Alla scorsa Rapalloonia e successivamente all’ultima Lucca Comics & Games abbiamo incontrato un artista italiano di fama internazionale, molto apprezzato e conosciuto soprattutto in Francia: Saverio Tenuta.

Ecco l’intervista scaturita dalla nostra chiacchierata con lui e lo splendido omaggio che ci ha regalato.

 

Ciao, Saverio e benvenuto su BadComics.it!
Cominciamo dagli esordi. Hai ottenuto un diploma in Pittura all’Accademia di Belle Arti di Roma, poi hai lavorato come grafico pubblicitario e incisore d’Arte. Quando ti sei appassionato di Fumetto e hai deciso di farne il tuo mestiere?

Grazie per l’accoglienza e un saluto a BadComics.it! In realtà, entrare a far parte del mondo del Fumetto è sempre stato il mio primo intento in assoluto, un sogno che avevo fin da piccolo. Lavorare come grafico pubblicitario o incisore sono state solo delle occupazioni momentanee per me, un approccio iniziale al campo artistico durante il quale ho sempre cercato di migliorarmi e affinarmi come fumettista per poi presentarmi seriamente a un editore.

Quando e con quale opera sei entrato finalmente da professionista nel campo del Fumetto?

Il mio primo lavoro come professionista fu “Cold Graze – Risvegli di ghiaccio”, su testi di Otto Gabos, uscito nel 1997 per l’editore Phoenix. In realtà avevo già realizzato alcune storie brevi per “L’Intrepido” e altre cosette, ma diciamo che il mio primo lavoro ufficiale è stato quello.

Veniamo alla parentesi americana e alla graphic novel “JLA: The Riddle of the Beast”, scritta da Alan Grant. 

Iniziamo col dire che le mie influenze giovanili sono state molteplici e, benché vivessi in Italia, sono legate ad autori stranieri: americani e inglesi – su tutti Richard Corben e Simon Bisley – e tanti francesi, quelli che definirei dei classici, come Moebius, Philippe Druillet, Caza, eccetera…

Quando ho cominciato, ho vissuto una sorte di conflitto interiore di tipo stilistico. Il primo istinto, anche per una questione di contatti, è stato quello di provare con il mercato americano, dove sono stato accolto positivamente. Le mie ragguardevoli contaminazioni d’oltralpe tuttavia, non mi hanno mai permesso di entrare completamente in sintonia con il mercato principale dei comics, quello mainstream, soprattutto dei supereroi. Ero in un certo senso un autore borderline, perché lavoravo solo per piccole case editrici americane.

“The Riddle of the Beast”, di Alan Grant, uscita nel 2001, è stata un’eccezione. Si tratta di un’opera realizzata da più disegnatori, un patchwork, dove a me sono toccate una dozzina di tavole, se non ricordo male, dedicate a Batman. Non era il personaggio tradizionale ma una versione un po’ fantasy del Cavaliere Oscuro. Alla fine, anche in quel caso, fu un soggetto particolare nonostante si trattasse di un’icona della DC Comics. Forse allora non sarei neppure stato capace di fare qualcosa di più fedele all’originale. Oggi, sarebbe diverso. Con l’esperienza acquisita mi proporrei agli americani in maniera più ponderata, vagliando i progetti più adatti per me.

Dopo l’America, il tuo percorso professionale si è spostato in Francia, dove è decollata la tua carriera con “La Légende des Nuées Écarlates”. 

Sì, ovvero “La leggenda delle nubi scarlatte”, come viene pubblicata in Italia da Magic Press, che risale al 2006. È il mio primo fumetto francese, edito da Les Homanoïdes Associés, di cui ho curato anche i testi. Ricevette subito un buon riscontro e da lì iniziò la mia fortuna e il mio legame con la Francia. Ma credo che tutto ciò non sarebbe stato possibile senza l’esperienza americana che mi aveva formato.

Dopo America e Francia, veniamo alle influenze giapponesi, perché “La leggenda delle nubi scarlatte” è ispirato dalla mitologia del Sol Levante. Come ti sei avvicinato e cosa ti affascina di più di questo mondo fantastico?

L’origine di “La leggenda delle nubi scarlatte” è italiana è ha a che fare con Roberto Recchioni. Ci siamo incontrati casualmente in un bar – ma ci conoscevamo già da tempo – e ed è nata l’idea di fare qualcosa per la Francia incentrato sui samurai. Io ero un po’ titubante perché non ero molto preparato sull’argomento, e nemmeno mi potevo considerare un conoscitore della cultura nipponica e dei manga. Un fumetto di cappa e spada ambientato nel Giappone medioevale, tuttavia, mi affascinava parecchio e abbiamo cominciato a collaborare. Durante lo sviluppo della storia abbiamo però cambiato il soggetto, e alla fine non ha avuto successo quando l’abbiamo presentato oltralpe.

In seguito, abbiamo preso strade diverse, ma in me è rimasta la voglia e l’ispirazione di dar vita al progetto iniziale. L’ho ripreso in mano e ho cominciato a buttarne giù i testi e a sviluppare idee mantenendo il nome del protagonista, ma cambiando molte delle premesse iniziali pensate con Roberto. Più scrivevo, più mi appassionavo al racconto e approfondivo la mia cultura sul Giappone, iniziando anche a conoscere e ad amare i manga.

Tra l’altro, una tua storia è stata pubblicata proprio in Giappone da una delle maggiori case editrici, Kodansha.

