Non conoscevamo granché Mahmud Asrar, se non dai suoi notevolissimi disegni, chiaramente. Abbiamo incontrato l’artista austriaco, di padre pakistano, a Lucca Comics & Games 2017 e abbiamo scoperto un personaggio interessantissimo, con le idee molto chiare sul mondo della Nona Arte, sulla propria carriera e sull’importanza del Fumetto italiano.

Ringraziamo lo staff Panini Comics, per la consueta gentilezza, e l’amico Davide Formenti per il corredo fotografico.

 

Ho visto sulla tua pagina di Wikipedia che in un’occasione hai avuto modo di disegnare Dylan Dog, in gioventù. Non ne sapevo nulla, quindi immagino che ci sia una storia da raccontare, dietro.

Be’, dire che ho disegnato Dylan Dog è un po’ esagerato. I fumetti Bonelli sono pubblicati anche in Turchia, e io conosco gli editori che se ne occupano. Per un certo periodo, c’è stata questa iniziativa che vedeva disegnatori turchi realizzare delle illustrazioni sul personaggio e io sono stato coinvolto. Ho realizzato una copertina degli interni. Quindi sì, era una cosa piccola, ma ho in effetti realizzato una immagine semi-ufficiale di Dylan.

Alla luce di questo, quanto conosci e quanto ti interessa il Fumetto italiano?

Parecchio, direi, dato che sono cresciuto appunto in Turchia e ho vissuto gran parte della vita lì e il fumetto del vostro Paese è molto popolare laggiù, specialmente i prodotti di ambientazione western. “Zagor”, “Tex”, “Ken Parker”, ma anche “Mister No” e “Martin Mystère”. Li apprezzavo già da bambino, prima ancora di saper leggere e scrivere, anche se ovviamente ero affascinato solo dai disegni. In particolare, infatti, mi piaceva “Ken Parker”, perché adoravo Ivo Milazzo, che ritengo un maestro e un’ispirazione davvero enorme per me. Poi ho iniziato a seguire “Dylan Dog” e anche “Julia”, che ho conosciuto da poco e che mi piace davvero un sacco.

Conosci qualche altro autore italiano, a parte quelli della Bonelli?

Non molti. Ho poi scoperto grandi nomi come Serpieri o Manara, ma solo in un secondo momento, perché arrivano poche graphic novel in Turchia. Escono soprattutto fumetti mensili.

Interessante che citi Milo Manara, anticipando una domanda che avevo in mente. Sei piuttosto rinomato per le tue figure femminili, decisamente affascinanti e che personalmente trovo molto belle perché non hai grandi problemi a realizzare delle donne sexy e attraenti, ma lo fai in maniera molto diversa rispetto allo stereotipo estetico di qualche decennio fa. Nell’attuale temperie riguardo la figura della donna nei fumetti – che possiamo riassumere come “Frank Cho contro il mondo” – tu come ti collochi? Ha ancora cittadinanza, nel Fumetto di oggi, la donna sexy? 

Uncanny Inhumans #2, variant cover Mahmud Asrar

Innanzitutto, trovo che disegnare donne sia una cosa molto complessa. Per me, come artista, è sempre difficile. Ma è anche la cosa che mi piace fare di più, quindi non mi tiro mai indietro, quando ne ho l’occasione.

Ci sono un po’ di cose da dire, al riguardo. Molto dipende dal tipo di editore per cui lavori e dal tipo di storia che hai sotto mano. Si hanno delle responsabilità, quando si lavora per un editore, soprattutto quando si realizzano storie con personaggi che già esistono e un pubblico ben noto. Non si può mai prescindere dal tipo di persone a cui il tuo lavoro capita in mano, e io cerco sempre di tenere a mente questa cosa, quando lavoro. D’altra parte ho grande rispetto anche per la mia arte e sono convinto che nessuno, quando crea, dovrebbe sentirsi sotto pressione per le aspettative altrui, dovrebbe essere libero di dar sfogo alla propria creatività.

Quindi, per me la questione si riduce a questo: se stai prestando la tua fatica a qualcuno che ti precede, devi seguire una certa via, ma se stai disegnando per il piacere di farlo, di creare un’opera d’arte, allora devi essere completamente libero. Anche nel definire i tuoi confini quando disegni una donna. Nessuno dovrebbe mai dire a un artista come dovrebbe o non dovrebbe disegnare un uomo o una donna. Il resto è questione di equilibrio personale. Ovviamente si tratta di un argomento delicato per molti, per la sensibilità di tanti e ci vuole molto rispetto.

