Michel Kichka insegna alla Bezalel Academy in Israele e ha avuto come allievi Rutu Modan (premio Miglior Opera Lucca Comics and Games 2013) e Uri Fink. Oltre a presiedere l’Associazione dei disegnatori israeliani e collaborare con vari giornali e emittenti francesi, scrive e disegna naturalmente.
Da pochi giorni la Rizzoli Lizard ha pubblicato la sua opera, La Seconda Generazione (Quello che non ho detto a mio padre). È un graphic novel toccante ma per nulla cupo, che racconta gli orrori dell’Olocausto, i drammi della vita e il vivere ed essere ebrei oggi, con quell’ironia arguta e distintiva di questo grande popolo.
Qui di seguito il comunicato della casa editrice sull’opera e alcune tavole estratte dal libro.

L’olocausto attraverso gli occhi del figlio di un sopravvissuto. Quello più strutturato, quello più ironico. Quello che non si è ucciso.

Henri è l’unico membro della famiglia d’origine sopravvissuto alla Shoah. Il ricordo l’ha reso muto, schiacciato da un dolore profondo e assordante. Fino al 1988, quando tocca a lui scoprire il cadavere del figlio minore, morto suicida. Dopo la cerimonia funebre qualcosa dentro Henri si rompe, come una diga che cede, e i ricordi dell’Olocausto divengono un inarrestabile fiume di parole che investe chiunque gli si trovi davanti. Henry diventa così uno scrittore di fama e una sorta di eroe della Shoah; il trauma più recente gli ha restituito una voce, ma non la libertà di vivere un’esistenza normale.

Questa, in sintesi, la trama di questo romanzo grafico di Michel Kichka. Trama che però non comincia nemmeno a rendere giustizia alla storia, evidentemente, vividamente autobiografica. Da anni l’autore meditava di affrontarla, ma non se l’era mai sentita. Probabilmente, dati i risultati, è stato un bene.

La seconda generazione è il genere di libro che ti prende totalmente alla sprovvista. Ti aspetti dramma, ti aspetti dolore, ti aspetti angoscia. E naturalmente li trovi, ma immersi in un contesto narrativo così divertente, così pulito e così francamente ineccepibile che vorresti abbracciare i personaggi, tutti, uno per uno. Conoscerli, pranzarci insieme.

I pugni in pancia, quando arrivano, sono dati bene. E fanno ancora più male, data la cornice. Ma preferiamo postare qualche tavola, piuttosto che tentare di spiegarci a parole.

Vittorio Giardino ha detto che La seconda generazione sta all’Olocausto come Persepolis alla rivoluzione iraniana. Anche per noi è vero, e non sapremmo dire quale sia più bello.