In occasione dell’ultima Lucca Comics & Games, Tunué ha presentato la nuova edizione di Rovine, la graphic novel di Peter Kuper vincitrice del premio Eisner 2016. Ospite presso lo stand della casa editrice romana, l’autore statunitense si è dimostrato disponibile a scambiare qualche battuta sui retroscena della sua opera, sui progetti futuri e sullo sviluppo della sua poetica.

Ringraziamo Stefano Panetta e lo staff di Tunué per la disponibilità.

 

Salve, Peter, e benvenuto su BadComics.it!
Parliamo della tua graphic novel “Rovine”: quale esperienza ti ha dato lo spunto per realizzare questo fumetto?

Rovine, copertina di Peter KuperHo vissuto in Messico per due anni, tra il 2006 e il 2008, sia per allontanarmi dall’amministrazione Bush sia per offrire la possibilità a mia figlia di imparare una seconda lingua. Ci eravamo stabiliti da poco quando è scoppiato uno sciopero degli insegnanti. A differenza di altre volte, però, la protesta si è prolungata tanto da richiedere l’intervento della polizia. Una situazione di poche settimane si è trasformata in una dimostrazione di sette mesi, durante i quali è anche stato ucciso un giornalista americano. A quel punto è diventato un evento internazionale e ne hanno parlato un po’ tutti i media. È stata una storia che mi ha colpito molto e che mi ha offerto lo spunto per scrivere “Rovine”.

Allo stesso tempo, abbiamo avuto la possibilità di visitare il santuario delle farfalle monarca. In questo luogo ogni anno giungono milioni di farfalle che si fermano dopo una migrazione di migliaia di chilometri. Posso dirti che è una delle esperienze naturali più intense che abbia mai vissuto. Dovevo assolutamente inserirla nella storia.

Il differente registro stilistico che troviamo in “Rovine” è dettato dalla tua evoluzione artistica oppure è determinato dalle particolari condizioni ambientali in cui hai vissuto?

L’esperienza che ho vissuto in Messico mi ha offerto la possibilità di prendermi una pausa dal mio stile abituale, ed è per questo che le ambientazioni e l’arte messicana sono entrati in “Rovine”. La gestazione è durata circa cinque anni, durante i quali ho pensato tanto al nuovo approccio che potevo dare al mio lavoro.

Quanto è stato difficile per te tornare alla vita normale e al tuo lavoro abituale, incentrato prevalentemente sulla satira politica?

È stato veramente difficile, perché l’esperienza vissuta in Messico ha radicalmente cambiato la concezione della mia arte, cosa che mi ha portato ad abbandonare un tipo di narrazione simbolica a vantaggio di una più colorata e variopinta. Quello che voglio fare oggi è raccontare storie che parlino di vita, di persone, di Storia. Per fare questo devo lasciarmi alle spalle un tipo di approccio per abbracciarne uno nuovo e completamente diverso. È stato un cambiamento rischioso, un salto nel vuoto.

Prima di trasferirmi in Messico ero solito lavorare con stencil e scrapping, e mi sono reso conto che non è più quella la mia direzione artistica. Per qualche tempo, ho avuto come l’impressione di essermi perso, salvo poi ritrovare il mio percorso.

Ci sono stati incontri particolari che hanno contribuito a cambiare il tuo modo di concepire la vita e l’arte?

Credo che più di ogni altra cosa sia stato l’ambiente a esercitare una grossa influenza su di me, ma anche l’arte con cui sono entrato in contatto, in particolare i graffiti. Ma la qualità della vita e la storia antica di cui è intrisa la cultura messicana sono state sicuramente delle fonti di ispirazione fortissime per me.

Quando cammini in mezzo alle rovine di una popolazione antica – osservando i segni di imperi passati e le immagini della loro storia – e poi torni a New York, il contrasto con la vita moderna diventa fortissimo. Questo è sicuramente uno dei principali aspetti che mi hanno influenzato e che ho voluto catturare in “Rovine”.

Hai sempre lavorato in ambienti fumettistici underground, mentre con “Rovine” sembri aver intrapreso un percorso più aperto al pubblico generalista. Potrebbe essere questo il tuo prossimo target di lettori?