Mi hai detto di quanta Italia c’è nella tua formazione fumettistica, ma quanta Europa ci troviamo? Perché credo tu abbia uno stile perfetto per i comics, ma mi sembra evidente, nel tuo tratto, un’influenza anche da parte del Vecchio Continente in generale.

Assolutamente. Io sono di madre austriaca e di padre pakistano. Grazie a mia madre, ho avuto modo di entrare a contatto con ogni genere di fumetto europeo. “Asterix”, “Lucky Luke”, “Tin Tin”, un sacco di roba franco-belga, i fumetti italiani che ti citavo prima, tanti comics americani… Tutti generi e stili che apprezzavo allo stesso modo, senza troppe preferenze. Non ho avuto modo di leggere molti manga, in gioventù, ma li ho riscoperti dopo.

E con piacere, credo, dato che mi sembra di vedere in te anche un po’ di influenze nipponiche. 

Eccome. Credo che siano pazzeschi, i mangaka, e avrei voluto farne la conoscenza molto prima, nella mia vita. Ma del resto sono convinto che ci siano i grandi maestri ovunque. Il segreto è capire cosa veramente ti attrae e lo troverai in ogni tradizione fumettistica.

Domanda a bruciapelo, visto che ci hai lavorato assieme e che è qui a pochi metri da noi. Com’è Jason Latour come sceneggiatore?

Lavorare con lui è stata una delle migliori esperienze della mia carriera e, assieme, una delle peggiori.

Ricordiamo che anche lui, come te, è disegnatore, non solo sceneggiatore. 

UNCINH2015002-COV-ASRAR-6659bGià. E un disegnatore pazzesco. C’erano delle ragioni per cui “Wolverine and the X-Men”, la serie a cui lavoravamo all’epoca, era destinata a non avere grande successo, dato che la realizzavamo nel periodo in cui tutti o quasi sapevano che Logan era destinato a morire a breve. Tuttavia, la cosa bellissima è che avevamo, forse proprio per quella strana condizione, la possibilità di fare un sacco di cose strane e sperimentali con la storia e i disegni.

Il fatto che anche Jason sia un artista, certamente ha aiutato molto in questo senso. Si tratta di un’esperienza che mi ha arricchito un sacco, molto sfidante e che mi ha costretto a pensare e ragionare in maniera molto diversa dal solito. Ho dovuto dimenticare un sacco di cose che pensavo di sapere sul fumetto e reimpararle. Non credo affatto che sia la mia prova di disegnatore migliore, neanche lontanamente, ma è stata una scuola fondamentale per me.

Jason è uno di quegli artisti che, quando diventano sceneggiatori, sono terribilmente specifici con il collega che si occupa delle matite, perché hanno una visione precisissima di quel che scrivono? Oppure, consapevole del valore della libertà creativa del disegnatore, gli lascia spazio per inventare?

Un po’ entrambe le cose. Nello scrivere la storia aveva una visione molto precisa e le sue sceneggiature erano molto informative riguardo a quel che voleva che ci fosse nelle pagine. Ma non è mai stato troppo asfissiante, con me. Mi dava un sacco di input, ma per il resto ero libero di realizzare le sue indicazioni come volevo. Mi arrivavano un sacco di feedback e parlavamo molto del lavoro. Siamo diventati grandi amici. A volte succede che il tuo sceneggiatore non comunichi per niente e ti lasci un po’ in balia della sceneggiatura. Non con lui.

Quindi esiste qualcosa di simile, nel mondo del Fumetto americano, a troppa libertà per un disegnatore?

Sì, direi che è possibile. Non dà fastidio a me, personalmente, nel senso che essere libero da legami non mi infastidisce, però è vero che preferisco un po’ più di definizione e precisione per ragioni pratiche. Devi lavorare molto di più, e questo crea delle difficoltà con le scadenze. Soprattutto adesso, che ne ho un sacco e che ci sono scalette di lavoro più strette che mai. Quindi a volte mi piace lavorare con il cosiddetto metodo Marvel, ma non sempre. In uno scrittore mi piace quindi che definisca la pagina, direi, ma senza limitarti.

Hai lavorato anche con Brian Michael Bendis e non posso esimermi dal farti una domanda: credo che per alcuni, soprattutto per un giovane artista, possa essere difficile lavorare con uno come lui. Ha una mentalità molto aperta ma può essere spaventoso un nome come il suo. A te com’è andata?

Guarda, credo che all’epoca, quando ho collaborato con lui, le storie mainstream che preferivo in assoluto fossero proprio le sue. Quindi, in pratica, mi sono visto offrire un incarico su una delle mie serie preferite, “All-New X-Men”. Certo, all’inizio ho sentito il peso del progetto e di avere un collega così importante. La pressione c’era, ma Brian ha reso il mio lavoro molto semplice: mi chiese, prima di iniziare, come avevo intenzione di lavorare e abbiamo deciso assieme il percorso da seguire.

