente e appassionato. Ma pur sempre succube delle proprietà che fanno più soldi. Alla ricerca del loro aiuto per stare in piedi.

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