Entertainment Weekly intervista Mark Millar e lo sceneggiatore risponde a domande su vari campi del suo sapere fumettistico. Dal suo presente e futuro in Netflix al suo illustre passato alla Marvel, ecco cos’ha avuto da dire lo sceneggiatore scozzese.

 

The Magic Order #1, copertina di Olivier Coipel

Prima di tutto, lasciatemi chiarire un punto su cui credo molti siano confusi, pensando che il Millarworld sia stato ceduto a Netflix per quanto riguarda i diritti. Abbiamo venduto la compagnia a Netflix, che ora la possiede al cento percento e ha assunto me e mia moglie come dirigenti senior. Siamo membri del loro staff a tutti gli effetti. Quel che faccio è creare film, serie TV e fumetti per loro. Non li scrivo pensando necessariamente prima al fumetto, ma semplicemente come storie interne al loro sistema. Adoro scrivere comics, quindi parte del mio accordo con loro comprende sia la formulazione di nuovo materiale che la gestione di quello vecchio.

Scriverò circa quattro graphic novel all’anno, in futuro, il che significa venti albi a fumetti. Il che è l’entità del mio impegno generico, già ora. Netflix non aveva in mente di diventare un editore di comics, ma mi hanno detto che, se ne avessi scritti per loro, avrei dovuto mettermi a caccia dei migliori artisti del mondo. Cosa che mi sembra perfetta. Il primo sarà The Magic Order e, a disegnarlo, c’è il migliore di tutti: Olivier Coipel.

Non sto esagerando: credo di non aver mai avuto a disposizione disegni migliori. Lavoro in questo campo da quando ho diciotto anni, e le sue sono le migliori matite che abbia mai visto. Incredibili. La settimana scorsa mi sono svegliato e, nella mia mai, c’erano sei pagine di Olivier Coipel e una copertina di Frank Quitely. Ero convinto di stare ancora sognando.

Il modo migliore per descrivere la serie è: I Soprano che incontrano Harry Potter. Da bambino, ho sempre cercato di razionalizzare il fatto che non esistano i mostri, con l’idea che ci siano persone al mondo che si occupano di farli sparire, ecco perché non se ne vedono in giro. L’idea di una famiglia di stregoni che da millenni fanno questo mestiere viene da lì. Vivono in mezzo a noi, come prestigiatori e illusionisti, durante il giorno, ma di notte si riuniscono per occuparsi di questi problemi.

 

Millar ha parlato con entusiasmo della reazione del pubblico all’uscita del primo numero della nuova serie di Kick-Ass. Fino a poco fa, non si era reso conto che questo era in effetti un reboot, dice, con tutti i rischi che comporta ricominciare da capo con un personaggio amato dal pubblico, operando cambiamenti profondi. Ma l’entusiasmo generale attorno al debutto è stata una notizia entusiasmante.

 

Kick-Ass #1, anteprima 05

Patience Lee è un personaggio del tutto diverso da David Lizewski, ed è impegnata in un viaggio molto differente. Mi sento con addosso la voglia di scrivere e leggere trenta nuovi albi dedicati a lei, non con quella di tornare a leggere la storia di Dave. E sono molto felice.

Trovo sia curioso che Kick-Ass sia uscito assieme al film Black Panther, perché nelle mie previsioni sarebbe dovuto arrivare in libreria un anno fa, ma abbiamo ritardato per definire gli accordi con Netflix. L’idea di un super eroe afroamericano di grande importanza ha preso piede in modo evidentissimo nella coscienza del pubblico e di questo sono molto contento.

Sono felice del successo di Black Panther, perché, se c’è una cosa che detesto, da lettore e da scrittore, è vedermi servita sempre la stessa cosa. Attualmente, non sono particolarmente interessato a scoprire qualcosa di nuovo su Iron Man, perché ho l’impressione che tutte le buone idee sul personaggio siano già state spese. Il fatto che spuntino e abbiano successo nuovi personaggi è sempre entusiasmante. So che è sempre un film Marvel, ma se non altro hanno dato una scossa all’ambiente. L’idea di un protagonista principale nero, dieci anni fa, non sarebbe mai passata alla Marvel con questi risultati. Stessa cosa con una super eroina. Assurdo che ci tocchi aspettare il 2019 per vedere un film Marvel con una donna come protagonista.

 

Millar ha quindi raccontato la correlazione tra il Marvel Cinematic Universe e l’Universo Ultimate, che ha contribuito a creare, alla Casa delle Idee.

 

Fu Zak Penn, mostrandomi la sceneggiatura di Avengers, a dirmi che si basavano su Ultimates. Mi diede un’ottima spiegazione: la storia forniva un’ottima ragione per mettere un dio asgardiano come Thor, un miliardario come Stark e un veterano della Seconda Guerra Mondiale come Cap attorno a un tavolo, assieme. Era una storyline molto semplice e lineare, ottima per il pubblico giovane e che sarebbe funzionata perfettamente anche al cinema. Kevin Feige è stato molto gentile a far riferimento a mie storie anche per altri film, come Civil War.

L’obiettivo di Ultimates era rendere i personaggi che raccontavamo nuovamente accessibili a lettori che non avevamo mai letto fumetti prima di allora. Non avevo mai pensato che sarebbe diventato un film, e nemmeno che io avrei avuto una carriera nel cinema. Poi, cosa strana, ho iniziato a venire invitato a riunioni del settore, a discutere con gli studios. E mi sono reso conto che era una figata.

 

Millar ha quindi parlato del suo rapporto con Brian Bendis, l’altra mente dietro il successo della linea Ultimate, del modo in cui riuscirono a imporre l’idea di un rilancio a una Marvel che, all’epoca, considerava morti e sepolti certi personaggi e non voleva investire su di essi.

Ultimate X-Men vide la luce con difficoltà, fu un successo e gli valse la credibilità necessaria a rilanciare gli Avengers con Ultimates. Non gli permisero di usare il loro nome storico, perché erano considerati privi di interesse per il pubblico. Il pensiero, oggi sembra davvero assurdo. Sono tra i personaggi in assoluto più amati dal pubblico di tutto il mondo, più di quindici anni dopo il loro rilancio a fumetti.

 

 

 

Fonte: Entertainment Weekly