La Teikoku Databank, compagnia giapponese specializzata in ricerche finanziarie, ha recentemente pubblicato i risultati di un’indagine condotta sul mercato degli anime nel 2017. Il dossier ha evidenziato un netto aumento degli incassi dell’intera industria d’animazione nipponica corrispondente alla cifra complessiva di 203.721 miliardi di Yen (quasi 1,6 miliardi di Euro); parliamo di un incremento del 54,9% rispetto a quello del 2016 che supera notevolmente il 39,6%, ossia il costante trend di crescita avvenuto di anno in anno nell’arco degli ultimi trentasei mesi.

La Teikoku ha basato il proprio rapporto sulla raccolta di dati effettuati nello scorso luglio su 255 aziende del settore; il 90% di queste risulta essere ubicata a Tokyo, mentre 150 sono sorte nel nuovo millennio.

Per la prima volta dopo sette anni, le entrate di ogni singolo studio di animazione hanno raggiunto la media di 800 milioni di Yen (6,2 milioni di Euro). Il picco di 1,175 miliardi di Yen (9 milioni e 100.000 Euro) risale al 2007, ed è un vertice mai più raggiunto, a causa delle sempre più numerose startup e della delocalizzazione della produzione in altri paesi dell’Asia.

Anche se la suddetta media è di 800 milioni di Yen, ottantadue compagnie hanno dichiarato un valore inferiore ai 100 milioni di Yen (circa 775.000 Euro), mentre settantadue un indice variabile tra i 100 e 300 milioni. Va detto che molti degli studi coinvolti dalla ricerca sono di dimensioni esigue: ottantasei di essi sono composti da cinque dipendenti o ancor meno, ottantatré oscillano tra i sei e i venti, e solo cinquantuno ne annoverano tra i ventuno e i cinquanta. In sintesi, il 94,5% delle 255 aziende analizzate ha meno di cento impiegati.

Gli studi che sono appaltatori primari o i principali subappaltatori monetizzano un reddito medio di 1,65 miliardi di Yen (intorno ai 13 milioni di Euro), mentre per quelli specializzati si parla di appena 273 milioni di Yen (poco più di 2,1 milioni di Euro). Entrambi i conteggi hanno registrato un’ascesa nel 2017, e la Teikoku Databank ha attribuito il merito al rapido espandersi delle trasmissioni in streaming e alla conseguente impennata dei canoni di licenza.

L’altra faccia della medaglia è la concorrenza sempre più spietata tra gli studi specializzati più piccoli, che ha ridotto il costo del lavoro e accresciuto la mole di commesse, nonostante il personale sempre più ridotto all’osso. Va inoltre riportato che quattro delle 255 società in questione sono andate in bancarotta nel 2017, mentre altre due sono state chiuse o si sono sciolte.

Trattasi del terzo peggior risultato di sempre dopo quello del 2010, in cui scomparvero otto studi, e quelli del 2009 e 2011, in cui furono sette le imprese a fallire.

 

 

Fonte: Anime News Network