Non credo che “Rovine” possa essere considerato mainstream, e questo vale per tutta la mia produzione. Se consideriamo con questo termine fumetti fantasy o di supereroi, non è un tipo di percorso che mi interessa portare avanti in futuro. Preferisco concentrarmi su storie che possano raggiungere quante più persone possibile.

Posso utilizzare l’arma della satira, più forte ed estrema, per parlare di Donald Trump o posso prendere spunto dalla migrazione della farfalla monarca per raccontare un altro tipo di storia. Quello che mi preme è poter parlare di quello che sta succedendo nel mondo. Il mondo sta cambiando, e mi annoia continuare a realizzare un solo tipo di racconto, quindi mi sono messo alla ricerca di un nuovo modo di esprimere e comunicare me stesso.

Cosa ha rappresentato per te l’esperienza sulle pagine di “Mad Magazine”?

È stata un’esperienza fantastica. Sono cresciuto leggendo “Mad Magazine”, ha avuto un grandissima influenza su ciò che realizzo come artista. Una delle gioie più belle e inattese della mia vita è stata diventare prima collaboratore e poi amico di alcuni dei fumettisti che seguivo da ragazzo. Inoltre, disegnare “Spy vs. Spy” su una rivista che potrei definire mainstream mi ha dato la possibilità di raggiungere un maggior numero di persone, che altrimenti non sarebbero mai entrate in contatto con me.

Gli ultimi anni sono stati importanti, ti hanno dato la possibilità di cominciare nuovi percorsi artistici: hai idea di dove tutto questo ti stia conducendo o stai navigando a vista?

Posso dirti che ci sono diverse direzioni che coesistono allo stesso tempo. Ho da poco concluso un libro su Franz Kafka, una serie di storie brevi alle quali lavoravo da diversi anni. Inoltre, adatterò “Cuore di Tenebra”, di Joseph Conrad.

Sto anche realizzando delle vignette per il “New Yorker”, ben cinque a settimana. È un percorso molto difficile, considerando che devo sempre restare aggiornato con le notizie, ma mi stimola parecchio perché il loro magazine online è molto politico. Ad esempio, se devo parlare di Trump, mi concentro sulle notizie serali per preparare quello che andrà online il giorno dopo. Questa è sicuramente una nuova direzione per me: una storia contenuta in un’unica pagina.

Inoltre, sono molto interessato a realizzare fumetti sulle mie esperienze di viaggio.

L’amministrazione Trump non vi fa certo dormire sonni tranquilli, ma agli artisti satirici offre sempre nuovi spunti.

Non è un buon periodo da qualsiasi lato lo guardi, in realtà. Dal punto di vista artistico posso però dire che l’essere arrabbiato ogni giorno mi offre una buona base da cui partire per il mio lavoro. Sono scioccato da tutto quello che sta succedendo e provo a trasmetterlo attraverso la mia rabbia. È quasi una catarsi, per me, riuscire ad alleggerire la rabbia attraverso il disegno.

È anche un modo per creare un legame con la gente che la pensa come me, che è arrabbiata come me e alla quale posso dire: “Anche tu vedi quello che sta succedendo, forse insieme riusciremo a fare qualcosa per fermare questo pazzo”.

Questo evidenzia la forte partecipazione del mondo del Fumetto nel quotidiano e mette in risalto la potenza sociale che questo medium può avere. Non solo intrattenimento ma anche attivismo.

Esatto. Sono molto interessato a questo aspetto del Fumetto. Credo che sia un grande strumento per comunicare alle persone in maniera semplice e nemmeno troppo costosa. Sono trentotto anni che pubblico una rivista come “World War 3 Illustrated” proprio per questo motivo: combattere la situazione politica che viviamo.

Il Fumetto può avere molti utilizzi, e credo che se più artisti si unissero magari non cambierebbero il mondo ma forse potrebbero offrire le proprie riflessioni su ciò che sta succedendo applicando la propria arte alla creazione di storie che risveglino la coscienza della gente.

 

 

Peter Kuper e Pasquale Gennarelli a Lucca Comics & Games 2017