Oddio, era una storia breve! Fu un episodio non così eclatante ma che ricordo con molto piacere. In quel periodo, nel 2007, ero in Giappone per motivi di lavoro. La scuola italiana dove insegnavo Fumetto aveva fatto un gemellaggio con una locale e avevo accettato volentieri di accompagnare i miei allievi. Durante la permanenza, ci sono stati alcuni incontri con gli editor, tra cui quello di Kodansha, che stava dando vita a una nuova rivista, “Mandala”, dedicata a prodotti europei ma studiati per il mercato nazionale. Mi fu proposto di contribuire o lo feci con “Carpe Diem”, un omaggio a un mio amico scomparso. Per cui la cosa mi ha fatto doppiamente piacere.

Torniamo in Francia ma senza recidere il cordone ombelicale con il Giappone, visto che “Izunas” è ispirato a figure realmente appartenenti al folclore nipponico, sebbene siano state da te rivisitate.

In realtà, tutta la mitologia di “Le nubi scarlatte” è completamente inventata! [ride] No, non tutta: all’inizio ho inventato di sana pianta con qualche riferimento a ciò che conoscevo. Man man che procedevo con la trama, mi documentavo e scoprivo informazioni che poi andavo ad aggiungere o inserire per rendere la saga, seppur fantastica, più credibile, più realistica per il lettore.

Ho cercato di ampliare questo universo attraverso “Izunas” – di cui ho curato i testi e gli storyboard, mentre i disegni sono di Carita Lupattelli – e “La maschera di Fudo”, che mi vede come autore completo. Sono entrambi spin-off di “Le nubi scarlatte”, sempre distribuiti in Italia da Magic Press. Il primo, concepito insieme a Bruno Letizia, ha un tono più fiabesco e delicato; direi che si rivolge maggiormente a un pubblico femminile, o comunque giovane. Il secondo, decisamente più drammatico e crudo, è forse più vicino ai gusti maschili e a quelli di un pubblico più adulto. Poi, in verità, ho conosciuto molti uomini a cui è piaciuto più “Izunas” e donne che hanno preferito “Fudo”. Anche gli uomini hanno un lato poetico e le donne possono preferire figure toste, soprattutto femminili e vicende più cruente. Meno male! [ride]

Con “Jaemon” si cambia totalmente registro e scenari, anche se la fantasia è ancora la vena ispiratrice.

“Jaemon”, a differenza di “Le nubi scarlatte”, non è un mio progetto ma dello scrittore Alain Pâris, autore dell’omonimo romanzo, una via di mezzo tra fantasy e fantascienza. La trasposizione in bande dessinée, ancora targata Les Homanoïdes Associés, ha visto al principio alle matite Val. In seguito sono subentrato io insieme a Massimiliano Notaro. Curando io lo storyboard e lui i disegni, abbiamo portato a termine e completato il ciclo di quattro volumi.

Quali sono i progetti a cui ti stai dedicando attualmente? Puoi dirci qualcosa sul prossimo futuro?

Attualmente sto lavorando a “La maschera di Fudo”. Se “Izunas” è ambientato secoli prima di “Le nubi scarlatte”, “La maschera di Fudo” può considerarsi un suo prequel, perché incentrato su uno degli antagonisti principali di “Le nubi”, collocabile poco prima delle vicende lì descritte. Per ora sono usciti due volumi. In questo momento sto completando il terzo e poi mi dedicherò al quarto, che concluderà la serie.

Pensiamo allora a un futuro più lontano: ti vedremo prima o poi all’opera con un tuo progetto pensato per l’Italia?

Il mio immaginario si è costruito su un modello di Fumetto francese e in seconda battuta americano. A essere sincero, se dovessi abbandonare la Francia è più probabile che rivolgerei il mio interesse verso l’America, piuttosto che l’Italia. Non perché non ami il mercato e le produzioni italiane, ma perché il mio stile, il mio modo di intendere e di fare Fumetto non si sposa oggi come ieri – perché vedo che le cose stanno cambiando – con i gusti che vanno per la maggiore nel nostro Paese. Il punto di riferimento in Italia, sia nel passato che nel presente, si chiama Bonelli. Io non mi sentivo adatto allora come non mi sento adeguato oggi, anche se vedo un notevole sforzo di cambiamento da parte della casa editrice milanese.

Chiudiamo con un classico delle nostre interviste. C’è un fumetto che hai letto in passato, o recentemente, che consiglieresti ai lettori di BadComics.it?

Io sono molto legato ai classici, per cui sarò scontato: sono assolutamente da leggere tutti i titoli di Moebius. Se vogliamo invece parlare di attualità e di prodotto italiano, a me piace molto Igort: il suo stile, il suo modo di fare Fumetto fuori dagli schemi, la sua maniera di raccontare personale e intima che riesce ad appassionare un pubblico anche estraneo alla Nona Arte e più vicino alla letteratura in prosa.

In generale, però, mi piacerebbe lanciare questo messaggio: non leggete mai un fumetto slegandolo dalla cultura o dal contesto in cui è stato concepito. Anche quello più banale, o che ci può addirittura apparire stupido, dirà qualcosa del luogo in cui è nato, del popolo che ci abita, dei suoi costumi. In quest’ottica, personalmente, mi è capitato di apprezzare anche brutti fumetti.

Un altro esercizio interessante che vi consiglio è quello di unire alla lettura di un fumetto un film collegato dalla stessa tematica, dello stesso periodo e ovviamente dello stesso Paese.

 

Rapalloonia 2017: disegno di Saverio Tenuta