All’incontro tenutosi sabato 19 dicembre a Milano, presso BAO Boutique, abbiamo avuto modo di fare quattro chiacchiere con uno dei migliori disegnatori italiani, e non solo, attualmente in circolazione. Grazie alla gentilezza di Michele Foschini e Daniela Mazza di BAO Publishing, ecco a voi la nostra intervista con Matteo Scalera, il disegnatore di Black Science, una delle migliori serie attualmente in circolazione sul mercato statunitense.

 

Black Science vol. 2Siamo qui con Matteo Scalera, il successore italiano di Sergio Toppi.

Be’… va bene, d’accordo. [ride]

Bene, sono riuscito a farti arrossire, che era un po’ il motivo del mio esordio. Il riferimento però è abbastanza serio, nel senso che sei forse il primo a cui mi capita di dire che mi ricorda il maestro milanese, dacché seguo il fumetto. Vedo parecchio di lui nel tuo lavoro e nel tuo stile perfetto per i comics americani senza essere uno stile comics.

Sono onorato. Sicuramente devo ammettere che è uno degli esempi che seguo. Mi fa strano essere associato a lui in modo così diretto. In realtà, per il tipo di carriera che ho fatto, mi sono differenziato moltissimo. Non faccio storie mie, quelle su cui lavoro hanno caratteristiche molto diverse dalle sue. Quindi in termini generali abbiamo preso proprio direzioni molto diverse. A livello stilistico, sicuramente, l’ispirazione è tanta, quindi mi fa piacere l’associazione.

Restiamo sull’argomento del tuo stile e parliamo di Black Science, che è un fumetto di genere molto connotato. Ti sei preparato osservando altri artisti del passato, maestri della fantascienza? Perché se certamente c’è molta continuità con altri tuoi lavori, mi pare di notare che tu ti sia in qualche modo addestrato a questo fumetto.

Dunque, in generale non faccio grandi ragionamenti, non studio stili apposta per un progetto. A seconda della storia, viene da sé uno stile abbastanza istintivo. Puoi cambiare un po’, come dicevi tu, una base riconoscibile e poi modificare qualche caratterizzazione, senza grande studio. Come riferimenti, a tutti gli effetti, io sono molto legato a Breccia, soprattutto a livello tecnico, e al suo lavoro su Mort Cinder. Di conseguenza a Sean Murphy, perché abbiamo gli stessi miti. Un po’ di Jorge Zaffino nel mio stile direi che c’è.

Black Science 1Il tuo stile, dicevo, non è precisamente statunitense, ma si è prestato alla perfezione per il loro mercato. Te l’aspettavi di ottenere tutto questo riconoscimento e apprezzamento dai lettori che stanno dall’altra parte dell’Atlantico e un successo importante come quello di Black Science?

No. Ovviamente, è una cosa in cui ho sempre sperato, ma se penso a me due tre anni fa, non mi aspettavo affatto di raggiungere questo livello. Poi, in realtà, prima di partire con Black Science, alla Image avevano già un’idea dei numeri che avremmo fatto con le vendite. Ma, ripeto, poco tempo fa non avevo alcuna idea di fare questo tipo di carriera, anche perché non è passato molto dai tempi in cui le serie Image non erano altro che un trampolino, un scuola che ti faceva lavorare in piccolo nella speranza di essere notato da una delle major. Mentre ora il rapporto si è quasi ribaltato. Nel 2007, quando ho iniziato io, era completamente diverso. Ora, quasi, si lavora a Marvel e DC in attesa di essere abbastanza autorevoli da prodursi la propria serie creator-owned.

Direi che questa è stata una benedizione vera, per il fumetto americano.

Sì. Bisogna solo stare attenti a non saturare il mercato, perché ora in moltissimi si stanno buttando su quel tipo di prodotti. Vediamo come si mettono le cose.

La cosa buona è che Marvel e DC stanno inseguendo l’indipendente, quindi si è creata un’osmosi tale da ampliare molto l’offerta per andare ad intercettare i gusti.

Per fortuna.

Black Science Interni Scalera Colore 2Ti sei rivelato, su Black Science, uno straordinario creatore di mondi, dal punto di vista visivo, assieme a Rick Remender. Pensi che la fantascienza, ora come ora, sia un alveo naturale per dare sfogo alla tua creatività visiva o ti piacerebbe anche cambiare molto presto?

