Eduardo Risso ci ha chiesto di svolgere la sua intervista in Italiano, perché aveva voglia di parlare un po’ la nostra lingua. Influenzato dalla bellezza del Lago di Como, cornice del Lake Como Comic Art Festival? Può darsi, ma non sapremmo confermare o smentire.

Sta di fatto che abbiamo avuto il privilegio di rivolgergli qualche domanda e che, qui sotto, trovate le sue risposte.

 

La mia prima domanda non può prescindere da “100 Bullets”, serie a cui sei legato a doppio filo per il tuo sodalizio storico con Brian Azzarello, ma anche perché è il tuo più grande successo. Si può dire?

Si può dire, anche perché è una serie molto lunga di cui mi sento un po’ il babbo.

E direi che ce lo aspettiamo. La mia domanda è: c’è ancora spazio nel Fumetto di oggi per la crime story?

E come no? Perché no?

Perché se ne vede poco all’orizzonte rispetto a un tempo.

Forse sì. Ma il fatto è che la gente ha bisogno di storie, e che queste storie ci siano. Capisco perché dici così, ma il fatto è che una crime story, che sia ambientata nel presente, nel passato o nel futuro, è sempre una crime story. Io e Brian abbiamo fatto nel noir classico, è vero, ma non è soltanto questa la radice possibile di una storia. Quindi sì, vedo ancora molto spazio per questo genere nei comics.

Quindi il fatto che il genere sopravviva dentro altri generi, dentro i super eroi, dentro la fantascienza, è una cosa buona o preferiresti vederla pura?

A me, personalmente, piace ogni genere con cui mescolare il giallo. Tranne un po’ i super eroi, perché faccio fatica a trovarli credibili. Devo averli assorbiti per bene per poterli avere sotto le mani. Ho lavorato molto con Batman perché è quello che conosco meglio, mentre con gli altri faccio più fatica.

Infatti è quello più noir di tutti, forse.

Ma non è soltanto per questo. Dipende dalla mia formazione di lettore. Io sono cresciuto con le storie d’avventura, di fantascienza, con il poliziesco. I super eroi poco. E, quando è così, ti assicuro che è complicato, perché fanno parte di un genere che non si lascia abbracciare facilmente se non ci sei cresciuto assieme.

Forse tendono a dominare molto, a imporsi troppo sul tipo di storia che ti permettono di raccontare?

Non soltanto per questo. Quando hai a che fare con i super eroi, è come assistere a una soap opera. Tu sai già come finisce, ha un percorso segnato. Superman non può morire. Per ragioni di business, sai già che non sarà mai davvero in pericolo. Lo hanno deciso un sacco di tempo fa, e capisco le ragioni per cui è così. Ma a me piace un altro tipo di storia, in cui tu sei l’eroe, quel tizio lì in piedi è l’eroe, la gente è l’eroe. Mi piacciono di più storie in cui le persone comuni sono protagoniste.

A proposito di “100 Bullets”, puoi dirmi qualcosa sulla tua amicizia con Brian Azzarello, che ormai dura da tanti anni?

Che dire? Siamo quasi fratelli, ma abbiamo iniziato a collaborare che nemmeno ci conoscevamo. Pensa che già lavoravamo alla serie da tre anni la prima volta che ci siamo incontrati. All’inizio fu stranissimo, ma dopo qualche birra… sai anche tu come vanno queste situazioni. Eravamo fratelli.

Ma la vostra amicizia è nata anche sulla base di queste ragioni creative, possiamo dire?

Sì, certamente. Abbiamo la stessa idea di come fare Fumetto. Lui ha l’intelligenza che serve per capire molto bene quanto spazio deve darmi come artista: è una collaborazione. Un fumetto si legge rapidissimo, ma io, come disegnatore, devo essere abile a fare in modo che tu, lettore, dopo aver finito la storia, abbia voglia di tornare indietro per rivedere qualche dettaglio. Ed è tutto qui il segreto dei fumetti.

Con Brian sei tornato per lavorare a “Moonshine” che è stato un discreto successo.

Sì, siamo abbastanza contenti. Siamo arrivati al secondo volume e l’idea è di scriverne altri tre.

Ed è una serie che parla del cuore degli Stati Uniti.

Esatto. Una storia di hillbilly sovrannaturali, con gli uomini-lupo.

Un argomento molto gettonato dal Fumetto di questi tempi. C’è anche un po’ di politica in questa voglia di parlare di quella parte della società americana?

Oh, sono la persona sbagliata a cui chiedere. Dovresti fare a Brian questa domanda! [ride]

Cambiando argomento, hai lavorato brevemente con Brian K. Vaughan alla Marvel, prima che fosse una superstar.

Esattamente. Abbiamo fatto una miniserie di tre numeri su Wolverine assieme.

Avevi già intuito che sarebbe diventato così bravo, uno degli sceneggiatori migliori d’America?

Lui era già un talento, ma io non lo conoscevo. Quel che io apprezzo in uno scrittore è che abbia la capacità di collaborare con me, di lasciarmi fare il mio mestiere, di fidarsi. Se tu guardi una sceneggiatura di Vaughan, è chiarissima. Ti dice solo ciò di cui ho veramente bisogno, senza scendere in troppe spiegazioni, solo qualche dettaglio fondamentale. Mi dava la facoltà di avere libertà per interpretare una sceneggiatura, senza impormi la sua visione.

Tornando a parlare di “100 Bullets”, tu hai vissuto gli ultimi anni d’oro della Vertigo, che oggi sta cambiando nuovamente pelle. 

Si sta rilanciando.

E proprio qui volevo arrivare. Dopo l’abbandono di Karen Berger e la cacciata di Shelly Bond, pensi che la DC Comics stia tornando a battere i sentieri di un tempo?

Non saprei. Io conosco Mark Doyle, che attualmente è il capo della Vertigo, ma non saprei dirti cosa stiano facendo. Sicuramente si stanno muovendo su tanti piani, con Young Animal e Black Label. Io posso solo dirti che è importante che la Vertigo sia una presenza viva e vitale.

Quando abbiamo finito “100 Bullets” abbiamo lavorato ancora un po’ in quel contesto, ma poi ci siamo allontanati dalla DC. Era un capitolo chiuso. Ci siamo dedicati ad altro e al Fumetto indipendente, di cui siamo molto contenti. Quindi è difficile dirti che atmosfera ci sia alla Vertigo. L’unica cosa che ti posso dire è che se mi chiamassero…

Saresti interessato…

Ascolterei volentieri. Ora come ora sono molto impegnato, perché oltre a “Moonshine” sto lavorando a diversi progetti, tra cui “Hit-Girl” e altri progetti ancora.

Visto che siamo in Italia, quanto conosci del nostro Fumetto?

Molto. E mi piacciono parecchie cose. Sono cresciuto con “Ken Parker”, “Corto Maltese” e con qualche numero del Texone. Sulla vecchia guardia sono decisamente preparato e sono un fan del vostro fumetto.