Ultimamente, tra l’altro, sta lavorando con un sacco di giovani, tra cui anche molti italiani. Pare che sia parecchio impegnato a cercare e scovare nuovi talenti. Quando è successo con te, ti sei sentito un po’ scoperto da lui o almeno solidificato nella tua fama di disegnatore al di là dell’oceano?

Credo che si possa dire così, perché ovviamente all’epoca quella era l’esperienza più importante della mia carriera, e lui il nome più grosso che avessi mai incontrato. Ma se devo indicarti chi davvero mi ha scoperto, è Jay Faerber, editor della Dynamite. Quell’uomo ha un’occhio davvero pazzesco e una passione per i nuovi talenti. Ha scoperto un sacco di gente che poi è diventata una stella. Ha un cuore d’oro ed è un grande amico. Però sì, lavorare con Brian è stato fondamentale per il modo in cui tanti, lettori e colleghi, mi hanno percepito nel mondo del Fumetto.

Sei un artista e sei un fan: hai una lista di personaggi su cui vorresti lavorare? E una di autori?

Ho avuto la fortuna di avere sotto le mani un sacco dei personaggi che amo. Thor, ad esempio, è un esempio perfetto. Ci ho lavorato con Jason Aaron ultimamente, quindi conta doppio. Perché Jason è uno degli autori che stanno sulla lista. Ho sempre amato gli X-Men e ci ho lavorato un sacco. In particolare Jean Grey ha un posto speciale nel mio cuore e l’ho potuta disegnare in entrambe le sue versioni: quella originale e quella più giovane. Ho lavorato un sacco alla Marvel e, se dovessi saltare dall’altra parte della barricata, come moltissimi vorrei disegnare Batman. È un personaggio apertissimo a interpretazioni e credo che potrei fare qualcosa di molto personale.

Ultima domanda: avendo tu vissuto gran parte della tua vita in Turchia, sei contento del modo in cui il Fumetto contemporaneo dipinge il Medio Oriente? So che è una domanda approssimativa, perché si tratta di un’area geograficamente vastissima e poco coerente, un po’ come se chiedessi a un Italiano se è felice di come viene ritratta l’Europa: che ne sa lui della Svezia o della Romania, in molti casi? Ma, a parte opere chiaramente di grande livello, non vedi un po’ di approssimazione e leggerezza?

La Potente Thor 19, copertina variant di Mahmud AsrarSì. O meglio, dipende. Sai cosa: le cose stanno peggiorando. Paradossalmente, se vedi un film degli anni Sessanta ambientato in Turchia, lì trovi molta più autenticità. Oggi, se un regista americano deve girare una scena in quello che è stato il mio Paese adottivo, va a caccia del luogo più orientale in assoluto, cerca di infilarci dentro le danzatrici del ventre. Nell’era di internet è pazzesco. E anche in tanti fumetti vedo questa leggerezza stereotipata. Mi è capitato di vedere fumetti americani che in Turchia mettono scene di gente sul cammello, con le piramidi sullo sfondo. Suvvia. C’è Google al giorno d’oggi per vedere come davvero viva la gente in un certo posto. Basta poco. Il problema esiste, ma non credo sia per malafede: le notizie sul Medio Oriente sono del tutto concentrate sulle questioni più estreme e tutto risulta come uniformato nel mondo dell’informazione di massa.

E invece c’è grande varietà tra un Paese e l’altro del Medio Oriente.

Esatto, così come in Turchia, fra una città e l’altra. Vivere a Istanbul e vivere ad Ankara significa condurre due esistenze molto diverse. E nelle zone turistiche è ancora diverso.

Oggigiorno, lo è anche per una situazione politica piuttosto complessa, purtroppo.

Già. Dieci anni fa, vivere in Turchia era molto, molto diverso. Io mi sono trasferito in Austria da tre anni, ma ti assicuro che la situazione, non molto tempo fa, era incredibilmente migliore. Sfortunatamente, il Paese è un una spirale discendente e, temo, destinato a cadere sempre più in basso. Ci sarebbe bisogno di un evento che faccia in qualche modo tabula rasa per ricominciare da capo. Vorrei che le cose fossero come quando ero ragazzino. Ho grande amore per la Turchia e spero che possa tornare quella di un tempo.

 

Lucca Comics & Games 2017: Claudio Scaccabarozzi con Mahmud Asrar