Francamente la fantascienza è attualmente ciò su cui preferisco lavorare, anche per come sono di natura, nel senso che non mi piace stare su una pagina, al tavolo, per troppo tempo. Sono uno che deve essere veloce e la fantascienza ti permette di essere molto immediato e libero. Mentre se devi riprodurre situazioni realistiche, devi comunque avere dei riferimenti precisi sull’ambiente e sugli oggetti. Pensa al western: devi sapere com’erano le case, com’erano sellati i cavalli, com’erano gli interni. Questo porta a un rallentamento sensibile. Devi ogni volta staccare dal disegno e osservare dell’altro.

Black Science invece mi libera da tutto questo, anche al di là della fantascienza come genere, perché l’ambientazione cambia praticamente in ogni numero e questo mi permette di non annoiarmi, altro grande pericolo per un disegnatore che è più che mai in agguato quando devi disegnare e ridisegnare in continuazione le stesse cose. Il fatto di cambiare così tanto luoghi e personaggi ti facilita. Sto lavorando al numero #21 adesso e mi sto ancora divertendo. Cosa che non mi era mai successa prima, dopo tanto tempo.

A proposito di divertirsi, lavori con Rick Remender, che hai ritrovato dopo Secret Avengers. Lo hai visto diverso, nel passaggio da autore Marvel a indipendente? C’è stato un cambiamento nel suo metodo? E lui che tipo è?

No, non è cambiato più di tanto, perché anche in una major, quando hai una certa posizione, alla fine hai il controllo e l’ultima parola sulla storia. In quel caso, perlopiù, l’editor è solo un facilitatore, che aiuta lo scambio e il passaggio di file. E già all’epoca c’era comunque un contatto molto diretto tra me e lui. In questo caso, essendo io il co-proprietario del progetto, quel che è cambiato è che la mia voce è molto più alla pari, siamo sullo stesso piano.

Black Science interni ScaleraIl bello è che ci troviamo davvero all’istante dal punto di visto dello storytelling. Io lavoro molto bene con lui, abbiamo di base la stessa visione. Lui ha iniziato nel mondo dell’animazione e disegnava, quindi ha una visione molto cinematografica e dinamica di come la scena debba andare. Ormai, se vedo una sceneggiatura sua anche scarna, capisco al volo cosa vuole dal punto di vista di regia e immagine.

Immagino che non si faccia molti problemi a dare indicazioni precise quando vuole delle cose particolari da una scena.

Sì, magari per alcune vignette in particolare, quando vuole un certo effetto, si dilunga un attimo e spiega. Per il resto è molto semplice e ha uno stile di sceneggiatura abbastanza asciutto. Bisogna sempre un po’ arginarlo quando comincia a partire con l’immaginazione. Non tanto in questa fase, quanto più all’inizio di una serie, fase in cui si fa mille domande e subisce molto la pressione dell’esordio. Quando vedi che sta salendo il momento di panico e tutto inizia ad essere tutto nero, lo ignori per un paio di giorni e tutto si resetta e torna come prima.

Stai lavorando con un maestro contemporaneo, sostanzialmente. Quindi c’è n’è uno del passato con cui avresti il sogno di collaborare e uno invece coetaneo di Remender o quasi, una personalità di successo dell’attuale generazione di fumettisti?

Dei contemporanei, e c’è una possibilità molto concreta per il futuro, ce ne sono due. Uno con cui ho lavorato già, anche se indirettamente, è Robert Kirkman. L’altro, che mi attrae anche per le opportunità che spesso ti apre per quanto riguarda ambiti fuori dal fumetto, è Mark Millar. Nel passato, non saprei da dove cogliere. Più che personaggi con cui avrei voluto lavorare, ci sono artisti che avrei voluto veder lavorare. Di Toppi ho avuto modo di vedere qualche cosa, ma magari Zaffino e Breccia avrei voluto vederli all’opera. Non so. Anche di fianco a un Moebius mi sarebbe piaciuto stare per un po’. Sarei stato curioso. Sugli sceneggiatori faccio molta fatica a farti un nome. C’è un Alan Moore di Watchmen, ad esempio, che mi sarebbe piaciuto molto avere come scrittore, ma poi so, per come son fatte le sceneggiature, che non sarei stato in grado. Quindi sospendo il giudizio.