X-Men #1, copertina di Jack Kirby

Le riflessioni su Stan Lee e la sua importanza per la cultura popolare sono già iniziate. Si è conclusa due giorni fa una carriera straordinaria, che sarebbe da considerare finita da tempo, se non fosse che Stan non si è mai realmente ritirato e ha continuato a promuovere la propria persona come un brand. Naturale che ora si apra il dibattito sul suo significato, sulla sua influenza e sulla sua natura stessa.

Uno dei filoni interpretativi più interessanti che serpeggiano sul web è noto agli appassionati e ai conoscitori del Fumetto e del Sorridente, meno a chi non è troppo addentro la sua opera. “The Man” ha cambiato il Fumetto di super eroi anche grazie ai temi che trattava nelle storie. Non era solo questione di sguardo e di atteggiamento, di super problemi e di attenzione verso le personalità al di là e prima della maschera. Lee era un convinto liberale di cuore, un uomo con forti convinzioni. Non è un caso il fatto che i giovani americani degli anni Sessanta, un decennio di ribellione e sentimenti di cambiamento, abbiano accolto con tanto entusiasmo alcuni dei suoi personaggi.

In questi giorni, molti stanno riscoprendo e mettendo in vetrina questo lato del co-creatore dell’Universo Marvel. Il suo fastidio nei confronti del bigottismo, del dogmatismo e della chiusura mentale, il suo impegno d’opinione nel condannare il razzismo e nel farlo apertamente, tanto nelle storie quanto negli editoriali, sono tornati sotto la lente di ingrandimento. Sta diventando virale sul web, questo testo di Stan Lee, affidato a una delle sue Stan’s Soapbox, gli editoriali in coda agli albi con cui si rivolgeva direttamente ai lettori.

 

Diciamolo. Diciamolo senza peli sulla lingua. Il bigottismo e il razzismo sono tra le peggiori piaghe sociali del mondo contemporaneo. Ma, a differenza di una squadra di super criminali in costume, non possono essere messi a posto con un pugno sul naso o un colpo di pistola a raggi. L’unico modo per sconfiggerli è smascherarli, rivelare quale insiodioso male rappresentino. Il bigotto è un uomo che odia, irragionevole, che odia ciecamente, con fanatismo, indiscriminatamente. Se il suo obiettivo sono i neri, odia tutti i neri. Se un ragazzo con i capelli rossi l’offende, ecco che li odia tutti. Se uno straniero ottiene il lavoro che voleva, ce l’ha con tutti gli stranieri. Odia persone che non ha mai visto né conosciuto, con eguale intensità, eguale veleno in corpo.

Non si vuole qui sostenere che sia irragionevole che a un essere umano stia sulle scatole un altro. Ma, sebbene ognuno abbia il diritto di non apprezzare un altro individuo, è totalmente irrazionale, banalmente folle condannare una razza intera, disprezzare una nazione intera, scagliarsi contro un’intera religione. Prima o poi, dovremo imparare a giudicare il prossimo secondo il merito. Prima o poi, se il genere umano dovrà essere meritevole del proprio destino, dovremo riempire i nostri cuori di tolleranza. Perché allora e solo allora saremo degni di essere creature ad immagine e somiglianza di Dio, un Dio che ci considera tutti suoi figli.

 

Questo estratto è stato pubblicato su Twitter dall’utente Siddhant Adlakha. Lo confermano e corroborano centinaia di storie che parlano, velatamente o apertamente, di rifiuto del diverso, di ingiustizia sociale affrontata dagli eroi, di inclusione necessaria delle minoranze. La metafora dei mutanti come gruppo sociale temuto e perseguitato in maniera irrazionale è solo la più famosa delle dimostrazioni dell’impegno ideologico di Stan Lee. La sua filosofia per i suoi personaggi, del resto, era quella che ancor oggi la Marvel persegue, almeno a parole: essere una finestra sul mondo reale.

 

Nessuno di noi vive nel vuoto. Nessuno è immune agli eventi che ci accadono attorno, che danno forma alle nostre storie e alle nostre vite. Molti lettori della Marvel ricordano a gran voce che i nostri fumetti dovrebbero essere solo una lettura di intrattenimento e niente di più. Ma io non riesco a vedere le cose in questo modo. Per me, una storia senza un messaggio, per quanto subliminale, è come un uomo senz’anima.

 

Non sfuggirà ai lettori più attenti che queste frasi di Stan Lee, di più di cinquanta anni fa, suonano di una modernità quasi inquietante, in un mondo in cui il razzismo alza la voce come non faceva da tempo e in cui si vengono a creare movimenti d’opinione online nel tentativo di vegliare sulla neutralità dei comics sui temi sociali, politici, di costume.

Qualora ci fossero dubbi sulla potenza visionaria di Stan, sulla sua capacità di precorrere i tempi, segnare il percorso e imprimere identità ai suoi personaggi, pare che questi piccoli estratti siano sufficienti a metterli in fuga.

 

 

Fonti: ComicBook.com | Comic Book Resources